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il 17-2-2009
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Dialogo
tra Gerardo Marotta e Hans-Georg Gadamer (1999)
1)
MAROTTA: Professor Gadamer nel Suo ultimo libro - da poco uscito in Germania e
che viene preparato anche per la pubblicazione in italiano - Lei, parlando
della gravità della crisi che investe l'Europa e il mondo, richiama alla mente
l'esperienza di Platone nella Grecia della decadenza, ed afferma che la
situazione europea è un po' simile, e che i filosofi, i pensatori si trovano
oggi di fronte ad una situazione simile a quella nella quale si trovò Platone
nell'esperienza che egli ebbe nell'Atene della decadenza. Cioè Platone si trovò
di fronte al fallimento della classe politica di quel tempo, di fronte ad
errori gravi di quella classe politica, per cui, quando dovette assistere
nientemeno che alla condanna a morte del suo maestro Socrate, comprese e
dovette concludere che la politica non era la strada attraverso la quale si
dovessero risolvere i problemi della democrazia ateniese e della civiltà
ateniese; e quindi non restava al vero uomo di cultura, al vero filosofo, che
votarsi tutto alla filosofia, dedicarsi tutto alla filosofia, per creare una
nuova classe dirigente. Ecco perché Platone fondò l'Accademia. Lei ritiene
quindi - constatato che ci troviamo in questa crisi per cui siamo di fronte
all'incapacità delle classi dirigenti di risolvere politicamente il problema -
che oggi il filosofo debba dedicarsi tutto alla filosofia e che la filosofia
possa rappresentare una soluzione per i nostri gravi problemi?
GADAMER: Penso sia molto istruttivo il paragone da
cui Lei muove. La situazione di una civiltà in declino, come quella dell'Atene
classica, è certamente analoga all'attuale situazione europea. Ciò che allora
si intendeva per filosofia, philosophia, è attualmente rappresentato
dall'intero mondo delle scienze con l'inclusione di ciò che anche oggi si
chiama filosofia. Si tratta quindi di vedere come la cultura scientifica
moderna possa intervenire, con il suo sapere e potere, nell'agire politico. Il
politico di oggi opera in una situazione in cui diviene difficile l'attuazione
delle idee scientifiche e filosofiche. La moderna democrazia si basa su
elezioni e su legislature della durata di quattro o cinque anni, ma il destino
del mondo dipende da decisioni, da scelte che hanno conseguenze durevoli e
vanno molto al di là di questo lasso di tempo. L'attuale problema europeo,
davanti al quale stiamo, è questo: quattro anni di governo presentano una
sproporzione, una discrepanza rispetto a scelte che decidono di decenni, di
secoli e forse dello stesso destino del pianeta.
2)
MAROTTA: Tutti noi ammiriamo che Lei dalla Sua Heidelberg, a novanta anni,
ogni anno compie un giro per i paesi d'Europa, specialmente in Italia, e anche
negli Stati Uniti, per istruire i giovani: in questo modo Lei dimostra di
sentire la responsabilità della Sua posizione di uomo di cultura, Platone
direbbe di vero uomo di cultura. È infatti molto importante comprendere la
differenza tra intellettuale di mestiere, di professione e il vero uomo di cultura,
il vero filosofo. Da tutta la Sua esperienza si ricava come oggi la
responsabilità dell'intellettuale, la responsabilità del vero uomo di cultura,
sia in primo piano e che dalla cultura dipendono le sorti dell'umanità. Del
resto Lei nella Sua risposta - chiarendo come per vera filosofia oggi si
intenda il complesso della filosofia e delle scienze, che era tutto riassunto
nell'antichità nella sola filosofia, madre di tutte le scienze - dà una
responsabilità globale agli intellettuali, siano essi filosofi, siano essi
scienziati. Eppure gli uomini di cultura di oggi sembrano chiudersi nel loro
"particulare". È difficile trovare una personalità come Lei. Direi
che i filosofi si sono chiusi nell'accademia, ed in fondo la figura
dell'intellettuale si sia rimpicciolita rispetto agli aumentati bisogni del
mondo, al bisogno enorme di vera cultura che ha l'umanità per potersi salvare.
Gli uomini di cultura dovrebbero indicare una strada nuova, e i valori per
formare un'umanità nuova, un'umanità diversa, che non sia guidata dai vecchi
schemi e dai vecchi valori. Direi che l'intellettuale di oggi, l'uomo di
cultura di oggi, non solamente si è rimpicciolito nei suoi orizzonti, ma non si
può fare alcun paragone con gli uomini di cultura del '500, del '600, del '700,
i quali avevano ben più chiara la missione dell'Europa, i doveri dell'Europa
verso il mondo, e della cultura europea in particolare. Di fronte a fenomeni ed
eventi storici terribili e drammatici - come quelli della conquista del Nuovo
Mondo, del genocidio perpetrato nel Nuovo Mondo nella cancellazione delle
grandissime civiltà degli Atzechi, degli Incas, dei Maya, degli orribili
delitti perpetrati dai colonizzatori spagnoli e portoghesi - i grandi
intellettuali e i grandi umanisti, come Bartolomeo de las Casas, Montaigne,
Paracelso, Erasmo da Rotterdam, levarono alta la protesta per queste infamie
dello spirito di rapina che si era andato formando nella mentalità europea, e
seppero affrontare anche le monarchie. Las Casas infatti si è rivolto con
grande fermezza a Carlo V, a Filippo II, da pari a pari, protestando per quello
che avveniva nel Nuovo Mondo e contestando la politica delle monarchie. Questo
coraggio, questa forza enorme che ebbero quei grandi umanisti - anche se essi
rimasero sconfitti e vinse e prevalse lo spirito di rapina - questa forza,
questa capacità di intervenire nella "cosa pubblica", nella politica,
oggi non c'è più. E non c'è più nemmeno quello spirito illuminista degli
intellettuali del '
GADAMER: In un'epoca di transizione, come quella in
cui viviamo, è molto difficile considerare compiti a breve scadenza. Nella Sua
esposizione Lei ha giustamente incluso non solo Atene, ma anche gli albori
dell'Europa. Questa ha esercitato così a lungo la sua egemonia culturale ed
economica da porci oggi di fronte a compiti del tutto nuovi, al cui interno
però l'impegno dell'Europa non si è rimpicciolito, ma è diverso. Cosa può
attendersi dalla cultura l'impegno per il risanamento dell'umanità su questo
pianeta? La cultura ha un grande vantaggio rispetto a tutti gli altri beni che
hanno un ruolo nella vita politica; questi ultimi sono fatti in modo tale da
diminuire se vengono ripartiti, se ne riceve solo una parte. La cultura invece
è l'unico bene dell'umanità che diventa più grande se molti partecipano ad
essa. Questo è per cosi dire l'impegno, il compito del futuro. Viviamo in un
mondo in cui non si tratta più solo di ripartire i beni per avere una più equa
distribuzione tra ricchezza e povertà, tra la mancanza di presupposti per una
vita sana e buona e la sovrabbondanza di lusso e di civilizzazione. L'Europa ha
un pesante destino in quanto potenza economica di primo piano, alleata ad altre
due grandi potenze economiche che mettono in opera e sviluppano i fattori
determinanti della scienza europea. Perciò dubito molto che l'impresa di risanamento
possa riuscire se non eleviamo, non incrementiamo la nostra cultura, ossia se
non favoriamo la comprensione reciproca per le cose che determinano la qualità
della vita. Qui forse possiamo realmente trovare il giusto insegnamento,
l'indicazione del giusto cammino. Partendo dalle mie idee e convinzioni
filosofiche parlerei a questo proposito di riflessione ermeneutica. Sono cioè
convinto che noi non ci conosciamo così bene come ci conoscono gli altri, e gli
altri non si conoscono così bene come li conosciamo noi. Questo è il destino
dell'uomo, egli è così dominato dai propri interessi e dalle passioni da non
riuscire ad ascoltare, a prestare attenzione a ciò che in fondo anima tutti. La
crisi del marxismo è stata in sostanza la crisi dell'applicazione di
un'importante forma politico-sociale e politico-economica e dei suoi obiettivi
di dominio. Si tratta quindi di qualcosa di completamente diverso dalla
cooperazione tra la massa degli uomini, che conducono la loro vita, e la classe
dirigente, i politici, gli economisti. Il compito del futuro riguarda la presa
di coscienza del fatto che non c'è una realtà ideale, ma possono tuttavia
esistere approssimazioni alla comprensione reciproca e si può giungere a forme
di solidarietà. Ne è un esempio l'ecologia o il fatto che tutte le decisioni da
prendere sono possibili, al giorno d'oggi, solo grazie alla cooperazione di
tutti i paesi del mondo. Noi possiamo contribuire alla formazione di una
coscienza che ci faccia riconoscere questi compiti come "nostri". A
questo scopo dobbiamo indebolire gli egoismi nazionali, gli egoismi personali e
distogliere l'uomo dall'ossessione di perseguire le proprie mete. Se vogliamo
sopravvivere si devono poter considerare gli altri in relazione con noi, come
qualcosa di analogo a noi, come un'istanza che possa continuamente liberarci
dall'abbaglio e dall'accecamento. Questo mi sembra essere il compito della
cultura. E quella riflessione filosofica, capace di fondare questo compito
contro tutte le obiezioni di coloro che la pensano diversamente, mi sembra
faccia sperare in un reale esito positivo del futuro processo educativo, il
quale, credo, abbia bisogno di molti decenni. Io posso soltanto esortare alla
tolleranza, alla perseveranza e alla tenacia. L'avanzare del potere scientifico
moderno, la rivoluzione industriale, nella quale viviamo, sono cose che, pian
piano, devono trovare nuove forme di adattamento ai compiti politici del
futuro. Noi - ossia gli uomini che hanno a che fare con la cultura - possiamo
forse preparare l'atmosfera per la disponibilità alla vera cooperazione fra le
potenze guida dell'attuale umanità. Questa è la speranza con cui un filosofo
guarda al futuro, verso cui nutre preoccupazione, ma anche fiducia; quella
fiducia secondo cui, nel corso della storia europea e dei suoi presupposti
cristiani, la ragione umana e, in definitiva, il sentimento di solidarietà fra
gli uomini sono diventati molto diversi rispetto ai difficili tempi del
passato, in cui non si consideravano con molta attenzione gli interessi degli altri,
dei popoli limitrofi, degli avversari, dei rivali. Questa è per così dire la
visione del ruolo della cultura nella vita dell'umanità che può avere un
osservatore misurato, obiettivo e realista.
3)
MAROTTA: Professore, oggi che tutta l'Europa festeggia il Suo novantesimo
compleanno e si riconosce in Lei perché La giudica il rappresentante più
illustre della cultura europea e vede in Lei la più grande coscienza europea,
potrebbe parlarci della Sua esperienza in Italia e spiegarci i motivi della Sua
predilezione per l'Italia? Il Suo annuale viaggio in Italia è stato un po'
paragonato ai viaggi di Platone nella Magna Grecia per attingere alla filosofia
pitagorica e alla filosofia eleatica. Come Lei giustamente ha detto, l'Atene
del quarto e del quinto secolo è un luminoso esempio di civiltà, ma tardo
rispetto alla Magna Grecia del sesto secolo. Qui Platone è appunto venuto ad
attingere il concetto della aletheia, della verità, dalla filosofia eleatica e
ha inteso apprendere la matematica, la politica dai pitagorici. Ora Lei è stato
chiamato il nuovo Platone, i suoi viaggi sono stati raffigurati e paragonati a
quelli di Platone. C'è un'altra domanda che si fanno tutti in Italia: perché
Hans-Georg Gadamer predilige soprattutto insegnare i temi della filosofia greca,
del pensiero antico ? Ci si chiede come mai il Suo vademecum siano i libri di
Platone e di Aristotele e perché Lei tenga a dare ai giovani, a trasmettere ai
giovani, questi contenuti del pensiero antico e non insegni che raramente i
principi della Sua filosofia. Anche se è vero che la Sua Weltanschauung ed i
Suoi principi filosofici poi si inverano nell'insegnamento che Lei fa della
filosofia antica e che quindi Lei tiene sempre presente i Suoi principi, la Sua
filosofia, quando insegna i temi della filosofia antica. Allora ci racconta
questo Suo viaggio di nuovo?
GADAMER: Grazie. Vorrei dire per prima cosa che
naturalmente sono uno dei molti che per fortuna esistono ancora in Europa e riconoscono
con piena consapevolezza l'impegno del nostro tempo per il futuro come un
"compito proprio". Non sono così straordinario. Lei però ha fatto due
domande. La prima riguarda il motivo per cui considero tanto importante
l'insegnamento e la trasmissione della mia filosofia, delle mie idee
filosofiche negli altri paesi. L'altra domanda riguarda il motivo per cui nel
mio insegnamento filosofico ha un ruolo decisivo la filosofia greca. In effetti
entrambi le questioni sono strettamente connesse. Infatti quello che viviamo
nel nostro mondo attuale è la crisi di un'incredibile unilateralità, vediamo
l'uomo insorgere contro la natura impugnando l'arma della scienza. L'energia
con cui questa piccola Europa, con le sue idee civilizzatrici e con la sua
potenza tecnologica, si è estesa in tutto il mondo, ci esorta ad indagare come
sia possibile raggiungere un equilibrio migliore nella nostra vita; un
equilibrio che permetta di non consumare più le nostre energie solo nella
caccia furiosa di progresso, ma di promuovere nuovamente, attraverso l'arte ed
il pensiero, il sorgere di grandi creazioni, volte alla cura e all'abbellimento
della nostra vita, al suo arricchimento, e a promulgare così altri valori che
possano attestarsi fra gli uomini e rendere felice l'umanità. Questo è il
nostro peculiare compito. Ciò comporta un ritorno alle radici, alle origini da
cui l'Europa si è sviluppata divenendo una potenza egemone nel processo di
civilizzazione e nel campo economico. All'Europa appartengono anche gli Stati
Uniti d'America e l'odierno Giappone. Entrambi sono in effetti conseguenze,
emanazioni dell'enorme processo della rivoluzione industriale. Come possiamo,
all'interno della rivoluzione industriale e delle sue conseguenze, scegliere
strade ed evidenziare forme che producano in questo mondo nuove forme di
solidarietà tra la massa degli uomini e le forze guida e produttive? La mia
filosofia è soltanto una delle formulazioni di questo compito, ma con essa
spero di risvegliare, di sensibilizzare proprio la coscienza dei giovani e di
far dire loro: "Ciò che è ora in gioco ci riguarda. Spetta dunque a noi
iniziare a trovare, in modo misurato e tenace, le nuove forze che la vita
richiede affinché l'incessante e furioso progresso non ci porti alla rovina
". A questo scopo possiamo apprendere molto dai greci e dalla cultura
umanista che si nutre di quella greca. E se l'Italia è così attraente per me,
ciò è dovuto principalmente al fatto che in questo paese la tradizione
umanista, corrispondente allo spirito del popolo italiano, ha conservato una
certa sensibilità per la misura, per la moderazione. Noi tedeschi abbiamo una
modalità di vita del tutto opposta, siamo sempre spinti a prendere posizioni
estreme e radicali, siamo abituati a lavorare energicamente. Ciò ha delle
conseguenze. Nella produzione intellettuale, nella sfera del pensiero non siamo
certamente gli ultimi, ma non abbiamo la coscienza naturale della misura,
palesemente presente invece nella cultura latina e in quelle particolari forme,
assimilate dal mondo culturale italiano, che trovo affascinanti ed istruttive.
Questo è anche, in parte, il motivo per cui vengo volentieri in Italia ad
insegnare filosofia. Sono andato anche in America e dovunque possa divulgare le
mie idee avvalendomi, in una certa misura, della mia conoscenza delle lingue
straniere. Non è possibile insegnare filosofia senza l'immediata capacità
persuasiva del linguaggio vivo, parlato. Affidandosi soltanto alle traduzioni
non si può destare, stimolare e rafforzare la capacità creativa del pensiero, non
rimane quindi altro che avvalersi della lingua madre di ogni paese in cui si
desidera esporre, divulgare le proprie idee. Questo è il motivo per cui ho
iniziato, a questa tarda età, a viaggiare e a non insegnare soltanto nel mio
paese, bensì, finché ne sarò in grado, anche in altri continenti, in altri
ambiti e cerchie culturali. Purtroppo non parlo il giapponese, il cinese e il
russo, ma se avessi saputo anche queste tre lingue avrei senz'altro raggiunto
questi paesi per insegnare e divulgare i miei pensieri, e tentare così di
rafforzare la solidarietà fra gli uomini, la loro disponibilità a quel
colloquio che il futuro ci richiede.
4)
MAROTTA: Lei ha dichiarato, in un'intervista molto nota, che l'incontro
della cultura, della filosofia, del pensiero occidentale con le grandi civiltà
orientali, si è reso al giorno d'oggi indispensabile per la creazione di nuove
categorie di pensiero che possano esprimere nuovi valori per l'umanità futura,
e che questo potrebbe essere una delle vie per risolvere la crisi nella quale
si trova l'umanità. L'incontro tra la civiltà occidentale e quella orientale
può creare nuove categorie di pensiero. Vuole chiarire questo concetto delle
nuove categorie di pensiero? Sembra una cosa molto interessante, che è stata
seguita con molto interesse. Che cosa intende Lei per creazione di nuove
categorie di pensiero attraverso l'incontro di queste civiltà? In effetti tutti
coloro che si sono interessati in questo secolo alla civiltà orientale non
hanno saputo porre l'accento su questo punto. Hermann Hesse ha espresso la sua
grande ammirazione per le civiltà dell'Oriente, però non è stata mai indicata
così concretamente, specificamente, come Lei ha indicato nelle Sue interviste,
questa via nuova, questa strada della creazione di nuove categorie di pensiero
come risultato di questo incontro delle civiltà occidentali e orientali. In
fondo, Professore, l'Europa è una cattiva pedagoga, ha usato l'oppio per
mettere in ginocchio la classe dirigente cinese. Il Ministro dell'Imperatore
chiese: "Perché la Regina Vittoria, che è il capo di una grande nazione,
manda qui l'oppio per mettere in ginocchio la nostra burocrazia e la nostra
gioventù?". La cultura europea non è riuscita a passare per l'interno
degli europei, nell'anima degli europei, ma è diventata qualche cosa di
esterno, un patrimonio esterno; come quando si comprano i quadri o si espongono
nei musei. Essa non è passata nell'anima occidentale. La tradizione del grande
umanesimo e dell'esperienza cristiana non sono passate all'interno; anzi subito
dopo la sconfitta dell'umanesimo si è pensato a scristianizzare l'Europa.
GADAMER: Certamente, è proprio dell'egemonia della
cultura scientifica basarsi sul monologo. Rispetto alle altre culture noi tutti
abbiamo disimparato che non è il monologo e l'impiego delle autorevoli
competenze degli esperti scientifici a promulgare la vita, ma lo scambio
dialogico, lo scambio che avviene nel dialogo, nella disputa e nella lotta fra
le opinioni. Dobbiamo pensare alla retorica, ma non nel senso di un'arma nelle
mani dei potenti, bensì come capacità persuasiva delle idee. Ecco perché guardo
ai greci con tanta ammirazione. Per questo popolo era naturale discutere in
modo sentito, vivace per le strade e nelle piazze di Atene o di altre città.
Dobbiamo ritornare alla dimensione del dialogo e sviluppare, completare in
questo senso la nostra cultura, divenuta eccessivamente letteraria; dobbiamo
cioè tendere ad un dialogo reale all'interno di tutta la cultura dell'umanità.
Questo è l'impegno, il compito che riguarda tutti noi. E i nuovi strumenti
tecnici, come la radio e la televisione, devono essere impiegati in questa
direzione favorendo la diffusione del dialogo. Cosa, del resto, molto difficile
poiché si tratta di istituzioni basate sul monologo. I privilegi delle stazioni
radio e degli enti televisivi dipendono dal potere di coloro che di volta in
volta lo detengono. Ogni rivoluzione del mondo attuale è legata in primo luogo
alle stazioni radio e televisive perché l'opinione pubblica trae le sue
tendenze di fondo da questi mezzi di divulgazione. Il dialogo dunque, cui pian
piano si deve giungere, non è il dialogo degli esperti. Dovrebbero invece
essere i popoli, nel loro reciproco scambio e rapporto, a prendere la parola.
La mancanza di consenso è stata la catastrofe del comunismo negli ultimi anni.
E la mancanza di consenso è catastrofica per la conquista di un'armonica vita
sociale e politica. Anche la rivoluzione francese è stata un'esplosione dovuta
alla mancanza di consenso, di accordo tra la classe dominante ed il popolo.
Abbiamo bisogno di un nuovo accordo tra l'umanità e le grandi forze e potenze,
responsabili del destino dell'uomo. Abbiamo bisogno del consenso, dell'accordo
fra gli uomini. Seguo con una certa speranza il modo in cui i giovani di tutti
i paesi iniziano lentamente a comprendere il problema ecologico. Anche questa è
una strada per modificare la coscienza. E solo grazie ad una modificazione
della coscienza possiamo sperare di dar vita, di produrre una nuova coscienza
comune.
5)
MAROTTA: Pericle, apprendiamo da Tucidide, si rivolgeva ad Atene
esortandola seguire i più grandi ideali, a diventare Scuola dell'Ellade,
cioè maestra e guida di un mondo più grande. Invece Atene non stette a sentire
questi avvertimenti e, dopo la morte di Pericle, si gettò nell'avventura della
spedizione contro le città della Sicilia. E - dice Tucidide - da allora
cominciò la decadenza di Atene e di tutta l'Ellade.
GADAMER: È giusto, ma allora si trattava di un
mondo che aveva modalità di formazione del tutto diverse. Il peculiare destino
del nostro mondo è l'interdipendenza. La dipendenza reciproca di tutte le cose
è divenuta così enorme, che lo stesso avvicendarsi delle legislature non può
incidere in profondità, come a quel tempo poteva incidere l'iniziativa del
singolo. Questo vale anche nell'ambito intellettuale e scientifico. Esso è
divenuto un sistema in cui effettivamente il semplice intervento di piccoli
integrali condiziona la nostra coscienza. Noi non sappiamo, nessuno di noi, né
Lei né io, sa cosa può realmente dare, a cosa può realmente contribuire il
nostro lavoro per il futuro. Noi tutti però dobbiamo vivere nella
consapevolezza che il nostro contributo è teso a favorire la solidarietà e a
rasserenare il futuro dei nostri giovani, il futuro della nostra cultura. Si
deve sempre considerare che a quei tempi il singolo aveva ancora una
considerevole capacità di plasmazione e formazione. Non dobbiamo dimenticare
che oggi la stabilità, la solidità delle istituzioni ci preserva in molti casi
dal commettere errori. Montesquieu, che Lei ha giustamente citato, nel
suddividere i poteri ha indicato un principio con cui è possibile
salvaguardarsi dagli errori e dall'abuso del potere. E questo accade anche
nelle nuove normative della cooperazione internazionale. La Comunità Europea
offre uno scenario in cui costantemente si può vedere come le potenze nazionali
ed i loro egoismi debbano di continuo accordarsi con le istanze, le
responsabilità internazionali. Non avremo mai condizioni ideali ma, grazie alla
ricerca di condizioni ideali, speriamo tuttavia di dare lentamente spazio - non
solo in Europa, ma anche in Africa, nell'America del Sud, nel vasto mondo
orientale dell'impero russo - a condizioni di vita accettabili, e chissà
persino migliori di quelle attuali, sperando così di mettere in atto nuove
forme di solidarietà.
6)
MAROTTA: Resta però il problema che la grande voce della cultura, le grandi
tradizioni culturali europee non hanno salvato il mondo dalle due guerre
mondiali. E quindi ha prevalso l'Europa della barbarie, l'Europa dello spirito
di rapina sull'Europa della cultura. L'Europa della cultura ha perso ancora una
volta. Come hanno perso i grandi umanisti, così oggi ha perso l'Europa della
cultura, perché le due guerre mondiali sono una tragica testimonianza della prevalenza
dello spirito di rapina. E riuscirà la cultura europea ad imporsi sugli
sviluppi della scienza e delle tecnica? Riuscirà la grande tradizione culturale
europea ad imporsi perché gli esiti della rivoluzione industriale non siano
nefasti e la scienza e la tecnica servano invece per salvare l'umanità che
aspetta, mentre i quattro quinti del mondo sono condannati alla fame, mentre
l'Europa continua, attraverso la sua politica finanziaria, a sfruttare tutto il
mondo e a condannare il mondo alla fame? Il rapporto che negli Stati Uniti
d'America ha fatto il Dipartimento di Stato, dice: "Come abbiamo distrutto
il continente africano". Cioè oggi si ha coscienza del male, ma non si
riesce a prendere la strada del bene perché la grande tradizione culturale
europea non è all'interno dell'anima europea, non è riuscita a convincere. Ecco
perché Croce diceva che solo le grandi religioni, i grandi movimenti religiosi
riescono a prendere l'anima dell'uomo. E quindi l'uomo è rimasto come deserto
di ideali e si arrabatta a sopravvivere in questa lotta stupida e piuttosto
insignificante, banale rispetto a quello che sono i grandi compiti
dell'umanità.
GADAMER: Sono completamente d'accordo con Lei nel
ritenere incredibilmente difficile il compito da attuare. La cultura che una
volta ha realmente contribuito alla formazione dell'umanità e del suo destino,
oggi, nel mondo produttivo e del lavoro, è divenuta in qualche modo un museo.
Come si possa nuovamente trasformare il museo in tempio, e come il sentimento
comune degli uomini, ciò che unisce noi tutti, possa tornare ad essere il
centro della nostra vita, del nostro senso vitale, tutto questo è un compito
infinito. Per questo posso solo ripetere: dobbiamo conoscere la meta ed avere
la pazienza, l'accortezza di procedere a passi lenti, misurati. Le guerre
mondiali, cui Lei allude, erano infatti anche il frutto dello sviluppo della
scienza e della tecnica , le quali hanno fatto in modo che le armi belliche
divenissero un pericolo terribile per l'uomo. Lei ha fatto riferimento alla
conquista del Nuovo Continente e alle atrocità commesse. Anche lì il pericolo
era dato dall'incommensurabile superiorità dei mezzi tecnici dei conquistatori.
Oggi, la grande incommensurabile superiorità delle nostre armi e dei nostri
mezzi tecnici può comportare il pericolo di distruggere il mondo naturale e di
sostituirlo con un mondo costruito artificialmente. Io vedo i pericoli, ma non
sono un profeta, un veggente. Come Platone, posso soltanto dire: " vedo
che tutti gli Stati vengono male amministrati e per questo è giusto lavorare
per la trasformazione della nostra coscienza, ossia fare filosofia".