La
Repubblica 26-5-2008
Al Cern di Ginevra sta per essere avviato l'Lhc, il più grande
acceleratore
di particelle del mondo. Siamo andati a visitare quest'opera straordinaria
Nella Macchina del
Tempo. All'origine dell'universo
di
FABRIZIO RAVELLI
GINEVRA - A cavallo della frontiera franco-svizzera, fra il
lago Lemano e il paese di Voltaire, la storia del mondo si prepara a una
svolta. In mezzo a paesini ordinati coi loro campanili, i prati ben rasati, i
vigneti e le mucche che brucano, l'umanità intera sta per fare un
passo avanti, un salto forse, nella conoscenza dell'universo, della materia e
delle forze sconosciute che lo tengono insieme. "Sappiamo che qualcosa
succederà - dice Fabiola Gianotti, milanese -. È un momento
storico per la scienza, e quel che scopriremo potrebbe cambiare i libri di
testo. Fra un anno o due, c'è la possibilità che si scopra
l'origine della materia oscura che costituisce il venticinque per cento
dell'universo".
Quando sente parole del genere, un povero profano ha due scelte. O si
arrende, volta le spalle e torna alla sua esistenza semi-animale, alle prese
con forme di materia rozza (carta, benzina, asfalto, pastasciutta). Oppure
passa i cancelli del Cern, si affida a una serie di gentili scienziati
compatrioti che qui lavorano, e prova - se non a capire - a immaginare
almeno, a percepire le vibrazioni del momento storico. Mancano poche
settimane. Poi il più grande acceleratore di particelle del mondo,
l'Lhc (Large Hadron Collider), verrà avviato.
Due fasci di protoni cominceranno a viaggiare, nei due sensi, lungo il tunnel
di ventisette chilometri a cento metri sotto terra. Si scontreranno in
quattro rivelatori, sorta di colossali macchine fotografiche che fisseranno
le immagini dell'impatto.
Vedremo l'origine dell'universo, che cosa è successo un decimo di
miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, perché quelle sono le condizioni
che verranno ricreate. Un progetto simile non è mai stato tentato, ed
è il più ambizioso al mondo. Non poteva succedere che qui al
Cern, il più importante laboratorio planetario per la fisica delle particelle,
l'impresa che (dal 1954) tiene insieme venti stati membri europei, e circa
sessanta di tutto il mondo, impegnando ogni giorno ottomila scienziati. Da
luglio in avanti, e per i prossimi anni, ci si aspetta di scoprire qualcosa
che non è mai stato visto, ma solo immaginato coi modelli teorici.
Oggetti misteriosi come la materia oscura, l'antimateria, le supersimmetrie
"Susy", o il bosone di Higgs, ipotetica particella elementare che
il Nobel Leon Max Lederman ha chiamato (facendo storcere la bocca a molti
colleghi) "la particella di Dio".
L'attenzione (non eccessiva) della gente normale verso questo progetto
è stata risvegliata poco tempo fa dall'iniziativa di due personaggi
che hanno tentato di bloccarlo. Con un appello al tribunale delle Hawaii (uno
dei due abita lì, e vi ha fondato l'orto botanico), Walter Wagner e
Luis Sancho hanno sostenuto che l'Lhc è una sorta di "arma fine
di mondo" come quella del Dottor Stranamore, che può produrre
"buchi neri" in grado di inghiottire Ginevra e poi l'intero
pianeta.
Tesi bizzarra, che gli scienziati considerano un'autentica fesseria.
Già in passato esperimenti simili (ma più limitati) avevano
fatto gridare al pericolo di fine del mondo, e poi non era successo niente.
Ma, paradossalmente, la boutade di Wagner-Sancho ha avuto il merito di
ricordare che qui al Cern qualcosa di sensazionale sta per avvenire. Non
"fine di mondo" ma, casomai, la messa in scena del suo inizio.
Nella sala controllo del Cern un fisico italiano, Roberto Saban, tiene
d'occhio sui monitor l'anello sotterraneo che si avvia verso il momento dello
start. È il responsabile del collaudo. "Il fascio di protoni
viaggia all'interno di una conduttura sotto vuoto, e viene guidato da magneti
che gli danno la curvatura necessaria lungo l'anello. Sono 1232 magneti
superconduttori, ognuno un bestione lungo 15 metri e pesante 32
tonnellate, alimentati a 12mila ampére. Specie di thermos, che all'interno
hanno una massa raffreddata a 1,9 kelvin, cioè meno 271 gradi". A
quella temperatura, le bobine di niobio-titanio non presentano resistenza. Se
si usassero magneti "caldi", per raggiungere la stessa energia
l'anello dovrebbe essere lungo 120 chilometri, e consumerebbe 40 volte tanta
elettricità. "Sono magneti "di frontiera", che lavorano
al limite della loro progettazione - spiega Saban - Così come la
criogenia, cioè il sistema di raffreddamento".
Tutto qui è di frontiera, innovativo, avanti: l'ingegneria, i
materiali, i progetti. In ogni campo, la sperimentazione produce ricadute che
fanno fare passi avanti alla vita di tutti i giorni. La tecnologia degli
acceleratori trova applicazione in campo tumorale e nella diagnostica medica,
così come nello studio dei superconduttori, o nei sistemi di screening
delle merci negli aeroporti. Il Cern è, insomma, anche un buon affare
per gli Stati che lo finanziano, Italia compresa.
Ma vediamo l'anello che Saban sta collaudando. I fasci di protoni (cento
miliardi di protoni, in 2800 "pacchetti") viaggeranno all'interno
di un condotto (dieci cm di diametro interno) dove viene creato
l'"ultravuoto", più vuoto che nello spazio, un decimillesimo
di miliardesimo della pressione al livello del mare. I protoni andranno alla
velocità della luce, e faranno il giro dei 27 chilometri
undicimila volte al secondo. Alla massima potenza dell'Lhc, ogni fascio
avrà un'energia pari a quella di un auto lanciata a 1600 chilometri
orari. Ogni protone 7 tev (tera elettrovolt), quindi ogni collisione
raggiungerà i 14 tev: una soglia mai raggiunta, e considerata
necessaria per liberare e riconoscere particelle mai viste. Saban si prepara
a controllare l'anello, i magneti che guidano, ripuliscono e concentrano il
fascio, le temperature di esercizio: "All'inizio, succederà che
non sapremo pilotare la macchina, ma ci aggiusteremo presto".
Lungo il percorso, dentro enormi caverne sotterranee, ci sono i rivelatori,
quattro in tutto. Due (Atlas e Cms) sono "general purpose", hanno
cioè compiti di osservazione più larghi, seppure con tecnologie
diverse. Gli altri due (Alice e Lhcb) sono indirizzati a obiettivi più
specifici. Paolo Giubellino, fisico torinese dell'Infn (Istituto nazionale di
fisica nucleare), è uno dei responsabili di Alice (A Large Ion
Collider Experiment): "Alice studia la materia nucleare ad alta densità,
e cioè il momento in cui si è passati dalla pappa di
quark-gluoni alla formazione di protoni e neutroni. Circa venti milionesimi
di secondo dopo il Big Bang".
Sarà la prima fase dopo l'avviamento del grande acceleratore, quando
per creare Qgp (il plasma di quark-gluoni) si faranno scontrare nuclei di
piombo: "Alice è progettata per lavorare a intensità
più bassa, quindi per il primo anno lavorerà bene. A bassa
intensità, gli eventi sono più rarefatti. Poi gli altri si
metteranno a correre. Ma tutti e quattro continueranno a prendere dati
insieme. Qui è come se si lavorasse in grandi esplorazioni
geografiche, con un gran numero di persone: per ogni rivelatore c'è il
contributo di cento istituti di una trentina di paesi diversi".
I rivelatori sono macchine enormi, costruite intorno alla condotta centrale
dove passerà il fascio. Fabiola Gianotti lavora ad Atlas, un arnese
lungo 46 metri
con un diametro di 25 e pesante circa settemila tonnellate: "Qualunque
sia la fisica nuova che si rivelerà, Atlas e Cms la vedranno. Oggi
conosciamo bene il mondo delle particelle elementari, descritte dalla teoria
del Modello Standard. Il modello spiega bene, ma non risponde a tutte le
domande. Sappiamo che nell'universo c'è un venticinque per cento di
materia oscura, e un settanta di energia oscura. Nessuna delle particelle che
conosciamo può spiegare la materia oscura". Il Modello Standard
è una teoria che disegna la situazione delle nostre conoscenze. Ma la
cosa che sembra sensazionale (a un profano) è che tutto quello che si
conosce, la cosiddetta materia ordinaria di cui noi e ogni oggetto sulla
Terra sono costituiti, non rappresenta che il sei per cento della materia ed
energia dell'universo.
La nostra ignoranza è sconfinata: "Al di là del Modello
Standard ci sono molte teorie, e fenomeni che oggi non conosciamo, anche se
abbiamo qualche idea. La soglia in cui il Modello Standard comincia a dare
segni di cedimento è proprio a quella scala del tev, di energia, che
l'acceleratore Lhc per la prima volta raggiungerà. Il termine materia
oscura indica anche la nostra ignoranza. Siamo di fronte a un muro, e abbiamo
moltissime domande. In questo senso, ci si può aprire un nuovo mondo,
e la posta in gioco è bellissima".
Tutti i libri di testo potrebbero finire in archivio. Dietro quel muro si
potrebbe scoprire l'esistenza del bosone di Higgs, finora solo ipotizzata: un
campo di energia che determina le diverse masse delle particelle. O delle
particelle supersimmetriche dette "Susy", che potrebbe spiegare la
materia oscura, e di massa abbastanza elevata da non poter essere state
prodotte finora artificialmente. Non con il Lep, l'acceleratore del Cern che
ha preceduto l'Lhc.
Guido Tonelli, fisico pisano, è uno degli scienziati responsabili del
Cms, l'altro grande rivelatore. Ha gli stessi obiettivi, grosso modo, di
Atlas, ma con tecnologie diverse. E ciascuno dei due, in pratica, verifica i
risultati dell'altro. "Osserveremo un miliardo di collisioni al secondo.
Fra queste ne sceglieremo centomila che potrebbero essere interessanti, e
alla fine solo cento da immagazzinare su disco. E un flusso di informazioni
paragonabile, in quell'istante, all'intero flusso di informazioni del
mondo". Ecco quindi che, in un caverna adiacente a quella di Atlas,
c'è una grandissima "farm" di computer per selezionare i
dati prima di inviarli al centro di calcolo.
Il tunnel sta per essere chiuso, in preparazione dello start. L'ultimo
segmento aperto è quello che ci mostra Francesco Bertinelli, ingegnere
milanese, che per andare avanti e indietro sotto terra usa la sua mountain-bike:
"Questa che vediamo al Punto 4 è la cavità di
radiofrequenza, in pratica il pedale dell'acceleratore. Ad ogni passaggio il
flusso di protoni aumenta la sua energia". Moltissima tecnologia
è di produzione italiana: un terzo degli enormi magneti, per esempio,
o i tubi senza saldature della Dmv di Costa Volpino. Infine l'ultimo
rivelatore, l'Lhcb: "Questo è diverso dagli altri - spiega Carlo
Forti, romano - perché non è circolare ma asimmetrico.
Osserverà i mesoni B, che dopo la collisione vanno da una parte sola.
E studieremo l'asimmetria materia-antimateria, un miliardesimo di
miliardesimo di secondo dopo il Big Bang. A una temperatura di dieci milioni
di miliardi di gradi".
Tutti i dati degli esperimenti finiscono al Computer centre: "L'analisi
è la parte finale - spiega Massimo Lamanna, udinese - Ma qui è
anche il punto di ingresso nella struttura del Grid". Qui, nel 1990, Tim
Berners-Lee inventò il web, quel www che tutti ora conoscono:
c'è ancora, in vetrina, il pc marca Next che venne usato. E qui si
è creato adesso il Grid: "La necessità di calcolo era
enorme, e si è pensato a una "griglia" che funzionasse come
la rete elettrica. L'Lhc produrrà 15 milioni di gigabytes di dati ogni
anno, qualcosa come tre milioni di dvd". Questa capacità di calcolo,
e di stoccaggio dati, è stata distribuita in circa duecento centri
sparsi per il mondo, e interconnessi. In Italia il nodo è Bologna, a
sua volta collegato con altri nove istituti.
Bene, qualche settimana e l'Lhc comincerà a funzionare. Ma c'è
qualcos'altro, al di là delle probabili rivelazioni in grado di
sconvolgere la conoscenza, che impressiona qui al Cern. Si sono fatte tesi di
sociologia e di antropologia per capire come può funzionare tanto
bene: "Qui lavora gente di culture diverse, senza avere una struttura
coercitiva - dice Paolo Giubellino -. E si cerca, quindi, ogni volta il
consenso". "C'è competizione, ma in assoluta trasparenza e
totale condivisione dei dati - dice Guido Tonelli -. È qualcosa che in
una struttura privata non esiste". Uscendo dal Cern, dopo questa sbornia
di eccitazione per il futuro in arrivo, c'è solo da chiedersi: perché
non esiste un Cern per la cura del cancro o dell'aids?
(25 maggio 2008)
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