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L’Espresso
28-9-2007 Bocciati in Finanza Economia: sorprendenti risultati di un
sondaggio Eurisko DI Tito Boeri e Luigi Zingales Borsa o fondi? Che differenza c'è tra
azioni e obbligazioni? E dove conviene mettere il Tfr? Di fronte a decisioni
importanti gli italiani sono quasi analfabeti Nei primi sei mesi del 2007 i
lavoratori dipendenti del settore privato hanno dovuto scegliere dove
allocare i contributi futuri al fondo Trattamento di Fine Rapporto (Tfr). è stato un passo importante. Per la prima volta i
lavoratori sono stati chiamati a decidere su una parte, esigua ma comunque
significativa, della propria pensione. Come l'esperienza degli altri paesi
suggerisce, l'avvio della previdenza complementare è solo il primo
passo verso un sistema in cui ogni lavoratore sarà in controllo del
proprio futuro. Ma sono gli italiani pronti a questo passo? Per pianificare
il proprio futuro non è necessario avere un dottorato in finanza, ma
è necessario avere alcune cognizioni di base su come funziona il mondo
finanziario. è necessario capire, in primo
luogo, che non tutti gli investimenti hanno lo stesso rischio; che in genere
(ma non sempre) ad un rischio maggiore si associa un rendimento maggiore.
Bisogna inoltre essere consapevoli del fatto che piccole differenze nel tasso
di rendimento fanno un enorme differenza su un
orizzonte temporale lungo, quale quello di un lavoratore che decide riguardo
alla propria pensione futura. Nell'arco di un anno, la differenza tra un
rendimento del 5 per cento e del 6 per cento non
sembra così grande, ma nell'arco di 30 anni, chi ha investito in un
fondo che rende il 6 invece del 5 si ritroverà del 30 per cento
più ricco. Per testare la conoscenza dei lavoratori italiani alla fine
del semestre, AnimaFinLab ha commissionato ad Eurisko un sondaggio su di un campione rappresentativo di
lavoratori dipendenti del settore privato. In questo sondaggio abbiamo
inserito alcuni semplicissimi test di cultura finanziaria. La prima domanda
riguarda la differenza tra azioni ed obbligazioni. Abbiamo chiesto
all'intervistato se sono le obbligazioni che, a differenza delle azioni,
attribuiscono il diritto a ricevere un interesse predeterminato sulla somma
investita (la definizione corretta) oppure se sono le azioni che, a
differenza delle obbligazioni, attribuiscono il diritto a ricevere un
interesse predeterminato sulla somma investita. Per non influenzare le
risposte il sondaggio telefonico alternava l'ordine con cui le due opzioni
erano presentate agli intervistati. Quasi quattro rispondenti su dieci (il 38
per cento del campione) non sanno rispondere a questa domanda e un altro 14
per cento risponde in maniera sbagliata. Quindi più di metà
degli intervistati non conosce la principale differenza tra i due titoli di
investimento più semplici. Non stiamo parlando di complessi prodotti
strutturati, che le nostre banche hanno venduto in maniera massiccia a
clienti spesso inconsapevoli, ma di azioni ed obbligazioni. Non sorprende il
fatto che la percentuale di persone che non sanno rispondere a questa domanda
sia più alta (70 per cento) tra i lavoratori in possesso della sola
licenza di scuola media inferiore. Quello che stupisce è che
anche un terzo dei laureati, l'elite intellettuale del Paese, non sa
rispondere (22 per cento) o risponde in maniera
sbagliata (10 per cento). Si potrebbe sperare che questi risultati siano
dovuti alla natura della domanda: più teorica che pratica. Alla fine
non importa se il lavoratore conosce la definizione, è più
importante che sappia che un investimento in un'azione comporta un rischio e
(in media) un rendimento maggiori di un investimento in obbligazioni. Per
questo motivo abbiamo chiesto agli intervistati se l'acquisto di azioni di
una singola impresa offra un rendimento meno rischioso che l'acquisto di un fondo
pensione o di un fondo comune di investimento. L'affermazione è
chiaramente falsa. La funzione dei fondi è proprio quella di ridurre
il rischio dell'investimento in un singolo titolo azionario. Comprando tanti
titoli, i fondi diversificano una parte del rischio insito in ogni
investimento azionario. Questa differenza era cruciale per la scelta di molti
lavoratori che dovevano decidere se lasciare il proprio Tfr nella propria
impresa o investirlo in fondi pensione. Purtroppo le risposte anche su questo
fronte non sono rassicuranti. Il 27 per cento degli intervistati non sa
rispondere alla domanda e il 14 risponde in modo
errato. La percentuale rimane elevata anche tra i laureati dove in totale il
28 per cento non riesce a fornire la risposta esatta. Ancora più
allarmanti sono le risposte che riguardano l'interesse composto. La domanda
è molto semplice. Si chiede all'intervistato quanti soldi avrà
dopo 5 anni se lascia sul conto corrente 100 euro con un tasso di interesse
del 2 per cento all'anno. Le risposte possibili sono 'più di 102 euro
(la risposta esatta)', 'esattamente 102 euro', 'meno
di 102 euro', e 'Non sa indicare'. Solo il 38 per cento degli intervistati
è in grado di dare la risposta esatta. Sorprendentemente la
maggioranza relativa degli intervistati (41 per cento) indica meno di 102
euro. Forse, implicitamente, pensava alle commissioni che in tempi recenti
hanno azzerato (se non portato in territorio negativo) il rendimento
effettivo dei depositi bancari. Tuttavia chi ritiene che il rendimento in 5
anni sia inferiore al 2 per cento non è tra coloro che manifestano
maggiore sfiducia nei confronti delle banche, il che suggerisce che si tratta
di un problema di informazione, più che di scetticismo rispetto alle
nostre banche. Per consolarci di fronte a questa bassa cultura finanziaria
degli italiani ci verrebbe la tentazione di pensare che si
tratta solo di un questionario a cui gli intervistati non hanno dato
molto peso. Quando sono confrontati con scelte reali ci piacerebbe pensare -
i lavoratori dimostrano tutta la loro astuzia finanziaria. Purtroppo i dati
non sembrano confortare questa tesi. Come si vede dall'ultima colonna della
Tabella 1, esiste una forte correlazione tra la cultura finanziaria e le
scelte operate. Il 68 per cento di chi ha scelto i fondi sa che i fondi sono meno rischiosi di un'azione singola, contro il
57 per cento di chi ha preferito lasciare il Tfr in azienda. Anche
controllando per altri fattori (come la dimensione dell'impresa presso cui si lavora e il livello di istruzione), la
consapevolezza del fatto che i fondi sono meno rischiosi contribuisce
significativamente a spiegare la scelta effettuata dai lavoratori lo scorso
giugno. A parità di altre condizioni (tra cui il livello di
istruzione), un lavoratore che sa rispondere in modo corretto alla seconda
domanda ha il 30 per cento in più di probabilità di optare per
un fondo pensione. Questo può fare la differenza tra una vecchiaia
serena e una in ristrettezze economiche. è
difficile esagerare l'importanza della scelta pensionistica. Con
un'inflazione attesa al 2 per cento, il Tfr investito in azienda ha un
rendimento nominale del 3 per cento. Il rendimento atteso di un tipico fondo
azionario è, invece, tra il 6 e il 7 per cento. Per un lavoratore
metalmeccanico con uno stipendio di 24 mila euro, il Tfr lasciato in azienda
porta a maturare una liquidazione di 117 mila euro, mentre investito in un
fondo azionario offrirebbe un capitale di 215 mila euro. Certo la seconda
strategia è più rischiosa, ma su un orizzonte di 30 anni molte
delle fluttuazioni temporanee si compensano, e rimane la differenza enorme
nei rendimenti delle due scelte di investimenti. Di chi è la colpa di
questa bassa cultura finanziaria? Innanzitutto del governo, che ha promosso
una riforma senza mettere i lavoratori in condizione di poter decidere in
modo informato. E la scelta di destinare all'Inps il Tfr lasciato in aziende
al di sopra dei 50 addetti fa sorgere il sospetto che questa mancanza di una
seria campagna di informazione sia stato un atto doloso e non meramente
colposo. In secondo luogo, la colpa è di importanti spezzoni del
sindacato, che, anziché favorire i lavoratori, per motivi ideologici hanno boicottato questa riforma. Basta fare una ricerca su
Google sul rendimento reale del Tfr per trovare siti (come www.unicobas.it/tfr_ confronto.pdf)
ideologicamente contrari ad ogni forma di pensione privata. Gli industriali
non hanno certo fatto propaganda per i fondi pensione. Nelle imprese al di
sotto dei 50 dipendenti, il Tfr trasferito ai fondi veniva sottratto al
finanziamento d'impresa. Ma la colpa maggiore è della scuola,
che non prepara assolutamente i cittadini alle importanti scelte che devono
fare nella vita. è davvero allarmante che
soltanto il 20 per cento dei laureati abbia risposto correttamente a tutte e
tre le nostre tre banali domande. La nostra scuola insegna
trigonometria, geografia astronomica, applicazioni tecniche, educazione
civica (per non parlare di latino e greco), ma non prepara gli studenti alle
scelte più importanti della loro vita. è
davvero venuto il momento di cambiare... Sempre che i pregiudizi ideologici e
gli interessi di parte non puntino proprio sull'ignoranza altrui. n Siamo come le scimmie cappuccine di Maurizio Maggi
Perché le scelte d'investimento sono dettate dall'emotività Parola di
scienziato: molte delle decisioni sul tema degli investimenti non sono tanto
il frutto di calcoli consapevoli quanto il risultato di una reazione emotiva.
Lo sostiene Matteo Motterlini, che insegna
filosofia della scienza e neuro-economia all'Università del San
Raffaele e l'anno scorso ha pubblicato 'Economia emotiva' (Rizzoli), vera e
propria 'galleria degli errori' economici quotidiani. L'ultima crisi
finanziaria internazionale, con le code dei correntisti impauriti fuori dalle
agenzie della banca inglese Northern Rock, ha fatto
tornare d'attualità le paure di 'panic selling', cioè delle vendite irrazionali di
titoli. Cosa possono insegnare le sue ricerche nell'analizzare questa crisi? "L'evidenza sperimentale mostra che i circuiti neurali che
hanno a che fare con il denaro sono gli stessi con cui decidiamo su qualsiasi
altro bene tangibile. In generale, ricerchiamo il piacere e rifuggiamo
il dolore. Ogni nostra scelta d'acquisto (o di vendita) di un titolo è
il prodotto di una trattativa tra l'anticipazione del potenziale 'piacere'
che ci deriva da un guadagno e il potenziale 'dolore' indotto da una perdita.
Oggi sappiamo per esempio che la sola anticipazione di un
guadagno monetario attiva i circuiti cerebrali della gratificazione: gli stessi
che si eccitano per i peccati di gola, il sesso e la cocaina".
Cosa succede dunque quando si devono prendere decisioni finanziarie? "Focalizzarsi sul rendimento atteso fa sì che
attribuiremo maggior peso decisionale alle potenziali vincite, col risultato
che saremo portati a rischiare di più. Al contrario,
focalizzarsi maggiormente sul rischio, fa sì che attribuiremo maggior
peso decisionale alle potenziali perdite, e saremo quindi indotti a rischiare
meno. Entrambi gli atteggiamenti portati agli estremi ci fanno perdere di
vista la fondamentale relazione finanziaria tra rischio e rendimento dei
titoli. La sola che può guidarci nel prendere decisioni razionali. Ecco, in questo momento mi sembra che questa relazione sia
fortemente distorta sotto la pressione dell'emotività". Ma
che succede al cervello, quando ci sono di mezzo risparmio e investimenti?
"Se scrutiamo dentro la nostra testa grazie a scanner progettati allo
scopo mentre prendiamo una decisione economica, 'vediamo'
che sono il piacere e il dolore i protagonisti della scelta. E questa matura
dopo una 'competizione edonica' tra specifici
circuiti neurali. Il ragionamento deliberato giunge quando il processo
decisionale è già bello e finito. La razionalità
dell'homo oeconomicus arriva a cose fatte. Probabilmente arriverà a crisi conclusa". è più forte la paura di perdere dei
quattrini o la speranza di guadagnarne? "Perdere fa male, molto male.
Studi empirici mostrano che l'uomo della strada, manifesta una netta
avversione alle perdite: addirittura nel rapporto di 2,15 a uno. Vale a dire
che il dolore inflitto da una perdita di 1.000 euro, richiede una vincita di
più del doppio per essere ribilanciato.
Stranezze dei nostri particolarissimi conti mentali. La cosa curiosa è
che lo stesso comportamento è esibito dalle scimmie cappuccine
ammaestrate all'uso del denaro: e proprio nell'identico rapporto! Il che la
dice lunga sulla natura umana. L'avversione alle perdite
infatti pare essere una caratteristica innata ed evolutivamente
antica, ben radicata nel nostro cervello. Risale ad almeno
40 milioni d'anni fa". La neurofinanza
può aiutare a tranquillizzare il risparmiatore? "La
neurofinanza ci suggerisce come il cervello prende
le sue decisioni. La cattiva notizia è che cadiamo
sistematicamente in trappole mentali che ci allontanano dalla decisione
'ottimale' (cioè razionale). La buona notizia è che queste
trappole, proprio perché sistematiche, sono prevedibili. Quindi se le conosci
le eviti. La neurofinanza ti
aiuta a conoscerle, insegnandoti a conoscere te stesso". |