HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documento d’interesse Inserito il 2-10-2007 |
|||
|
|||
Il Corriere della Sera 2-10-2007 l fenomeno Grillo e il lessico della
democrazia Il revival del
populismo Giovanni Sartori Non vorrei che il grillismo si arenasse
in un confuso e inconcludente dibattito sulla antipolitica.
Nel caso di Beppe Grillo, anti sta solo per dire «basta » con questi
politici, con questi partiti e con questa politica. E, se così, il grillismo non ha sottintesi o implicazioni
antidemocratiche. Io non temo ritorni al fascismo né al comunismo (storico)
perché entrambi questi regimi hanno perduto, in Occidente, il loro principio
di legittimità. Oggi nemmeno Chávez, il più avanzato demagogo
dell'America Latina, osa dire che «lo Stato sono io». Oggi la legittimazione
del potere (a meno che non sia teocratica) deve essere democratica, deve
essere «in nome del popolo ». Però e invece temo «la democrazia che
uccide la democrazia, la democrazia che si suicida».
Un timore che ci impone di
rivisitare la trinità democrazia-
populismo-demagogia. Si tratta di una trinità perché queste nozioni
hanno la stessa testa: la parola demos in greco, populus in latino, e popolo in italiano. Ma questo fatto
non le rende sinonimi. Demagogia è l'arte di trascinare e incantare le
masse che, secondo Aristotile, porta alla oligarchia o alla tirannide. In ogni caso, il termine
indica un agire e un «mobilitare» dall'alto che non ha nulla da spartire con
la democrazia come potere attivato dal basso. Il termine populismo è
molto più recente e ci arriva dalla Russia, dove fu coniato alla
metà dell'Ottocento per indicare una rivoluzione dei contadini (fermo
restando che la parola narod sta, in russo, per
popolo). Un significato che poi riemerge all'inizio del secolo scorso negli
Stati Uniti. Il primo movimento fu represso, e il secondo fallì. Il
che fece anche sparire la parola. Così la teoria della
democrazia continuò a usare, per
indicare una degenerazione o una minaccia alla democrazia, la parola
demagogia. Poi, d'un tratto, da una ventina d'anni, diventa di moda
«populismo». Perché? Non sono ancora riuscito a capirlo. Intanto offro la mia
interpretazione e relativa proposta. Concettualmente è irrilevante che
il populismo sia nato «agrario». Concettualmente è importante, invece,
che denoti una genuina democrazia «immediata » che nasce dal basso e che, per
questo rispetto, è l'esatto contrario di demagogia. Pertanto il
populismo così definito (si sa che io sono un maniaco delle
definizioni) ha la forza di essere una democrazia embrionale genuina, ma al
contempo la terribile debolezza di incarnare un infantilismo politico (direbbe
Lenin) incapace di costruire alcunché. Le sue proposte «al positivo» sono,
appunto, puerili e inconsistenti. Da quanto sopra si ricava che
Grillo è, ad oggi, un populista,
non un demagogo. La demagogia, in Italia, sta al governo. Intendiamoci: nelle
democrazie di massa e contestualmente di video- potere senza un modico di
demagogia nessun leader farebbe oramai molta strada. Eppure se paragoniamo
Prodi e Berlusconi a Schröder e alla Merkel, o alla Thatcher e Tony Blair, o
a Zapatero e predecessori in Spagna, risulta in modo lampante che solo i
«nostri» antepongono la conquista del potere o l'abbarbicamento al potere a qualsiasi interesse e necessità del Paese.
Come sarò pronto a dimostrare a richiesta. Qui mi interessa soltanto
di portare in evidenza la caratterizzazione fortemente demagogica dei nostri
malanni. Alla classica domanda «cosa avete fatto per il vostro Paese?»,
Berlusconi potrebbe rispondere: niente, salvo che liberarlo da Prodi. E
viceversa. Cioè Prodi potrà dire: niente, salvo che liberarlo
da Berlusconi.
|