Il Sole 24 Ore
8-4-2008
Alitalia: tutte le nozze fallite dal 1993
fino ad oggi
di Gianni Dragoni
Si
può far saltare un matrimonio perché uno dei partner parla troppo al
telefonino e l'altro mangia troppo presto la sera? Certo che si può. E infatti Alitalia e Klm, prima
di rendere operativa l'alleanza dopo un lungo fidanzamento iniziato poco
prima di Natale del 1997, nell'estate 1999 misero bene in chiaro alcuni punti
che rischiavano di minare la convivenza.
Le due compagnie avevano riassunto in un documento riservato non solo i
fondamentali economici e di mercato, ma anche il carattere e il comportamento
del personale, così diversi.
Quel documento dice molto di più sui difetti e le qualità delle
due aziende di quanto non si comprenda dalle cifre di un bilancio. E spiega
perché Klm è una compagnia di successo, oggi ben inserita nel gruppo Air France, mentre Alitalia
arranca, perennemente a un passo dal fallimento.
La storia dell'alleanza con Klm, costruita e poi
svanita, è esemplare per mostrare le difficoltà di Alitalia a
trovare un partner. La ricerca cominciò nel 1993, quando la compagnia
era guidata da Giovanni Bisignani e all'Iri era
presidente Romano Prodi. Bisignani, oggi a capo
della Iata, esplorò un'alleanza totale con
Air France: ne discusse in una cena al Grand Hotel
di Roma il 30 settembre 1993, con Bernard Attali,
presidente di Air France. Ma tre settimane dopo Attali,
fratello gemello di Jacques, oggi consigliere del presidente Nicolas Sarkozy, diede le dimissioni perché i sindacati
bocciarono il suo piano di tagli per 4mila posti e il Governo lo
ritirò.
Ma torniamo a Klm. Secondo un rapporto interno
all'Alitalia, frutto di interviste incrociate con i dirigenti italiani e
olandesi sugli «stili culturali» condotte in giugno e luglio del 1999, il
management di Az percepiva la propria azienda con
questi termini: «Accentramento, gestione dell'emergenza, flessibilità,
creatività, individualismo, scarsa attenzione alla gestione del
tempo».
Klm, secondo gli italiani, era invece
caratterizzata da «decentramento, pianificazione, approccio metodico,
rigidità, arroganza ed aggressività, propensione alla partnership,
uso corrente della lingua inglese».
Questi giudizi erano condivisi dai dirigenti olandesi. I quali si sentivano
«orgogliosi di essere "blu" (è la livrea degli aerei Klm), orientati al risultato di business e alla
partnership, grandi lavoratori, tolleranti verso culture differenti, anche se
arroganti nell'approccio diretto». Al contrario all'Alitalia – secondo la
«percezione» dei dirigenti olandesi – c'erano «forte accentramento,
prioritaria attenzione alla relazione, uso della lingua inglese non diffuso/adeguato».
I dirigenti della Magliana – secondo i manager Klm
– erano «caotici, non strutturati», cercavano di «godersi la vita» e facevano
«uso eccessivo del telefono cellulare durante le riunioni». E gli italiani
rimproveravano agli olandesi di cenare troppo presto.
Definizioni spietate, ma il matrimonio si fece lo stesso. Nell'agosto 1999
Leo Van Wijk, il capo degli olandesi volanti,
manager appassionato di calcio che era stato anche nel cda
dell'Ajax, ironizzò sul fatto che ognuno aveva fatto una concessione
al partner. Gli italiani – disse – hanno accettato di spegnere i telefonini
nelle riunioni e gli olandesi hanno accettato di cenare più tardi.
In realtà, le due aziende avevano bisogno l'una dell'altra per evitare
di essere mangiate dalle più grandi. Domenico Cempella
e Leo Van Wijk avevano capito che le due aziende si
integravano bene alla fine del 1997, con il supporto della società di
consulenza Roland Berger, che mise in fila in quest'ordine i pretendenti alla
Cenerentola dei cieli: prima Klm, seconda Air
France, terza Swissair.
Alitalia dotata di un vasto mercato interno, convalescente dopo le crisi,
povera di mezzi e con una flotta corta nel lungo raggio. Klm
priva di mercato domestico, ma fortissima con le sue capacità
commerciali e tariffarie, con una rete efficiente nell'intercettare traffico
per voli intercontinentali attraverso l'hub di
Amsterdam Schiphol.
Il primo novembre 1999 decollarono le due «full
joint venture» operative, una per il trasporto passeggeri, l'altra per le
merci. Le due aviolinee unificarono tutte le attività, costi e ricavi,
pur rimanendo società separate, con l'impegno a spartirsi alla pari i
profitti e l'obiettivo di risparmiare 400 milioni di euro entro tre anni.
Sommando le attività, le due compagnie sostenevano di essere il primo
vettore europeo, con un aggregato di 39 milioni di passeggeri e 377
destinazioni secondo i dati 1998, davanti a Lufthansa (38,5 milioni di
passeggeri) e British Airways
(36,6 milioni).
Agli olandesi volanti fu assegnata la guida delle operazioni più
importanti, la joint venture passeggeri. Henny Essenberg, con una
quindicina di colleghi, si insediò stabilmente al secondo piano della
Magliana. Un gruppo di italiani, guidati da Mario Pascucci,
andò ad Amsterdam a dirigere il cargo.
Klm sembrava il partner ideale per sviluppare come hub l'aeroporto di Malpensa, che era stato aperto al
grande traffico il 25 ottobre 1998, ma non era decollato come previsto da
Alitalia e Klm. La resistenza delle compagnie
concorrenti (straniere e Air One) e del Comune di
Milano aveva fatto sì che a Linate restassero molti voli e non la sola
navetta per Fiumicino, come previsto dal primo decreto Burlando.
Gli
olandesi versarono ad Alitalia 100 milioni di euro come contributo per i costi
degli investimenti a Malpensa. Klm piazzò
subito a Malpensa un Boeing 747 con proprio equipaggio che volava per Sydney
via Singapore, più alcuni aerei per trasporto merci. «L'aeroporto di
Malpensa diventerà uno dei più importanti del Sud Europa», disse
Van Wijk, il 27 novembre 1998 ad Amsterdam, a una
platea un po' incredula, alla firma del «Master cooperation
agreement».
Tutto sembrava filare d'amore e d'accordo tra Cempella
e Van Wijk. In aprile del 2000 cominciarono a
discutere la fusione societaria. Il progetto fu esaminato anche dal cda dell'Iri, di cui era presidente Piero Gnudi (oggi all'Enel), direttore generale Pietro Ciucci
(oggi all'Anas).
Ma la realtà andò diversamente. Gli olandesi diedero segnali di
inquietudine, contestando il fatto che il Governo italiano non aveva
trasferito a Malpensa tutto il traffico di Linate: la sera del 14 dicembre
1999 il ministro dei Trasporti, Tiziano Treu, in seguito a uno stop da
Bruxelles, bloccò un decreto del presidente del Consiglio, Massimo
D'Alema, che prevedeva il trasferimento dei voli da Linate in due scaglioni, uno l'indomani (15 dicembre), l'altro il 15 genanio 2000.
Il 28 aprile, Cempella era in ufficio con il
direttore generale, Giovanni Sebastiani, a
calibrare i dettagli della fusione, quando arrivò una telefonata da
Amsterdam: «Il consiglio di Klm
ha bocciato la fusione. Rompiamo immediatamente l'alleanza»,
disse secco Van Wijk.
Gli olandesi accusarono il Governo: «l'utilizzo di Malpensa come hub è stato enormemente ritardato e il Governo
italiano ha indicato inoltre che una privatizzazione della compagnia italiana
prima del 30 giugno 200 sarebbe molto improbabile».
Per Alitalia fu il caos. Le azioni Klm in un mese
guadagnarono quasi il 30%: venne alla luce che Amsterdam stava trattando una
vendita alla British Airways.
A Roma, si sospettò che gli scaltri mercanti olandesi avessero
cominciato i colloqui prima della rottura dell'alleanza con gli
«inaffidabili» italiani.
«Dovete restituirci i 100 milioni versati per Malpensa», intimò Van Wijk. Cempella
contrattaccò, con la richiesta di arbitrato internazionale prevista in
caso di contenzioso, chiedendo il pagamento della penale da 250 milioni di
euro. I 100 milioni rimasero a Roma, congelati in un conto speciale alla Bnl.
Si costitutì ad Amsterdam il collegio di tre
arbitri, il tedesco Karl-Heinz Boeckstiegel
(presidente), l'olandese Albert Van Der Berg, l'italiano Riccardo Luzzatto. Alitalia era
assistita da Piero Bernardini dello studio Ughi Nunziante, da uno studio
legale olandese e uno americano.
Priva di un'alleanza e con i soliti problemi interni, Alitalia entrò
in un periodo di difficoltà. Il 2 febbraio 2001 diede le dimissioni Cempella, sostituito il 9 da Francesco Mengozzi, che esplorò nuove rotte.
Il 27 luglio Mengozzi firmò con Jean-Cyril Spinetta l'alleanza decennale con Air France,
tuttora in piedi anche se un po' traballante e sbilanciata a favore dei
francesi.
Nel novembre 2002 Alitalia e Air France decisero uno scambio azionario del
2%, mentre anche Klm, rimasta zitella, da qualche
mese aveva bussato alle porte dell'alleanza: ma parlava con Air France, non
con Roma.
Il 4 dicembre 2002 arrivò il verdetto degli arbitri ad Amsterdam,
favorevole ad Alitalia: Klm veniva condannata per
la rottura unilaterale dell'alleanza a pagare la penale da 250 milioni
più gli interessi e a rimborsare 3,3 milioni di spese. «Esprimo grande soddisfazione. Questo verdetto è il
frutto anche del lavoro svolto nell'interrogatorio cui sono stato sottoposto,
durante l'arbitrato, dagli avvocati della controparte in giugno all'Aja, durante la cross examination. Mi ricordo le domande a trabocchetto... Mi
fa molto piacere per l'Alitalia», commentò Cempella.
Tra le due compagnie fu esaminata la posibilità
di un pagamento non in denaro, ma con azioni Klm,
che avrebbe reso meno pesante l'impatto sui conti degli olandesi. Mengozzi ne parlò in via informale con i
consiglieri di Alitalia, tra i quali la pattuglia dell'Iri (l'elenco va da Acerna a Tamburi, passando per Antonini,
Ciucci, Dettori, Milanese, Prato) e Spinetta.
C'erano anche degli esterni, tra cui Consolo, Pedrini,
più il presidente Cereti.
Prevalse l'orientamento al pagamentocash: il 31
gennaio gli olandesi fecero un bonifico da 171.486.778,39 euro, che si
aggiunse ai 100 milioni trattenuti in banca da Alitalia dalla fine del 1999,
con gli interessi.
Quel pagamento ha mandato in profondo rosso il bilancio Klm.
E ha accelerato i colloqui per una fusione tra olandesi e francesi,
annunciata nel settembre 2003 e realizzata dopo sei mesi,
lasciando con un palmo di naso l'Alitalia. Che, se avesse accettato un
pagamento in azioni Klm – come ebbe a rammaricarsi
più tardi Mengozzi – si sarebbe poi trovata
in una posizione più favorevole nelle alleanze. Perché avrebbe avuto
automaticamente una quota tra il 5 e il 10% della nuova Air France-Klm dopo la fusione.
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