La Repubblica 27-1-2008
La
rotta per salvare il paese dei naufragi
di EUGENIO SCALFARI
IL GIORNO in cui ha deciso di staccare la spina e mandare a casa il governo e
forse la legislatura, Clemente Mastella ha recitato
la poesia d'una poetessa brasiliana che concludeva
con il verso "Lentamente muore" riferito ovviamente al destino
politico di Romano Prodi. Una civetteria letteraria? Un modo elegante di
annunciare il suo voto negativo da parte d'un
personaggio nei cui comportamenti l'eleganza è piuttosto rara?
Direi soprattutto una citazione sbagliata. E' vero che l'esperienza politica
del governo Prodi si è conclusa esattamente
in quella seduta del Senato, non molto lentamente poiché la sua vita è
stata abbastanza breve. Ma non è stata soltanto l'esistenza del
governo Prodi a concludersi. E' terminato un ciclo e
sono di colpo invecchiati tutti i protagonisti e i comprimari che lo hanno
animato, quale che sia la loro età anagrafica e professionale. Tra di essi anche Mastella.
Traslocando al centrodestra forse avrà i collegi pattuiti con
Berlusconi, ma non avrà più (per nostra fortuna di italiani) quei poteri di interdizione che il suo uno
per cento gli dava in una maggioranza friabile e microscopica. Il Mastella degli ultimatum manterrà la signoria di Ceppaloni rientrando nel rango dei vassalli di paese dal
quale era inopinatamente uscito in forza di una
legge elettorale ("la porcata" votata dal centrodestra nello
scorcio della scorsa legislatura) che ha reso il suo uno per cento essenziale
come altrettanto essenziali sono diventati gli altri microscopici per cento
dei Diliberto, dei Pecoraro,
dei socialisti e perfino i voti individuali dei Dini,
dei Turigliatto, dei De Gregorio.
La citazione giusta doveva dunque essere un'altra. Sta in "Allegria di
naufragi" di Ungaretti
e suona così: "Si sta come d'autunno/sugli alberi le
foglie". Riguarda tutti, insigne Mastella, non
soltanto Prodi.
Adesso si discute sulle vere cause della crisi. Giuliano Ferrara sostiene che
sia il contrasto pluridecennale tra magistratura e
classe politica; altri ne fanno carico alla nascita del Partito democratico;
altri ancora al bombardamento mediatico o al
cardinal Ruini e ai vescovi italiani o al fatto che
il governo mancava di una missione, a differenza del Prodi
del '96 che si propose di portare l'Italia nell'Eurolandia
e ci riuscì.
La tesi di Ferrara non ha alcun riscontro probatorio: Prodi non cadde nel '98 per cause di giustizia, né il centrosinistra
cadde nel 2001 per contrasti con la magistratura, né Berlusconi nel 2006. Il
bombardamento mediatico c'è stato (e molto
intenso) contro Prodi ma ci fu anche, sia pure assai più ridotto,
contro il Berlusconi della precedente legislatura; comunque
non basta a spiegare una crisi di queste proporzioni.
Quanto alla mancanza di una missione, che Angelo Panebianco
gli imputa sul "Corriere della Sera" di ieri, si tratta di un
argomento a mio avviso inesistente. La missione era duplice e fu dichiarata
esplicitamente durante la campagna elettorale: risanamento dei conti
pubblici, ereditati in pessime condizioni dal governo Berlusconi/Tremonti; rilancio della crescita economica e
perequazione delle intollerabili disuguaglianze sociali in essere. Il primo
punto è stato realizzato con la Finanziaria del 2007, il secondo aveva preso l'avvio con quella del 2008 e aveva già
dato frutti importanti.
Restano le pretese responsabilità del Partito democratico, delle quali
manca tuttavia qualunque traccia. Veltroni e il
gruppo dirigente del Pd hanno
concordato e appoggiato completamente l'azione del governo. Il dissenso
c'è stato non con il governo ma con la maggioranza su un punto
soltanto anche se essenziale: il rifiuto del frazionamento insopportabile dei
partiti, dei veti, della rissa continua, delle estenuanti mediazioni, del
rallentamento esasperante di ogni decisione,
dell'immagine desolante che rimbalzava su un'opinione pubblica insicura,
impaurita dalla globalizzazione, frustrata dalla
Babele che i "media" non potevano non registrare e che la potenza mediatica berlusconiana
esasperava con ogni mezzo.
Il Pd ha denunciato questo stato di cose e si
è impegnato per quanto stava in lui di porvi riparo. Ha creato una
nuova forma-partito basata sulle primarie. Ha annunciato che alle future
elezioni si sarebbe presentato da solo e che le alleanze le avrebbe stipulate
sulla base d'un programma semplice, abbandonando la
prassi universalmente diffusa di programmi che hanno il solo scopo di metter
d'accordo sulle parole ma non nella sostanza il diavolo con l'acqua santa.
Su questo punto, è vero, il Pd di Veltroni è stato netto. Sarebbe possibile rivedere
sullo stesso palcoscenico affratellati per sole due
ore Mastella, Pecoraro, Boselli, Giordano, Ferrero, Padoa-Schioppa, Dini, Diliberto? Sarebbe possibile, senza che quelle presenze e
quelle persone fossero non solo fischiate ma
disprezzate sia dalla destra sia dalla sinistra sia dall'antipolitica becera
sia dagli italiani responsabili e maturi?
Questo ha detto il Partito democratico e su questo ha promesso di tener ferma
la barra del suo timone. Speriamo che mantenga l'impegno. Se
perderà, sarà con onore e potrà continuare la sua
battaglia. Ma solo a queste condizioni potrà
giocare la sua partita con molte speranze.
* * *
Dopo la sconfitta di Prodi al Senato Ezio Mauro ha scritto che questo governo
è stato assai migliore di quanto apparisse, "ha razzolato bene e
predicato male". Sono anch'io del suo stesso parere e cominciano a dirlo
anche quelli che finora l'hanno avuto come bersaglio fisso sul quale sparare.
L'ha biascicato a mezza bocca perfino Berlusconi, che è
tutto dire.
Mi ha dato un senso di sincera tristezza assistere dagli schermi televisivi a
quella seduta che non esito a definire drammatica, anzi tragica per la
sguaiataggine da bordello in cui è precipitata l'aula del Senato al
momento delle votazioni. Le aggressioni fisiche, la rissa, gli
sputi, gli svenimenti e quello spregevole buffone che dai banchi
missini, col pullover rosso annodato al collo, gli occhiali neri e una
bottiglia di spumante in mano, lanciava sconcezze e innaffiava di spuma i
banchi e i senatori che vi erano seduti. Ha fatto il giro del mondo quell'immagine.
Non so se e quando il Senato riaprirà le porte, ma a quel guitto da
due soldi dovrebbe esser comminata dalla presidenza
la sanzione massima. Quanto al suo partito, dovrebbe espellerlo su due piedi,
ma sono certissimo che non lo farà. C'è
una parte (non tutta per fortuna) della classe politica che si diverte e
festeggia personaggi come Strano e come Cuffaro,
"vasa-vasa", che festeggia con i cannoli
una condanna a cinque anni di reclusione. Quella politica ha i Beppe Grillo che si merita. Purtroppo su
questi lazzi e questa vergognosa giungla di clientele affonda lo
Stato, ciò che ne resta.
* * *
Si dice da parte di alcuni che Prodi avrebbe forse fatto
meglio a dimettersi senza formalizzare la sua sconfitta al Senato. Si
attribuiscono analoghe riflessioni al Presidente della Repubblica ma senza un
minimo di riscontri verificabili.
Credo invece (e ancora una volta sono con lui) che Prodi abbia
fatto pienamente il suo dovere interpellando entrambi i rami del
Parlamento. La sconfitta a Palazzo Madama era più che certa ma doveva
essere certificata dal voto e il voto doveva avere
la firma di chi lo dava. L'assunzione di responsabilità
di chi votava il sì o il no.
Così è stato ed ora almeno questo punto è chiaro.
L'ombra d'un eventuale reincarico avrebbe
accresciuto tensioni e confusioni. Personalmente ho visto con amarezza la
caduta di un uomo forte delle sue convinzioni che ha
accettato il voto contrario con dignità repubblicana. Senza quel
passaggio senatoriale, senza la sofferenza di quella sconfitta, le dimissioni
date dopo la fiducia ottenuta alla Camera avrebbero
avuto l'aria d'un sotterfugio. Così prevede la Costituzione e Prodi ad
essa si è attenuto semplificando per quanto
stava in lui il fardello pesantissimo che ora è sulle spalle del Capo
dello Stato.
* * *
Il Presidente si è preso oggi una giornata di riflessione dopo aver
iniziato le consultazioni che entreranno nel vivo domani e si concluderanno con l'incontro con i partiti maggiori
dopodomani. Si parla anche di possibili incarichi esplorativi nel tentativo
di convincere Berlusconi, Fini e Bossi all'idea di un governo "di
scopo" che abbia il compito di varare la legge
elettorale e gli altri adempimenti connessi e nel frattempo sia in grado di
fronteggiare l'emergenza economica e finanziaria che sta scuotendo il
pianeta.
Ho la sensazione che gli incarichi esplorativi abbiano
poco senso. Non c'è niente di recondito da scoprire.
Quanto alla "moral
suasion" nessuno ha maggior titolo per usarla del Capo dello Stato.
Ci si domanda quante divisioni (nel senso militaresco del termine) abbia a
sua disposizione il Presidente della Repubblica, di quali strumenti operativi
disponga per realizzare quello che è il suo
dichiarato convincimento: andare al voto dopo aver cambiato il sistema
elettorale e non prima. E a questa domanda la
risposta è pressoché unanime: pochissime divisioni, pochissimi
strumenti, forse soltanto l'opera di convincimento da esercitare su chi non
è del suo stesso parere.
Ebbene, uno strumento il Presidente ce l'ha, deriva
direttamente dal dettato costituzionale ed ha anche a suo sostegno qualche
importante precedente. La Costituzione prevede che il Presidente, in presenza
d'una crisi di governo, "dopo avere ascoltato
le opinioni dei presidenti delle Camere, nomina il presidente del Consiglio
dei ministri e su sua proposta i ministri. Il governo, dopo aver prestato
giuramento, si presenta entro quindici giorni alle Camere per ottenerne la
fiducia".
Fin qui la Costituzione. Tutte le altre formalità sono state
introdotte dalla prassi ma non sono scritte negli
articoli della Carta. Nulla vieta, anzi così
è prescritto, che mercoledì o quando egli decida, il Presidente
convochi la persona da lui scelta e la nomini senza altri indugi alla guida
del governo e che entro poche ore riceva dal nominato i nomi dei ministri.
Firmati i decreti, i ministri giurano e il governo entra nel pieno possesso
dei suoi poteri in attesa di ricevere la fiducia
dalle due assemblee parlamentari.
Due settimane dopo vi sarà il voto di fiducia. Se sarà positivo il governo avrà adempiuto a tutte le
condizioni previste, se sarà negativo il governo si dimetterà e
il Capo dello Stato avrà motivo di sciogliere il Parlamento.
Quali vantaggi possono venire da questa correttissima procedura? Non sarebbe
il governo presieduto da Prodi ad "accompagnare" le elezioni, ma un
nuovo governo istituzionale. Berlusconi e Fini preferiscono avere Prodi
ancora in carica per poter scaricare pugni a volontà su un "punching ball" che non ha
titolo né mezzi per rispondere. I pugni sferrati su Prodi colpirebbero
inevitabilmente il Partito democratico che anziché presentarsi come l'unica
novità in campo verrebbe incastrato sotto il
patronimico prodiano.
L'arrivo in campo d'un governo composto interamente
da personalità indipendenti e tecnicamente competenti metterebbe il
Parlamento nelle condizioni migliori per votare o negare la fiducia, senza
doversi far carico di proporre questa o quella soluzione. Al governo del
Presidente i partiti e i singoli parlamentari debbono
solo rispondere sì, no, astenuto, o disertare la riunione.
Nessuna forza politica rinuncerebbe a nulla. La conta non si fa in piazza ma in Parlamento dove ognuno risponde di sé
"senza vincolo di mandato".
* * *
Conosco la possibile obiezione: se attorno ad un simile governo si formasse una inedita maggioranza, saremmo in presenza di un
ribaltone. Obiezione che non ha alcun sostegno. Infatti il ribaltone, o cambiamento di maggioranza, non
è previsto né vietato in nessun articolo della nostra Costituzione ed
è in palese contrasto con la libertà del singolo parlamentare
di comportarsi come meglio ritiene nell'interesse del paese.
Del resto di ribaltoni e ribaltini è piena
la storia della nostra Repubblica parlamentare. Il governo berlusconiano del '94 esordì con il ribaltino di Tremonti che
passò dal centro al centrodestra a pochi giorni di distanza dalla sua
elezione. Pochi mesi dopo fu la Lega a lasciare l'alleanza di centrodestra
determinando la crisi e la nascita del governo Dini.
Nel '98, caduto Prodi, D'Alema incassò i
voti di Mastella rimpiazzando con lui quelli
perduti di Rifondazione. Adesso è Mastella
che abbandona la coalizione in cui è stato
eletto e passa dall'altra parte. Chi vituperava i ribaltoni applaude oggi i
ribaltati. Perciò questo tipo di obiezione
non ha senso alcuno con la legislazione vigente.
Per quanto riguarda i precedenti governi istituzionali, ne ricordo i tre più
clamorosi: quello di Pella del 1953, nominato dal
presidente della Repubblica Luigi Einaudi senza che
il suo nome fosse stato indicato da alcun gruppo parlamentare e meno che mai
dalla Dc; quello del sesto governo Fanfani, nominato da Cossiga
nell'aprile del 1987, sfiduciato dalle Camere e in particolare dal suo
partito, che portò alle elezioni anticipate nel giugno dello stesso
anno. Infine il governo Dini del
'95, nominato da Scalfaro, che trovò in
Parlamento il consenso del centrosinistra e della Lega.
Una procedura del genere ha dunque dalla sua cospicui
precedenti oltre che le norme della Costituzione. Aggiungo per quel
che vale - e vale molto - che anche ha dalla sua
l'appoggio di tutte le parti sociali, dai sindacati ai commercianti e alla Confindustria. Cioè
dall'insieme del paese che produce, lavora e consuma. Forse quel paese non
ama i politici, ma sa che della politica nessuna società può
fare a meno, salvo i paesi (e i paesetti) tribali.
(27
gennaio 2008)
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