CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 10-4-2009
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La Repubblica (9-4-2009)
Il peso politico delle catastrofi
Di Ilvo Diamanti
NESSUNO
ne parla apertamente perché è socialmente inaccettabile. Quando la catastrofe è
appena successa, terribile, sanguinosa. Un dramma immenso. Paesi devastati,
vittime dovunque. Famiglie che piangono i loro cari. Mentre ancora si scava e
si cerca dappertutto, nella speranza che qualcuno ancora sia sopravvissuto. Di
un miracolo. E poi: le macerie. Case scomparse. La casa: ma sapete cosa vuol
dire? È il nostro mondo. La nostra casa: racchiude la nostra vita. Ne traccia i
confini. E' la nostra storia, personale e familiare. Perché si lavora una vita
per farsi la casa che erediteranno i nostri figli. Per cui la tragedia, questa
tragedia, una tragedia come questa: non si porta via solo la vita delle vittime,
ma anche quella di chi resta. La folla degli sfollati. Anch'essi dispersi.
Sperduti. Per cui è impossibile, in questo abisso, non tanto chiedere ma anche
chieder-si. Interrogare se stessi. Se una catastrofe come questa, questa
catastrofe avrà conseguenze politiche. E quali. Tuttavia, è indubbio: le
catastrofi hanno sempre sortito effetti politici. Anche se non dello stesso
segno.
Pensiamo all'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001. Fino a quel
momento Bush e la sua amministrazione avevano proceduto in modo stentato.
Volavano basso, sempre più in basso nel gradimento dell'opinione pubblica
americana. L'attentato terroristico spostò la scala dei valori. L'incertezza
economica lasciò il posto, in fretta, alla questione della sicurezza nazionale
e personale. Alla sindrome d'assedio di fronte al terrorismo senza nome e senza
volto. Bush ne trasse motivo di rafforzamento. Si rilanciò. E il suo regno è
durato a lungo. Insieme alla sua dottrina. Fino a pochi mesi fa. La sua
presidenza: è figlia delle Torri Gemelle, in molti sensi.
Anche Zapatero, molto probabilmente, non avrebbe vinto le elezioni del 2004 e
oggi non sarebbe al governo senza un altro attentato terrorista. Quello alla
stazione Atocha di Madrid, 5 giorni prima del voto.
Quasi 200 morti. Il governo in carica, guidato da Aznar, ne attribuì
immediatamente la responsabilità ai baschi dell'ETA. Ma era una cellula di Al Qaida, che lo rivendicò presto. E il PPE di Aznar,
sospettato (probabilmente in modo ingiusto) di avere "sfruttato"
politicamente il terrore e l'orrore, pagò. Venne sconfitto alle elezioni, di
cui fino a pochi giorni prima appariva il vincitore annunciato e scontato. Da
ciò la conferma dell'avvertimento iniziale. Chiedersi a chi possa giovare,
politicamente, l'orrore è indegno, ma anche rischioso, quando avviene
pubblicamente. Tanto da travolgere chi venga solo sospettato di approfittarne.
Come in Spagna. Tuttavia, in Spagna come negli Usa, si trattò di catastrofi
procurate. Premeditate e realizzate dai terroristi. Con fini apertamente
politici. La politica con altri mezzi.
Chiedersi a chi giovi, chi ne sia il responsabile: è legittimo. Oggi no. In
Abruzzo no. Non c'è premeditazione nelle catastrofi naturali. A cui in Italia
siamo periodicamente sottoposti. Il dio dei terremoti e delle inondazioni non
si informa su chi sia al governo in quel momento. Tuttavia, anche le catastrofi
naturali producono effetti politici. Si pensi ancora, per usare un esempio
noto, alle alluvioni che devastarono la Germania nell'estate del
Dunque, chiedersi se questa catastrofe avrà effetti politici - e quali: è
osceno. Ma non più di quanto lo sia interrogarsi sugli effetti che produrrà dal
punto di vista mediatico. Quanto faranno salire gli ascolti le ore e ore di
tivù dedicate allo spettacolo del dolore e della morte. Su tutte le reti. Talk
show e salotti televisivi. Dirette a tempo pieno. Inviati speciali,
ma speciali veramente. Addosso agli sfollati, ai disperati, di fronte
alle rovine, chiusi nelle loro auto trasformate in rifugi. "Signora,
Lei che ha perso? Chi ha perso?". "Cosa prova ora che non ha più una casa? Un figlio? Una
sorella? Un amico? La nonna?". Lo spettacolo
offerto dallo spettacolo del dolore. E' osceno. Come i dati di ascolto delle
edizioni speciali dei Tg, esibiti quasi fossero trofei (lo ha denunciato nei
giorni scorsi Aldo Grasso). Come l'aggiornamento ossessivo del numero dei
morti. Quasi che la catena delle vittime, allungandosi, infinita, protraesse
anche l'orrore. E lo spettacolo. Perché il dolore fa ascolto. Come la morte,
come la paura. Soprattutto quando si mischiano i generi. D'altra parte, tempo
due giorni, la diretta in mezzo agli sfollati e nelle città ferite dal sisma si
affianca e si alterna al Grande Fratello. Due reality uno
accanto all'altro. Quello dall'Abruzzo, veramente vero. Per cui è meglio non
indignarsi troppo se (sottovoce, piano piano) viene
sollevata la questione circa gli effetti politici della catastrofe. Rafforzerà
la fiducia nel governo, per reazione all'insicurezza, che spinge tutti a
stringersi intorno agli uomini delle istituzioni che vegliano su di noi. O per
simpatia nei confronti del premier e dei ministri, in visita permanente ai
luoghi del disastro? Oppure avverrà il contrario e la catastrofe alimenterà
angoscia e insicurezza, generando un clima di sfiducia nel governo? Perché,
com'è noto, l'insicurezza mina la legittimità delle istituzioni e di chi
comanda.
Indugiare su questi dilemmi è osceno. Ma, credetemi, c'è chi se li pone. Di
certo non le decine di migliaia di protagonisti involontari di questa tragedia.
Né i mille e mille volontari della solidarietà. Ma la questione appare, ben
chiara, nei pensieri di chi fa politica e informazione. E anche oltre.
D'altronde il campo politico ormai coincide largamente con quello mediatico. E
se uno stupro o una catena di piccoli omicidi possono condizionare in modo
sensibile il clima d'opinione e le scelte degli elettori, figurarsi una
tragedia enorme, una catastrofe immensa. Trasformata in uno spettacolo
colossale, che agita i sentimenti delle persone. E ci rende tutti diversi da
come eravamo ieri.
(9 aprile 2009)