La Repubblica del 13-12-2007
IL RAPPORTO
Gli
italiani prigionieri della sfiducia
di ILVO
DIAMANTI
A un primo sguardo, la chiave di lettura di questo decimo "Rapporto
sull'atteggiamento degli italiani verso lo Stato", condotto da Demos per la Repubblica, è la stessa degli ultimi
anni. La sfiducia. Ha sfondato ogni limite. Nei confronti delle istituzioni,
soprattutto, ha raggiunto un livello mai raggiunto dal 2000 ad oggi.
Questo sentimento colpisce, in particolare, la magistratura, la scuola,
oltre, ovviamente, allo Stato. Anche il consenso verso l'Unione Europea, fra
i cittadini, cala al di sotto del 50%. Per la prima
volta. Mentre la fiducia nella Chiesa diminuisce
sensibilmente. Perdono ulteriormente "credito" le banche. Per non parlare delle istituzioni rappresentative: parlamento e
partiti.
Pubblico e privato. Giustizia e interessi. Enti locali e nazionali. Poteri
civili e religiosi. Nessun riferimento sembra in grado di conservare credibilità e legittimità fra i cittadini. Nulla
di nuovo, potremmo dire, per questo Paese. Dove lo Stato, tradizionalmente,
non gode di grande consenso. Tanto più da
qualche tempo.
Tuttavia, questa volta, nell'aria si coglie qualcosa di
nuovo. Basta considerare con attenzione la "sfiducia", la
quale può assumere significati molto diversi.
C'è, ad esempio, una sfiducia "costruttiva", che si esprime quando esiste un'alternativa all'ordine esistente.
Ma esiste anche l'inverso: una fiducia
"distruttiva", che spazza via un sistema privo di
legittimità e consenso. Ancora: c'è la sfiducia
"critica", che sfida e sanziona le
istituzioni, per costringerle a correggersi. Oppure:
la sfiducia "democratica", contrappeso alle tentazioni del potere.
Garanzia di libertà. Per citare Benjamin Constant: "Ogni buona costituzione è un atto
di sfiducia". Ma c'è anche una sfiducia
"cinica", espressa da individui "apoti"
o "estranei".
Che intendono "chiamarsi fuori": per ragioni
tattiche, opportunistiche; oppure, al contrario, per dissenso radicale.
In ognuno di questi casi, però, la sfiducia rivela un orientamento
"strategico" dei cittadini nei confronti dello Stato e delle
istituzioni. Questa fase, invece, ci sembra caratterizzata da un diverso tipo
di sfiducia, che definiremmo "apatica". Senza passione.
Quasi indifferente. Di certo non finalizzata: né al confronto né allo
scontro. Ma, soprattutto, non proiettata nel futuro.
E' l'aspetto che distingue maggiormente questo Rapporto. Anche nei precedenti
emergeva un diffuso sentimento di insoddisfazione
retrospettiva e preventiva. Convinti, i cittadini, che "se ieri le cose
sono andate male, domani andranno anche
peggio".
La "sfiducia apatica", però, va oltre. Non evoca pessimismo, ma eclissi del futuro. Incapacità di
guardare e di pensarsi oltre il presente. Anche perché, oggi, il linguaggio
della politica e delle istituzioni risulta
largamente incomprensibile. Due italiani su tre, d'altronde, ritengono che,
ormai, non vi siano più grandi differenze tra i partiti. Certo:
metà di essi pensa che "senza partiti
non vi sia democrazia"; ma l'altra metà, di riflesso, la pensa in
modo diverso. Anzi, circa il 40% sostiene che, anche senza partiti, la
democrazia possa funzionare egualmente bene.
Ancora: il 54% degli italiani crede che i partiti debbano disporre
di una "base di iscritti". Quindi:
di un'organizzazione. Ma il 60% preferirebbe che la
scelta del leader scavalcasse ogni vincolo associativo e avvenisse
"attraverso elezioni aperte a tutti gli elettori interessati". La
stessa indecisione si coglie di fronte alla distinzione fra destra e sinistra.
Insomma, la società italiana oggi appare "confusa". Priva di appigli a cui afferrarsi, per trovare stabilità
e sicurezza. Ma anche di punti di riferimento, in base a
cui orientarsi e aggregarsi. (Non a caso il Censis, nell'ultimo rapporto, per descrivere la
società italiana ha parlato di "mucillagine":
un'entità spappolata, senza coesione e senza spessore). Perché gli appigli e i riferimenti mancano. O sfuggono, cambiano di continuo. Oppure
ancora: sono incomprensibili. Dal 1991, d'altronde, si susseguono progetti
istituzionali, elettorali e politici sempre diversi, sempre provvisori.
Espressi in un linguaggio sempre criptico. Partiti che cambiano nome e
cognome; coalizioni a "geometria
occasionale". Modelli istituzionali e leggi elettorali in continua
evoluzione. Delineano una geografia confusa, dai
confini imprecisi. Tra Spagna, Germania, Inghilterra e Francia. Un'ardita
opera di sincretismo europeo. Dal sondaggio su cui si basa questo Rapporto,
d'altronde, emerge che circa un elettore su due, fra quelli che guardano con
favore il proporzionale, valuta in modo altrettanto positivo
anche il maggioritario. Non ha in mente un modello diverso e specifico, ma si
è, semplicemente, è perduto nel contorto dibattito sui sistemi
elettorali. E non si raccapezza più.
E', inoltre, difficile immaginare il "futuro" delle istituzioni in
un clima così instabile. Quando il leader
dell'opposizione assicura che questo governo è destinato a cadere.
Domani. La settimana prossima. Al massimo fra un mese o due.
Quando i leader della maggioranza e gli stessi
ministri chiedono continue verifiche, minacciano la sfiducia. Senza soluzione
di continuità. Difficile non provare sconcerto e
senso di precarietà quando idee, valori, norme, istituzioni - i
riferimenti della vita pubblica e dell'identità personale - appaiono
tanto confusi.
Così, le stesse fondamenta del sistema rivelano qualche scricchiolio
un po' sinistro. Il consenso nei confronti della "democrazia"
rimane alto. Espresso dal 68% dei cittadini. Ma
è in calo sensibile, rispetto agli ultimi anni. Visto
che quasi una persona su tre pensa che, almeno per qualche tempo, se ne possa
fare a meno. Questa "larga minoranza" cresce ulteriormente
nella popolazione giovanile, fino a raggiungere il 40% fra coloro
che hanno meno di vent'anni.
I giovani, peraltro, riflettono e riproducono, accentuati, tutti i principali
sintomi della sindrome da "presente infinito", che oggi affligge la società italiana. Stressata da
orientamenti ambigui e stridenti. Essi, infatti, sono coinvolti in ogni forma
di partecipazione. Impegnati a percorrere le vie della
protesta. Convinti, più degli altri, che non
ci sia bisogno dei partiti. Che destra e sinistra
siano distinzioni indistinte. I giovani: esprimono nei confronti di
Beppe Grillo il maggior grado di simpatia. Molto superiore a quella attribuita ai principali leader di destra e
sinistra. Prodi e Berlusconi. Veltroni
e Fini.
Qui è il paradosso italiano del nostro tempo. Questa
miscela di sfiducia "apatica", mobilitazione sociale permanente,
immaginazione istituzionale e politica senza freni. Questa scena
affollata di figure, sigle, bandiere, parole. Non evocano l'antipolitica, ma
l'iperpolitica. Troppa politica: sui
media, nelle piazze, nei gazebo. Genera instabilità, alimenta
distacco, soffoca il futuro.
(13 dicembre 2007)
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