Il Sole
24 Ore 27-11-2007
«Case, 2008 l'anno del calo»
Shiller: negli Usa prima
discesa dopo il '33, irrazionale il boom dei prezzi
dal nostro inviato Mario Margiocco
commenti - |
DUBAI. - Il professor Robert
Shiller è un americano tranquillo che si
meraviglia di come il mondo sia cambiato ma non
è impressionato dal rischio di un drastico ridimensionamento
dell'Occidente. Massimo esperto americano del mercato immobiliare,
l'argomento del giorno, ha creato un indice per valutare su base nazionale
americana i prezzi delle case, e previsto la fine del boom immobiliare negli
Stati Uniti, e anche altrove. Prevede adesso che il 2008 sarà un anno
di prezzi immobiliari al ribasso in tutti gli Usa, fatto raro per un mercato
geograficamente sempre differenziato.
Nel 2000, con un libro, Irrational Exuberance, che fu un bestseller, aveva previsto la fine
della bolla di Borsa legata ai titoli di elettronica
e informatica. «Stiamo preparando la seconda edizione», dice Shiller, che insegna Economia e finanza a Yale dal 1982 ed è considerato fra i maggiori
esponenti del comportamentismo contemporaneo, la scuola economica che guarda
con scetticismo la presunta razionalità degli investitori e preferisce
spesso ricorrere alla psicologia per spiegare fino in fondo alcuni fenomeni,
tipici quelli delle bolle di mercato. Qualcuno in passato ha rimproverato a Shiller una preveggenza miope, perché la bolla ".com" fu subito seguita nel
2002 da altri cinque anni di buoni risultati sui mercati azionari.
Shiller non è particolarmente amante dei
viaggi e, giustamente, continua a meravigliarsi di poter essere arrivato
così in fretta a Dubai (per un convegno) a
nove ore di fuso orario da casa sua. Sa che la fine dei limiti di spazio e di
tempo è insieme un fatto reale e un'illusione. Così come
un'illusione era che gli Stati Uniti potessero continuare ad aumentare il
deficit dei conti con l'estero senza conseguenze per il dollaro. Anche se
qualche premio Nobel lo aveva persino teorizzato.
«Tempo fa sono uscito dal dollaro, con i miei investimenti personali»,
osserva Shiller, che a 61 anni reggerebbe
bene il ruolo da giovane professore in una serie tv. «Le partite correnti
parlavano chiaro», dice, ammettendo di avere seguito sostanzialmente solo
quel criterio e l'istinto.
L'articolo che catapultò il giovane Shiller
all'attenzione degli economisti è del 1981 ed
era un attacco diretto alla teoria delle aspettative razionali. Dimostrava infatti come Wall Street si
fosse mossa nel Novecento molto più di quanto avrebbe dovuto indicare
un modello dove i prezzi corrispondono al valore attuale netto dei dividendi
futuri razionalmente attesi.
«Se prendiamo il mercato immobiliare, vediamo che il forte aumento dei prezzi
ha riguardato non solo gli Stati Uniti, ma molti altri mercati, quasi tutti i
più importanti a parte la Germania. Ora, parlando del caso americano
che conosco meglio, non riesco a trovare spiegazioni
razionali. Il fenomeno è stato nuovo negli Stati Uniti. Per
l'ampiezza, che ha visto tra l'ultimo trimestre del 1996 e il primo del 2006 un aumento dei prezzi reali del 70%, su scala
nazionale. E per il fatto che mai c'era stato un aumento
che ha interessato tutti gli Stati Uniti».
Solo la psicologia può spiegare il fenomeno. «Credo che da un
lato sia scattata la molla che una casa non perde mai valore, e finora dalla
Seconda guerra mondiale in poi è stato così, quanto a valore
nominale. Il basso costo del denaro naturalmente ha aiutato. Dall'altro, si
è diffusa la convinzione che sarà sempre
più costoso avere una casa, perché siamo in tanti, e i
materiali da costruzione costeranno di più, e occorre comperare se si
può, anche a prezzi che prima sarebbero sembrati eccessivi».
Ma siamo nell'irrazionalità. Il costo di una casa nuova è
determinato dal prezzo del terreno e dal costo di costruzione. «Ora il
terreno tradizionalmente incide negli Stati Uniti per il 15% dei costi
effettivi, ed è sempre stato così; i
costi di costruzione sono aumentati gradualmente e tutto sommato di poco,
perché a materiali più cari hanno risposto tecniche più
efficienti e quindi meno costose. Quindi l'ondata di aumenti
non ha avuto giustificazioni razionali, non in quella misura».
Le conseguenze? «Prevediamo che il 2008 sarà il primo anno
generalizzato di calo dei prezzi delle abitazioni,
in tutti gli Stati Uniti, per la prima volta dal 1933». Shiller
non azzarda cifre. Ma ricorda che per un fenomeno
anche allora strano, i prezzi delle abitazioni scesero negli Usa dal 1925 al
1933, incominciarono la discesa quindi in pieno boom economico. E l'anno finale di quel ciclo fu l'ultima volta che vi fu
un calo nazionale. Che si ripeterà adesso.
«Come la fine di ogni boom, anche la fine di quello
immobiliare tende a portare una stretta creditizia». E
alla caduta del dollaro? «La bolla immobiliare non è stata solo
americana». Ma il caso dei mutui subprime
sì. «È vero, sì, soprattutto americano. Il ciclo
del dollaro è governato principalmente dai conti americani con
l'estero, che erano in pesantissimo rosso e che ora,
dopo una discesa del dollaro avviata già da tempo, stanno migliorando.
Tutti i cicli finiscono per un qualche incidente che accelera gli elementi di
debolezza, e i subprime possono essere stati il fatto che ha spinto in varie sedute il dollaro a
un comportamento disordinato. Però starei
attento alla psicologia, anche qui». Non c'è crisi dell'Occidente, non
c'è eclissi del capitalismo americano, non c'è fine del dollaro
come valuta internazionale di riferimento, non c'è passaggio del
testimone all'Asia.
Il Golfo, tra denaro fresco o facilmente disponibile, ha secondo alcune stime
in questo decennio ben oltre 2mila miliardi di dollari pronti per
investimenti: una volta e mezza l'intero Pil di un
Paese come l'Italia. «Ma occorre far bene i calcoli.
Il Pil italiano di circa 1.800 miliardi di dollari indica dollari all'anno. Per avere un peso dell'Italia
confrontabile con la cifra che sarebbe attualmente
disponibile agli investitori del Golfo - spiega Shiller
- occorre moltiplicare quel 1.800 per 20 o 30 volte, e allora le cose
cambiano. Cina e India cresceranno, ma hanno bisogno
ancora di molto tempo. Nel frattempo il resto del mondo non starà
fermo. E poi non conta solo quello che un Paese ha
come materie prime o ha realizzato con rapide trasformazioni epocali, conta
anche quello che la sua gente sa fare, imparando da generazioni. E su questo l'Occidente ha ancora un lungo vantaggio su
cui costruire».
|