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Documento d’interesse   Inserito il 3-8-2009


 

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DOSSIER “I costi della politica”

 

 

 

La Gazzetta del Mezzogiorno 2-8-2009

 

La lussuria della spesa dietro Scandalusia

 

di Giuseppe De Tomaso

Cosa scriverebbe oggi don Luigi Sturzo, che passò a miglior vita l’8 agosto di cinquant’anni fa, se il Signore gli concedesse una vacanza nella sua terra d’origine? Cosa direbbe sulle politiche economiche in atto, sul federalismo, sul Mezzogiorno, sul fisco e sullo statalismo duro a morire? Probabilmente chiederebbe al Padreterno di tornare di corsa in cielo, dal momento che allo Stivale si addice la definizione calata su Napoli da Benedetto Croce (1866-1952): «Un paradiso abitato da diavoli».

Sì, perché tutto hanno fatto le classi dirigenti della Prima e della Seconda Repubblica, tranne che seguire le lezioni del prete, politico, politologo siciliano. D’altronde, lo stesso Sturzo si era reso conto di essere considerato un reperto archeologico dai suoi contemporanei. Figuriamoci dagli altri che sarebbero arrivati dopo.

Allora. Dietro Scandalusia, dietro i problemi, gli sprechi, la corruzione, gli scontri che assorbono i quattro quinti dell’attività politica, si nasconde la libidine, la lussuria (altro che la D’Addario) della spesa pubblica. La maggior parte degli eletti, purtroppo, non è allenata a risparmiare, bensì a spendere, perché spendere significa ipotecare la rielezione in consiglio o in parlamento.

Se, poi, i bilanci vanno in deficit, poco importa. Sindaci, parlamentari e ministri potranno sempre trovare una giustificazione, per chiedere nuovi sacrifìci alla platea dei contribuenti. Ecco gli alibi più citati: dal destino cinico e baro alla questione meridionale, dal federalismo-che-non-cè alla legge elettorale, dalla globalizzazione alla crisi americana. Si fonda su questo gitotondo psico-elettorale la democrazia del debito. Debito pubblico che, va ricordato, corrisponde alla tassazione di domani.

Sturzo, profeta inascoltato, aveva previsto tutto. Aveva previsto la partitocrazia, la cleptocrazia, il dilagare di Tangentopoli, la voglia matta di chi governa di mettere il becco ovunque. Anche Sanitopoli è figlia dell’orgia del potere, cioè della convinzione che la spesa pubblica possa volare verso traguardi sempre più impensabili, come fanno i velocisti dei 100 metri piani che ad ogni Olimpiade battono il record dei Giochi di quattro anni prima.

«Il punto centrale della finanza statale - scriveva Sturzo - non è e non può essere quello di ottenere dal contribuente quanto più gettito è possibile; perché lo Stato moderno tende a divenire il Moloch del mondo: più ha e più spende; più spende e più ha bisogno di avere; aumentando di anno in anno bilanci di spesa, debito pubblico, oneri di tesoreria, contributi e donazioni per innumerevoli enti quasi sempre in bolletta». Pur di mettere a dieta il pachiderma statale, Sturzo arrivava quasi a comprendere e giustificare la tentazione di aggirare l’appuntamento con le tasse («Come si fa a pagarle di buona voglia? Come si fa a non cercare di sottrarsi all’obbligo anche con sotterfugi?»). Il che è tutto dire.

Veniamo all’oggi. La sanità è la principale destinazione delle tasse pagate dai cittadini. Ma, in questo settore, le cose vanno di male in peggio anche sotto il profilo morale, visto che agli sforamenti della spesa corrisponde, spesso, la violazione delle leggi e dei codici etici. «Chiunque diventasse ministro del Sud - osserva Marcello Crivellini, professore di analisi e organizzazione dei sistemi sanitari al Politecnico di Milano - dovrebbe innanzitutto andare a dormire in una caserma dei carabinieri e da lì impegnarsi pubblicamente a non spendere nemmeno un euro in più per la sanità». E’ un’esagerazione, si capisce. Ma se la nuova imprenditoria del Mezzogiorno è l’espressione del giro di appalti, commesse e denaro che ruota attorno alla salute della gente, stiamo freschi. Verrebbe voglia di dire a Tremonti: chiudi il portafogli e non rispondere al telefonino, perché ti vorranno soffiare altri quattrini. Per fortuna non è sempre così, altrimenti verrebbe anche voglia di domandare al ministro dell’economia come si possa conciliare l’idea della Cassa per il Mezzogiorno e della coassiale Banca per il Sud (due istituzioni di ispirazione centralistica) con la riforma del federalismo, che del centralismo rappresenta l’antitesi, visto che mira a rendere autosufficiente e autonomo ciascun ente locale. Non è che anche il ministro, che ha fama di rigore e di impermeabilità alla democrazia del deficit, ha difficoltà a resistere al super-partito della spesa pubblica, l’unico a non andare mai in crisi?

Gli scandali non sono, solo, questioni di uomini affamati di soldi e potere. Gli scandali sono, soprattutto, figli dell’inflazione di regole (confuse e contraddittorie) e della possibilità che viene concessa alla politica di decidere, in prima persona, attraverso la spesa pubblica, chi può arricchirsi e chi no. Proprio come temeva Luigi Sturzo che, paventando la tracimazione dello statalismo, incitava l’opinione pubblica ad aprire gli occhi per non premiare quella Razza Sprecona, che sta alla spesa pubblica come Dracula sta al sangue di tutti.