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Il Sole 24 Ore (20-9-2009)

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di Morya Longo

 

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Prima ancora di capire come sarà costruita, l'arca di Noè con cui il Governo degli Stati Uniti intende salvare Wall Street un effetto l'ha già avuto: ha mandato letteralmente in estasi le Borse. Il listino americano ha aggiunto un altro 4,03% al 4,3% di giovedì: nelle due sedute ha così realizzato maggior rialzo dal 1970. Meglio ancora è andata in Europa: Londra ha guadagnato in un colpo solo l'8,84%, Parigi il 9,27%, Francoforte il 5,56% e Milano l'8,62%. Tutte insieme le Borse del Vecchio continente hanno portato a casa l'8,42%. È vero che venivano da una settimana nera, ma questo è il maggior rialzo giornaliero da quando è stato inventato l'indice Stoxx nel 1987.
Eppure anche in questa grande festa collettiva, c'è un risvolto della medaglia: in America i titoli di Stato hanno subìto una pesantissima ondata di vendite (la peggiore degli ultimi 23 anni), molto maggiore rispetto a quella che ha colpito i bond europei. E questo ha un significato solo: gli investitori sanno che le misure annunciate negli Usa peseranno sui conti del Governo federale. E graveranno sul suo debito. È possibile che possano arrivare a scalfire il rating (attualmente "Tripla A") degli Stati Uniti? Per ora tutti lo escludono. Ma, in fondo, non sarebbe il primo tabù infranto da questa crisi finanziaria.

Le cause
Il super-rimbalzo dei listini è nato dagli annunci di ieri. Innanzitutto il Governo americano (si veda nel dettaglio a pagina 3) sta studiando il modo per salvare i bilanci bancari dalla zavorra che li ha appesantiti fino ad oggi trasferendola sui bilanci pubblici: questo elimina il problema numero uno degli istituti di credito. Dall'altro la Sec e la Fsa (le Autorità di vigilanza di Usa e Gran Bretagna) hanno bloccato temporaneamente le vendite allo scoperto sulle azioni delle società finanziarie. Si tratta di quel "giochetto" con cui gli investitori vendono azioni che non possiedono (prendendole in prestito), in modo da guadagnare con il loro ribasso.
La Sec le ha proibite su 799 azioni di società finanziarie per almeno 10 giorni e la Fsa inglese le ha vietate addirittura fino a gennaio (con la possibilità di tornare sui suoi passi tra 30 giorni). Di fatto le Autorità hanno eliminato "d'ufficio" una gran fetta delle strategie d'investimento: tutti coloro che speculavano sui ribassi azionari di banche e assicurazioni, insomma, ora non possono più farlo. È come se l'arbitro di una partita di calcio togliesse dal campo il portiere e l'intera difesa di una delle due squadre: è ovvio che l'altra avrebbe grandi possibilità di fare una goleada.

Gli effetti
E infatti goleada è stata. In Borsa. Soprattutto per i titoli bancari e assicurativi: senza la spada di Damocle delle vendite allo scoperto e con l'annuncio del più grande salvataggio pubblico che si potesse immaginare, le azioni finanziarie hanno spiccato il volo. In Europa l'indice Stoxx del settore ha recuperato il 17,46% e in America il 10,3%. E i migliori titoli, su entrambe le sponde dell'Atlantico, sono stati quelli finanziari: nel Vecchio Continente Royal Bank of Scotland ha guadagnato il 31,9%, Ubs il 31,6% e Barclays il 29,24%, mentre oltreoceano Aig ha portato a casa il 43,1%, Wachovia il 29,3% e Merrill Lynch il 33,7%. Ma l'euforia ha poi contagiato tutti i settori.

Le conseguenze
Ma in tanti si chiedono già quale sarà il prezzo per far salire Wall Street su quest'arca di Noè. Il primo effetto negativo potrebbe esserci sul debito pubblico americano e dunque sui titoli di Stato a stelle e strisce: i cosiddetti T-Bond. «C'è stato un trasferimento dell'onere della crisi dal settore privato a quello pubblico», osserva Vincenzo Guzzo, senior strategist di Morgan Stanley. Per questo ha guadagnato Wall Street (cioè il privato) e i T-bond (cioè il pubblico) sono crollati. E non è un caso che il differenziale di rendimento tra i T-Bond Usa e i titoli di Stato tedeschi si sia ristretto in un solo giorno da 57 a 41 punti base: questo significa che le vendite hanno colpito in modo molto più forte i bond americani rispetto a quelli europei. È vero che avevano corso di più, ma la reazione di ieri indica una maggiore sfiducia verso gli Stati Uniti.
La conferma sta nei cosiddetti "credit default swap". Si tratta di polizze che servono per assicurarsi dall'insolvenza di qualunque emittente obbligazionario. Ebbene: ieri assicurarsi contro il crack degli Stati Uniti costava 24 punti base (lo 0,24% dell'importo da assicurare), mentre per coprirsi dal rischio default della Germania bisognava pagare solo 13 punti base. La metà. Il mercato, in parole povere, considera più rischiosi gli Stati Uniti della Germania. Si tratta di un rischio relativo, certo. I numeri sono bassi, certo. Ma una cosa è certa: qualcuno il conto di questi salvataggi dovrà pur pagarlo.
m.longo@ilsole24ore.com