CENACOLO DEI
COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 13-3-2009
DOCUMENTI CORRELATI |
|
L’Osservatore Romano 13-3-2009
Una parola chiarificatrice
per la pace nella Chiesa
(Di Benedetto XVI)
(Segue un commento, non
firmato, dello stesso quotidiano)
"Una parola chiarificatrice" per aiutare a
comprendere ragioni e opportunità di "un gesto discreto di
misericordia" trasformatosi in pretesto per polemiche e tensioni anche
all'interno della Chiesa. Vuole essere questa, nelle intenzioni di Benedetto
XVI, la lettera "ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla
remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo
Lefebvre", resa nota giovedì mattina, 12 marzo.
Cari Confratelli nel ministero episcopale!
La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell'anno 1988
dall'Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici
ragioni ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione
di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti
Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi
inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei
compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di
principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa
alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la
convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede
nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di
voler tornare indietro, a prima del Concilio: si
scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite
risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari
Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le
intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della
Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.
Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della
scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati
validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa
totalmente diversa: come la smentita della
riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in
questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un
invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo
di separazione si trasformò così nel suo contrario: un
apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra
cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e
promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro
teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e
per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la
pace all'interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare
profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie
raggiungibili mediante l'internet avrebbe dato la possibilità di venir
tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro
nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono
rimasto rattristato dal fatto che anche i cattolici, che in fondo avrebbero
potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire
con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli
amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a
ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia, che - come nel tempo di Papa
Giovanni Paolo II - anche durante tutto il periodo del
mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad
esistere.
Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto
che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati
illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione.
La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un'Ordinazione episcopale senza
il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in
questione l'unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve
reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le
persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all'unità. A vent'anni
dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La
remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al
ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso
il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di
Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità
dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra
persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento
nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le
persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione
ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare
dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una
posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni
disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica
nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella
Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le
persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il
ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta:
finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la
Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri - anche
se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica - non esercitano in modo
legittimo alcun ministero nella Chiesa.
Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la
Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" - istituzione dal 1988
competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San
Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col
Papa - con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene
chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura
essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio
Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali
con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano
(specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria
annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie
Congregazioni romane e dei rappresentanti dell'Episcopato mondiale nelle
decisioni da prendere. Non si può congelare l'autorità magisteriale
della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad
alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve
essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l'intera
storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve
accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può
tagliare le radici di cui l'albero vive.
Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il
significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009.
Ora però rimane la questione: Era tale
provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse
cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più
urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi
da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo
inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di
Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu ... conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo
questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate
sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è
in voi" (
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia:
questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di
Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo
avere a cuore l'unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro
contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di
Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani -
per l'ecumenismo - è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la
necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino
di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità
delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo
interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve
dare la testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore ai sofferenti,
respingere l'odio e l'inimicizia - è la dimensione sociale della fede
cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica Deus caritas
est.
Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel
mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera
priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole
e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande
chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un
fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente
sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche
cosa contro di te" (cfr. Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione?
Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti
- per quanto possibile - nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per
evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente
errato l'impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti,
così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l'insieme?
Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità
prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno
nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali
e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per
l'insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si
trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti
universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero
tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad
esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l'intreccio delle loro
motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se,
accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per
Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo
noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale
radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi?
Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo
sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e
saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo
aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di
gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non
dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella
consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della
promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci
anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori
dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente
ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la
nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna
tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se
qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa
- perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con
odio senza timore e riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa
lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e
commentare il brano di Gal 5, 13-15. Ho notato con sorpresa
l'immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale:
"Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma
mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti
trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te
stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non
distruggervi del tutto gli uni gli altri!". Sono stato sempre incline a
considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si
trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo
questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come
espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che
anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno
siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo
l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità
suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario
maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di
fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi
tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà - anche in tempi turbolenti. Vorrei così
ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno
donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno
assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i
fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà
immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci
conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in
questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole
alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza
rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Vostro nel Signore
Benetto XVI PP
Dal Vaticano 10-3-2009
L’Osservatore Romano 13-3-2009
Un testo appassionato e senza
precedenti nato dal cuore di Benedetto XVI per
contribuire alla pace nella Chiesa: ecco la lettera del Papa ai vescovi
cattolici sulla remissione della scomunica ai presuli consacrati nel 1988.
Senza precedenti perché non ha precedenti recenti la bufera scatenata in
seguito alla pubblicazione del provvedimento lo scorso 24 gennaio. Non a caso
alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell'annuncio del Vaticano II,
perché l'intenzione del vescovo di Roma - ora confermata ma già di per sé
evidente, come il giorno stesso aveva sottolineato il nostro giornale - era ed
è quella di evitare il pericolo di uno scisma. Con un iniziale gesto di
misericordia, perfettamente in linea con il concilio e con la tradizione della
Chiesa.
Sulla convenienza di questo gesto si sono moltiplicati interrogativi e
soprattutto si sono scagliate contro Benedetto XVI accuse infondate ed
enormi: di rinnegamento del Vaticano II e di oscurantismo. Fino a un
disonesto e incredibile rovesciamento del gesto papale, favorito dalla
diffusione, in una concomitanza di tempi certo non casuale, delle affermazioni
negazioniste nei confronti della Shoah di uno dei presuli a cui il Papa ha
rimesso la scomunica. Affermazioni inaccettabili - e anche questo è stato
subito sottolineato dal giornale del Papa - come inaccettabili e vergognosi
sono gli atteggiamenti verso l'ebraismo di alcuni membri dei gruppi a cui
Benedetto XVI ha teso la mano.
Il rovesciamento della misericordia in un incredibile gesto di ostilità contro
gli ebrei - che si è voluto ripetutamente attribuire al Pontefice da molte
parti, anche autorevoli - è stato grave perché ha ignorato la realtà,
stravolgendo il convincimento e le realizzazioni personali di Joseph Ratzinger
come teologo, come vescovo e come Papa, in testi a disposizione di tutti. Di
fronte a questo attacco concentrico, persino da parte di cattolici e anche
"con odio", Benedetto XVI "tanto più" ha voluto ringraziare
gli ebrei che hanno aiutato a superare questo difficile momento, confermando la
volontà di un'amicizia e di una fratellanza che affonda le sue radici nella
fede dell'unico Dio e nelle Scritture.
La lucidità dell'analisi papale non evita questioni aperte e difficili, come la
necessità di una attenzione e di una comunicazione più preparate e tempestive
in un contesto globale dove l'informazione, onnipresente e sovrabbondante, è di
continuo esposta a manipolazioni e a strumentalizzazioni, tra cui le cosiddette
fughe di notizie, che si fatica a non definire miserande. Anche all'interno
della Curia romana, organismo storicamente collegiale e che nella Chiesa ha un
dovere di esemplarità.
Il Papa affronta poi il cuore della questione: cioè il problema dei
gruppi cosiddetti tradizionalisti e il pericolo dello scisma, con la
distinzione dei livelli disciplinare e dottrinale. In altre parole, sul piano
disciplinare Benedetto XVI ha revocato la scomunica ma su quello dottrinale è
necessario che i tradizionalisti - verso i quali il Papa non risparmia toni
severi ma confidando nella riconciliazione - non congelino il magistero della
Chiesa al 1962. Così come i sedicenti grandi difensori del concilio devono
ricordare che il Vaticano II non può essere separato dalla fede professata e confessata
nel corso dei secoli.
Era davvero una priorità questo gesto? Il Papa risponde di sì perché in un
mondo dove la fiamma della fede rischia di spegnersi la priorità è proprio
condurre gli uomini verso il Dio che ha parlato sul Sinai e si è manifestato in
Gesù. Un Dio che rischia di sparire dall'orizzonte umano e che solo la
testimonianza di unità dei credenti rende credibile. Ecco perché sono
importanti l'unità della Chiesa cattolica e l'impegno ecumenico, ecco perché ha
significato il dialogo tra le religioni. Per questo la grande Chiesa - un
termine caro alla tradizione - deve ricercare la pace con tutti. Per questo i
cattolici non devono dilaniarsi come i Galati a cui
Paolo intorno all'anno 56 scrisse di suo pugno una delle lettere più
drammatiche e belle. Come questa di Papa Benedetto.