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Documento d’interesse   Inserito il 14-12-2007


 

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La Repubblica del 13-12-2007

IL RAPPORTO

Gli italiani prigionieri della sfiducia

di ILVO DIAMANTI


A un primo sguardo, la chiave di lettura di questo decimo "Rapporto sull'atteggiamento degli italiani verso lo Stato", condotto da Demos per la Repubblica, è la stessa degli ultimi anni. La sfiducia. Ha sfondato ogni limite. Nei confronti delle istituzioni, soprattutto, ha raggiunto un livello mai raggiunto dal 2000 ad oggi.

Questo sentimento colpisce, in particolare, la magistratura, la scuola, oltre, ovviamente, allo Stato. Anche il consenso verso l'Unione Europea, fra i cittadini, cala al di sotto del 50%. Per la prima volta. Mentre la fiducia nella Chiesa diminuisce sensibilmente. Perdono ulteriormente "credito" le banche. Per non parlare delle istituzioni rappresentative: parlamento e partiti.

Pubblico e privato. Giustizia e interessi. Enti locali e nazionali. Poteri civili e religiosi. Nessun riferimento sembra in grado di conservare credibilità e legittimità fra i cittadini. Nulla di nuovo, potremmo dire, per questo Paese. Dove lo Stato, tradizionalmente, non gode di grande consenso. Tanto più da qualche tempo.

Tuttavia, questa volta, nell'aria si coglie qualcosa di nuovo. Basta considerare con attenzione la "sfiducia", la quale può assumere significati molto diversi.
C'è, ad esempio, una sfiducia "costruttiva", che si esprime quando esiste un'alternativa all'ordine esistente. Ma esiste anche l'inverso: una fiducia "distruttiva", che spazza via un sistema privo di legittimità e consenso. Ancora: c'è la sfiducia "critica", che sfida e sanziona le istituzioni, per costringerle a correggersi. Oppure: la sfiducia "democratica", contrappeso alle tentazioni del potere. Garanzia di libertà. Per citare Benjamin Constant: "Ogni buona costituzione è un atto di sfiducia". Ma c'è anche una sfiducia "cinica", espressa da individui "apoti" o "estranei".
Che intendono "chiamarsi fuori": per ragioni tattiche, opportunistiche; oppure, al contrario, per dissenso radicale. In ognuno di questi casi, però, la sfiducia rivela un orientamento "strategico" dei cittadini nei confronti dello Stato e delle istituzioni. Questa fase, invece, ci sembra caratterizzata da un diverso tipo di sfiducia, che definiremmo "apatica". Senza passione.

Quasi indifferente. Di certo non finalizzata: né al confronto né allo scontro. Ma, soprattutto, non proiettata nel futuro. E' l'aspetto che distingue maggiormente questo Rapporto. Anche nei precedenti emergeva un diffuso sentimento di insoddisfazione retrospettiva e preventiva. Convinti, i cittadini, che "se ieri le cose sono andate male, domani andranno anche peggio".

La "sfiducia apatica", però, va oltre. Non evoca pessimismo, ma eclissi del futuro. Incapacità di guardare e di pensarsi oltre il presente. Anche perché, oggi, il linguaggio della politica e delle istituzioni risulta largamente incomprensibile. Due italiani su tre, d'altronde, ritengono che, ormai, non vi siano più grandi differenze tra i partiti. Certo: metà di essi pensa che "senza partiti non vi sia democrazia"; ma l'altra metà, di riflesso, la pensa in modo diverso. Anzi, circa il 40% sostiene che, anche senza partiti, la democrazia possa funzionare egualmente bene.

Ancora: il 54% degli italiani crede che i partiti debbano disporre di una "base di iscritti". Quindi: di un'organizzazione. Ma il 60% preferirebbe che la scelta del leader scavalcasse ogni vincolo associativo e avvenisse "attraverso elezioni aperte a tutti gli elettori interessati". La stessa indecisione si coglie di fronte alla distinzione fra destra e sinistra.

Insomma, la società italiana oggi appare "confusa". Priva di appigli a cui afferrarsi, per trovare stabilità e sicurezza. Ma anche di punti di riferimento, in base a cui orientarsi e aggregarsi. (Non a caso il Censis, nell'ultimo rapporto, per descrivere la società italiana ha parlato di "mucillagine": un'entità spappolata, senza coesione e senza spessore). Perché gli appigli e i riferimenti mancano. O sfuggono, cambiano di continuo. Oppure ancora: sono incomprensibili. Dal 1991, d'altronde, si susseguono progetti istituzionali, elettorali e politici sempre diversi, sempre provvisori.

Espressi in un linguaggio sempre criptico. Partiti che cambiano nome e cognome; coalizioni a "geometria occasionale". Modelli istituzionali e leggi elettorali in continua evoluzione. Delineano una geografia confusa, dai confini imprecisi. Tra Spagna, Germania, Inghilterra e Francia. Un'ardita opera di sincretismo europeo. Dal sondaggio su cui si basa questo Rapporto, d'altronde, emerge che circa un elettore su due, fra quelli che guardano con favore il proporzionale, valuta in modo altrettanto positivo anche il maggioritario. Non ha in mente un modello diverso e specifico, ma si è, semplicemente, è perduto nel contorto dibattito sui sistemi elettorali. E non si raccapezza più.

E', inoltre, difficile immaginare il "futuro" delle istituzioni in un clima così instabile. Quando il leader dell'opposizione assicura che questo governo è destinato a cadere. Domani. La settimana prossima. Al massimo fra un mese o due. Quando i leader della maggioranza e gli stessi ministri chiedono continue verifiche, minacciano la sfiducia. Senza soluzione di continuità. Difficile non provare sconcerto e senso di precarietà quando idee, valori, norme, istituzioni - i riferimenti della vita pubblica e dell'identità personale - appaiono tanto confusi.

Così, le stesse fondamenta del sistema rivelano qualche scricchiolio un po' sinistro. Il consenso nei confronti della "democrazia" rimane alto. Espresso dal 68% dei cittadini. Ma è in calo sensibile, rispetto agli ultimi anni. Visto che quasi una persona su tre pensa che, almeno per qualche tempo, se ne possa fare a meno. Questa "larga minoranza" cresce ulteriormente nella popolazione giovanile, fino a raggiungere il 40% fra coloro che hanno meno di vent'anni.

I giovani, peraltro, riflettono e riproducono, accentuati, tutti i principali sintomi della sindrome da "presente infinito", che oggi affligge la società italiana. Stressata da orientamenti ambigui e stridenti. Essi, infatti, sono coinvolti in ogni forma di partecipazione. Impegnati a percorrere le vie della protesta. Convinti, più degli altri, che non ci sia bisogno dei partiti. Che destra e sinistra siano distinzioni indistinte. I giovani: esprimono nei confronti di Beppe Grillo il maggior grado di simpatia. Molto superiore a quella attribuita ai principali leader di destra e sinistra. Prodi e Berlusconi. Veltroni e Fini.

Qui è il paradosso italiano del nostro tempo. Questa miscela di sfiducia "apatica", mobilitazione sociale permanente, immaginazione istituzionale e politica senza freni. Questa scena affollata di figure, sigle, bandiere, parole. Non evocano l'antipolitica, ma l'iperpolitica. Troppa politica: sui media, nelle piazze, nei gazebo. Genera instabilità, alimenta distacco, soffoca il futuro.

(13 dicembre 2007)