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Documento d’interesse Inserito il 12-3-2008
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11-3-2008
Fondazione Edison - Accademia
dei Lincei
I dieci trend che
cambieranno la geo-economia del mondo
Dalla
new economy alla rivincita delle materie prime. Il
ruolo dell’industria e delle risorse naturali nella geo-economia
al centro di un Convegno a Roma promosso dall’Accademia Nazionale dei Lincei e
dalla Fondazione Edison
© EDISON.it - Pubblicata il 11/03/2008
Roma - Sullo sfondo dell’attuale fase di crisi e
instabilità economica americana, che non potrà non avere effetti
anche sul resto del mondo ed in particolare sull’Europa, le forze trainanti
nell’attuale fase della globalizzazione stanno tornando a essere quelle
dell’economia reale, a discapito di quelle finanziarie.
Ciò
è vero non solo nel breve termine ma soprattutto in prospettiva, come
risulta dall’analisi di 10 trend (inclusi quelli demografici ed alimentari) che
stanno cambiando e cambieranno il mondo, secondo le statistiche e le proiezioni
dei maggiori istituti internazionali raccolte dalla Fondazione Edison. Dopo lo
scoppio della bolla della «new economy» qualche anno
fa si parlò di rivincita della «old economy».
Oggi, dopo lo scoppio della bolla immobiliare e dei mutui subprime, dei
derivati e degli hedge fund,
si sta assistendo a una rivincita delle materie prime. I Paesi che attualmente
sembrano avere in mano il » pallino» dell’economia mondiale, quelli che
crescono di più e che hanno più liquidità da investire, attraverso
i fondi sovrani, sono quelli che maggiormente hanno puntato sull’industria
manifatturiera (la Cina) e quelli che hanno tratto vantaggio dalla formidabile
esplosione dei prezzi del petrolio e del gas (Paesi Arabi e Russia) e delle
materie prime agricole (Brasile ed Argentina) innescata dalla
iper-crescita economica della Cina stessa. Sui Paesi avanzati,
già rallentati dalla crisi finanziaria, si sta invece abbattendo una ondata di inflazione energetica ed alimentare generata
dalla crescita accelerata della Cina che va a colpire soprattutto le classi
meno abbienti. Il «caro-Cina» sarà quindi una
realtà con cui fare sempre più i conti nei prossimi anni.
Sono,
questi, alcuni degli spunti forniti da uno studio della Fondazione Edison che
viene presentato oggi a Roma in occasione del Convegno di due giorni «Investimenti esteri e commercio internazionale. La geo-economia dello sviluppo»
organizzato congiuntamente dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla
Fondazione Edison, a cui partecipano numerosi studiosi, top manager ed
esponenti delle istituzioni internazionali ed italiane: Amit
Bhaduri, Marco Buti,
Giovanni Conso, Carlo D’A dda,
Uri Dadush, John Eatwell,
Barry Eichengreen, Marco Fortis,
Giancarlo Gandolfo, Pingfang Hong, Pier Carlo Padoan, Umberto Quadrino, Alberto Quadrio
Curzio e Dominick Salvatore.
I DIECI
TREND CHE STANNO CAMBIANDO E CAMBIERANNO IL MONDO
Proiezioni dei maggiori istituti mondiali raccolte dalla Fondazione Edison
nello studio «Dove va il mondo? Popolazione, economia,
cibo, energia e materie prime»
• POPOLAZIONE – Nel 2030, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, la
popolazione di Cina e India (quasi 3 miliardi di persone) sarà 2,7 volte superiore a quella di Europa, Russia e Nord
America (1,1 miliardi).
• PIL – Nel 2039, secondo le proiezioni della Goldman Sachs, il PIL a
prezzi correnti dei cosiddetti BRICs (Brasile,
Russia, India e Cina) supererà quello complessivo dei Paesi del G-6
(USA, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia). Nel 2041 il PIL della
Cina a prezzi correnti supererà quello USA. Ma già nel 2015,
secondo le proiezioni dell’economista Angus Maddison per l’OCSE, il PIL a parità di potere di
acquisto della Cina supererà quello degli Stati Uniti.
• ENERGIA E CO2 - Secondo le proiezioni dell’International Energy Agency, la Cina diventerà presto il principale
consumatore mondiale di energia, superando gli Stati Uniti poco dopo il 2010.
Nel 2015 il consumo di energia primaria della Cina sarà già di
2,9 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (tep)
contro i 2,6 miliardi degli USA e gli 1,9 miliardi della UE-27.
Nello stesso anno le emissioni totali di CO2 della Cina saranno pari a 8,6
miliardi di tonnellate, contro i 6,4 miliardi degli USA e i 4 miliardi della UE-27.
• CONSUMO DI RAME – La Cina, secondo
l’International Copper Study
Group, ha superato gli Stati Uniti a livello mondiale nel consumo di rame nel
2002 ed ha superato la UE-27 nel 2005. Nel periodo
gennaio-ottobre 2007 il consumo cinese di rame è già stato pari
all’83% di quello complessivo di Stati Uniti e UE-27.
• SALDO COMMERCIALE NELL’ELETTRONICA/TLC – Secondo l’OCSE, dal 2004 la
Cina è diventata il principale esportatore mondiale di prodotti
dell’Information and Communication Technology. Nei prossimi anni rafforzerà sempre
più questa posizione anche con propri marchi ed esportazioni dirette di
proprie aziende.
• CONSUMO DI CARNE - Già oggi la Cina
è il primo consumatore mondiale di carne (bovina+suina+pollo). Negli
ultimi 20 anni i consumi pro capite di carne della Cina sono più che
raddoppiati. Nel 2013, secondo le proiezioni del Food
And Policy Research Institute
(FAPRI), i consumi cinesi di carne supereranno quelli complessivi di Stati
Uniti ed Unione Europea considerati assieme, toccando i 75 milioni di
tonnellate.
• IMPORTAZIONI DI SOIA (IL «PETROLIO VERDE») -
A causa della crescente domanda mangimistica proveniente dai propri allevamenti
e dalla domanda interna di carni, le importazioni di semi di soia della Cina
sono state già pari nel
SURPLUS COMMERCIALE – Secondo «The Economist»
nei dodici mesi intercorsi tra febbraio 2007 e gennaio 2008 il surplus
commerciale con l’estero della Cina è stato di 265,2 miliardi di
dollari. Ha superato quindi l’attivo commerciale della Germania, pari a 257,8
miliardi di dollari nel periodo gennaio-dicembre 2007. Nello stesso tempo il
deficit commerciale con l’estero degli Stati Uniti è stato nel 2007 di
815,6 miliardi di dollari, appesantito in particolare dai deficit bilaterali
con la Cina stessa, il Giappone e i Paesi petroliferi.
RISERVE VALUTARIE – Secondo «The Economist»,
le riserve valutarie della Cina hanno raggiunto a fine dicembre 2007 i 1.530 miliardi di dollari e sono ormai di gran lunga le
più elevate del mondo. Ciò nonostante, il cambio della moneta
cinese resta ancorato artificiosamente al dollaro ed è sempre più
debole, rendendo così «iper-competitive» le
merci cinesi, specie rispetto a quelle europee. Negli ultimi 4 mesi il tasso di
cambio tra la valuta europea e quella cinese è oscillato tra 10,4 e 10,9
renmimbi per euro toccando nuovi massimi storici.
DEBITO PUBBLICO USA IN MANI ASIATICHE – A fine 2007, secondo il Tesoro
USA, il 44,5% del debito pubblico americano collocato sul mercato («debt held by
the public», cioè escluso il debito finanziato direttamente dai fondi
pensionistici, agenzie, ecc.) risultava sottoscritto da investitori stranieri.
In particolare, il valore dei titoli a lungo termine del Tesoro degli Stati
Uniti detenuto dai soli 6 maggiori Paesi asiatici (Cina, Giappone, Hong Kong,
Corea del Sud, Taiwan e Singapore) ha raggiunto i
1.197 miliardi di dollari, pari al 61% delle obbligazioni di questo tipo
detenute da investitori stranieri e a circa ¼ del debito pubblico
complessivo americano collocato sul mercato.
L’IMPATTO
DELLA CRESCITA CINESE SU ENERGIA E MATERIE PRIME
La
pressione della Cina sull’offerta mondiale di materie prime sta determinando
impulsi inflazionistici imprevisti solo fino a qualche anno fa, attraverso il
rincaro dell’energia, delle materie prime industriali ed alimentari. Basti pensare
che la Cina alleva ormai oltre la metà dei
maiali del mondo: la produzione cinese di maiali e’ stata di 630 milioni di
capi nel 2007, cioè un rapporto di quasi 1 maiale e mezzo per ogni
famiglia cinese di tre persone, ed è destinata a crescere: ciò
richiederà colossali quantitativi di cereali foraggieri e farine di semi
oleosi da destinare all’alimentazione animale. Il futuro, oltre che del
petrolio e del gas, sarà dunque sempre più anche del mais e della
soia, il «petrolio verde». La ipercrescita cinese, che
attraverso l’aumento della domanda di energia ha reso dapprima più
ricchi la Russia e i Paesi Arabi, potrà quindi rendere più ricchi
anche il Brasile e l’Argentina, grandi produttori di soia. Basti ricordare che
già nel 2007/2008 la Cina ha importato 34 milioni di tonnellate di semi
di soia, cioè un quantitativo pari a oltre la metà della
produzione del Brasile o a ¾ di quella dell’Argentina. Nello scenario
internazionale un ruolo di rilievo sarà giocato anche dall’India. Se la
Cina è ormai la «fabbrica del mondo», se Russia e Paesi Arabi hanno
accresciuto il loro potere in quanto principali «giacimenti del mondo», se il
Sudamerica sarà sempre più il «granaio del mondo», l’India e’
ormai diventata nei fatti un Paese con un importantissimo settore terziario
avanzato: l’India, oltre a essere il primo consumatore mondiale di zucchero, il
secondo di latte, cereali e oli vegetali, è una potenza nella
siderurgia, ma, soprattutto, è ormai il «call centre» del mondo». I tre grandi settori dell’economia
classica, quelli primario, secondario e terziario, saranno quindi sempre
più influenzati dai Paesi emergenti che sposteranno in modo epocale gli
attuali equilibri internazionali.
Un altro
aspetto cruciale del mondo che cambia sempre più velocemente è quello
dello spostamento del baricentro della domanda di materie prime industriali dal
«vecchio mondo avanzato» verso l’Asia. In particolare, la domanda di commodities della Cina sta diventando sempre più
imponente ed influisce in misura crescente sui corsi internazionali dei
prodotti di base. Inoltre, apre scenari geopolitici nuovi anche per ciò
che riguarda i rapporti del gigante asiatico con i Paesi produttori di materie
prime industriali, analogamente a quanto avviene con quelli produttori di petrolio.
I consumi cinesi di materie prime industriali sono cresciuti in modo
impressionante negli ultimi 6-7 anni. Esemplare è il caso dei metalli
non ferrosi, dove il peso della Cina sul consumo mondiale dei principali
metalli, come risulta dai dati del World Bureau of
Metal Statistics e dell’International Copper Study Group, è
grosso modo raddoppiato dal 1999 al 2006. Ciò è avvenuto nel caso
del rame, dello zinco, dell’alluminio e dello stagno, mentre nel caso del
piombo la quota cinese nella domanda mondiale è addirittura più
che triplicata. Storico è stato il «sorpasso» del consumo di rame
raffinato della Cina ai danni di quello degli Stati Uniti, avvenuto nel 2002,
mentre nel 2007 la Cina ha superato anche la UE-15.
Il boom
della domanda cinese di commodities industriali
è dipeso da due fattori. Innanzitutto dal sopraccitato ruolo di
«fabbrica del mondo» assunto dalla Cina, sia per effetto delle delocalizzazioni
produttive ivi realizzate dalle imprese occidentali, giapponesi e di altri
Paesi asiatici come la Corea e Taiwan, sia in conseguenza dello sviluppo delle
stesse imprese manifatturiere cinesi che producono ed esportano in proprio. In
secondo luogo per effetto del processo di infrastrutturazione
del Paese che ha determinato una forte crescita delle reti e dell’e dilizia, spingendo in modo particolare la domanda di
cemento, metalli e legno. Tutto ciò ha portato la Cina a diventare in
poco tempo il più grande consumatore di materie prime del mondo. Va
sottolineato che la Cina, a livello mondiale, è un produttore importante
di molte commodities, ma ciò non le basta per
essere autosufficiente. La sua «fame» di acciaio, metalli non ferrosi, gomma,
plastiche, legno, carta appare sempre più insaziabile. Conseguentemente
il gigante asiatico è divenuto un importatore netto di diversi prodotti
di base. Ciò spiega la politica sempre più a largo raggio di
Pechino nei riguardi dei Paesi produttori di materie prime, in particolare di
minerali e metalli. Una politica fatta di accordi di approvvigionamento, aiuti
allo sviluppo, intensificazione degli scambi commerciali. Gli interessi della
Cina e di molti Paesi africani e sudamericani appaiono in questa fase storica
complementari. Innanzitutto i Paesi produttori di materie prime traggono
vantaggio dal fatto che la domanda cinese aumenti e tenga in tensione i prezzi
delle commodities sui mercati internazionali,
invertendo così una tendenza al ribasso che sembrava ormai
pluridecennale. Inoltre la Cina non rappresenta attualmente un concorrente
pericoloso per la maggior parte dei Paesi esportatori di materie prime.
Ciò è stato evidenziato da uno studio dell’OECD da cui risulta,
ad esempio, che tra la quasi totalità dei Paesi Latino-americani e la
Cina non esistono sostanziali sovrapposizioni nelle specializzazioni
produttive. I primi, infatti, sono ancora soprattutto specializzati nelle commodities, mentre la seconda lo è nei manufatti.
Solo il Messico appare in difficoltà nella competizione con la Cina
perché anch’esso ha già maturato una spiccata specializzazione
manifatturiera.
Ma
nazioni come Perù, Cile, Brasile e Argentina hanno in questo momento
tutto l’interesse a che la Cina diventi un grande acquirente di minerali e
metalli, oltre che di materie prime agricole, in quanto le loro esportazioni ne
possono beneficiare notevolmente. Ciò è già avvenuto in
misura significativa negli ultimi anni. Ragguardevole, ad esempio, è
risultata la crescita della quota della Cina come acquirente delle esportazioni
del Cile, ricco di minerali e metalli: infatti, la quota di esportazioni cilene
diretta in Cina è salita tra il 1992 e il 2004 dal 2,2% al 10,4%.
Secondo dati dell’ONU Pechino rappresenta ormai il terzo più importante
mercato per il Cile dopo gli Stati Uniti e il Giappone. In particolare secondo
i dati dell’International Trade Centre
Unctad/WTO la Cina costituisce il primo Paese di
sbocco delle esportazioni cilene di rame: al gigante asiatico il Cile ha
venduto nel 2004 1,7 miliardi di dollari di rame, pari al 18% delle sue
esportazioni di questo metallo, nonché 864 milioni di dollari di minerali
metallici. Ma il rischio di una eccessiva dipendenza
delle economie dell’America Latina e dell’Africa dalle politiche di
approvvigionamento e di investimento della Cina è evidente e potrebbe
pregiudicare le prospettive di uno sviluppo economico futuro più
equilibrato di tali aree del mondo, restando esse relegate essenzialmente al
ruolo di pure fornitrici di materie prime, senza che prenda avvio la crescita
di una locale industria manifatturiera. Di nuovo a tutto vantaggio delle nuove locomotive
dell’e conomia mondiale.