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Documento d’interesse   Inserito il 19-9-2007


 

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Il Secolo XIX 19-9-2007

La diminuzione dei tassi di interesse potrebbe portare un po' di calma nel mercato, ma potrebbe anche preparare il terreno a problemi ancora più gravi riguardanti i maggiori creditori, in particolar modo la Cina.

Jeffrey Garten

 

NEW HAVEN. La diminuzione dei tassi di interesse potrebbe portare un po' di calma nel mercato, ma potrebbe anche preparare il terreno a problemi ancora più gravi riguardanti i maggiori creditori, in particolar modo la Cina. Abbiamo provato a immaginare un possibile incontro tra Henry Paulson, il Segretario del Tesoro statunitense, e un funzionario del governo cinese. Ecco come l'evento potrebbe svolgersi. Poco prima del meeting della Federal Reserve, Paulson riceve una chiamata dall'ambasciatore cinese a Washington, che sta organizzando un incontro con un vecchio amico di Pechino. Paulson invita a cena il diplomatico cinese. Mentre cenano, i due passano in rassegna una serie di argomenti mettendo a confronto i rispettivi Paesi di provenienza. Dopo il dessert ha inizio la vera conversazione. Il diplomatico spiega che la Cina si preoccupa del fatto che un problema tutto statunitense possa trasformarsi in una débacle globale. Il Paese asiatico teme che la Federal Reserve possa tamponare la crisi abbassando i tassi di interesse per evitare una lieve recessione, che i primi tagli non saranno ritenuti sufficienti dai leader politici statunitensi e che seguiranno altri provvedimenti. Facendo così però, il presidente della Federal Reserve getterebbe i semi per la prossima crisi, dimostrando che gli attuali salvataggi finanziari sono prontamente disponibili, favorendo così azzardi sempre maggiori. Una tale azione potrebbe venire legittimata se si profilasse una recessione più grave. Ma fino ad ora, i soli a suggerire questa soluzione sono coloro che hanno bisogno di aiuto. Il diplomatico fa notare che il 7 settembre, dopo pessimi dati sull'occupazione e un crollo della Borsa, lo stesso Paulson dichiarò che gli Usa potevano essere vicini a un rallentamento della crescita, anche se non si sarebbe trattato di niente di veramente drastico. Sì, ammette il diplomatico, le esportazioni cinesi potrebbero venire danneggiate nel breve periodo se la crisi facesse diminuire la domanda dei consumatori. Ma Pechino ha in ballo qualcosa di molto più importante nel lungo periodo. La Cina ha circa 1,4 mila miliardi di dollari di riserve di scambio estero, sostiene il diplomatico, due terzi delle quali investite in dollari Usa. Abbassando i tassi di interesse la Federal Reserve inonderebbe il Paese con denaro mutuabile a basso tasso d'interesse e ridurrebbe il valore dei dollari detenuti dai cinesi. Non importa, chiosa il funzionario cinese, che l'amministrazione Bush abbia perseguito una politica del dollaro debole per molti anni e non importa neppure che gli Usa spingano la Cina a rivalutare lo yen così che ogni dollaro varrebbe meno nella valuta cinese. Il problema, continua il diplomatico, è che la spirale al ribasso del biglietto verde non vede una fine. La Cina quasi spera in una recessione lieve ora, forzando gli Usa a contenere i consumi, iniziare a risparmiare e limitare l'attuale deficit riducendo le importazioni. Queste contromisure rallenterebbero la crescita del debito estero Usa e renderebbe possibile per la Cina smettere di prestare così tanto denaro agli Usa e preserverebbero il dollaro dalla svalutazione. "Parlando francamente, Signor Segretario, il suo Paese è come un maniaco compulsivo che non riesce a controllarsi, comprando tutto quello che vede, anche se prende in prestito più di quanto potrebbe permettersi", potrebbe dire il diplomatico. Il funzionario riferisce che i suoi colleghi non capiscono come i capitalisti possano essere così poco capitalisti. Quando i tempi erano migliori, le banche di investimento fecero delle fortune, escogitando strumenti finanziari troppo complessi da capire per chiunque, perfino per loro stesse, e assegnando valori arbitrari a tali fondi. In un'economia di libero mercato, le banche e gli investitori dovrebbero convivere con le conseguenze. Il diplomatico chiede perché la Federal Reserve dovrebbe andare in aiuto di chi corre questi rischi: "Prendendo in prestito un'espressione americana, mi pare che il vostro sistema si basi sulla nozione testa vince, croce?vince". Il funzionario insiste con Paulson su come gli Usa possano essere così interventisti e al tempo stesso colpire la Cina per cercare di evitare che la propria valuta cresca troppo rapidamente, in modo da salvaguardare le banche cinesi, esportatori ed importatori. L'uomo ricorda a Paulson la crisi asiatica degli anni '90: "I nostri vicini asiatici vivono al di sopra dei propri mezzi. Hanno perseguito cattive politiche finanziarie che li hanno vessati, ma ne sono usciti più forti di prima. Talvolta mi chiedo se noi asiatici siamo più orientati di voi al sistema di libero mercato". Fa una pausa prima di riassumere: "La Cina si sente con le spalle al muro. Il valore delle nostre riserve di dollari sta scendendo, i nostri investimenti basati sul dollaro perderanno sempre più il loro valore. Gli americani potrebbero pensare che abbiamo denaro da buttar via ma quei soldi ce li siamo guadagnati con un duro lavoro e dolorose riforme economiche. Dobbiamo risparmiare per investire massivamente nella scuola, nel settore energetico, nella tecnologia ambientale, in un moderno sistema di sicurezza e molto altro ancora. Inoltre gli Usa hanno reso molto difficile per gli investitori cinesi l'acquisto di attività nella vostra economia. Quando abbiamo cercato di comprare le attività della Unocal, ci avete escluso sulla base di questioni di sicurezza nazionale. Ciononostante, investire in America è ancora attraente per noi e, forse, potrebbe anche compensare la svalutazione del dollaro". Paulson è in imbarazzo. Dopo tutto la Cina è diventata il maggiore creditore americano. Paulson conosce la verità: gli americani non mettono niente da parte e i maggiori investimenti vengono di fatto realizzati con il tacito consenso di Pechino. Quando il governo americano parla di ricostruire New Orleans è solo perché la Cina dà i soldi allo Zio Sam. Quando gli Usa decidono di riedificare un ponte crollato, come quello di Minneapolis, è perché la Cina investe miliardi in buoni del Tesoro americani. Per di più, se la crisi finanziaria colpisse l'America a causa degli sviluppi nei mercati di credito o per qualsiasi altra ragione, Pechino potrebbe fungere da stabilizzatore utilizzando i propri fondi per acquistare attività e alzare i prezzi. Gli Usa, però, non devono dare la Cina per scontata. Paulson sa bene che se solo Pechino desse l'impressione di pensare di diminuire gli acquisti dei buoni del Tesoro americani, ciò sarebbe sufficiente a gettare Wall Street nel panico. La confusione di oggi sembrerebbe una sciocchezza. Paulson rimugina sul tempismo della visita, nel bel mezzo del caos finanziario. Al funzionario chiaramente non piace che la Federal Reserve abbassi i tassi di interesse. Allude forse al fatto che Pechino vuole essere consultata, come farebbe ogni importante creditore, su come gli Usa gestiscono le proprie politiche monetarie ed economiche? Si cela una minaccia dietro alle sue domande? Paulson capisce di essere il testimone dell'inizio di una nuova era in cui la Cina farà leva sul suo enorme potere finanziario per cercare di piegare gli Stati Uniti alla propria volontà. Questo potrebbe rappresentare un fondamentale punto di transizione nella storia della finanza, come quando la Gran Bretagna dovette dividere la leadership finanziaria con gli Usa dopo aver gestito da sola il mondo finanziario per almeno un secolo. I due uomini chiudono l'incontro scambiandosi qualche battuta. Il funzionario parla del suo ritorno a Pechino e dell'intenzione di parlare con amici comuni nelle alte sfere. Non appena il diplomatico sale sull'auto che lo aspetta, Paulson lo saluta con un cenno, gira su se stesso e chiude la porta. Corre a un telefono sicuro e chiama il Presidente Bernanke: "Sarà meglio che si sieda. Abbiamo un problema". © 2007 Yale Center for the Study of Globalization. Ripubblicato con il permesso di YaleGlobal Online (http://yaleglobal.yale.edu). (Traduzione di Silvia Bacigalupo ) Jeffrey Garten è docente di International Trade and Finance presso la Yale School of Management. È stato sottosegretario al Commercio Internazionale durante l'amministrazione Clinton. 19/09/2007 Il calo dei saggi può portare un po' di calma sui mercati, però a danno dei maggiori creditori 19/09/2007.