Il Corriere della Sera 24-9-2007
La Casta promette e
non mantiene.
L'insofferenza dei
cittadini, l'«antipolitica» e l'ascesa di Beppe Grillo. I costi della
politica salgono ancora In soli tre anni i costi
di Montecitorio saranno aumentati
del 9,2% con un
aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
Cosa deve accadere, perché capiscano? Devono esplodere il Vesuvio, fallire l'Alitalia, rinsecchirsi il Po, crollare la Borsa, chiudere
gli Uffizi, dichiarare bancarotta la Ferrari? Ecco la domanda che si stanno
facendo molti cittadini italiani. Stupefatti dalla reazione di una «casta»
che, nel pieno di polemiche roventi intorno a quanto la politica costa e
quanto restituisce, pare ispirarsi a un antico adagio siciliano: «Calati juncu ca passa
a china», abbassati giunco, finché passa la piena. Un giorno o l'altro
la gente si rassegnerà...
Non sono bastati infatti mesi di discussioni
su certi privilegi insopportabili di quanti governano a livello nazionale o
locale, decine di titoli a tutta pagina di quotidiani e settimanali, ore e
ore di infuocati dibattiti televisivi, code mai viste nelle librerie di
lettori affamati di volumi che li aiutassero a capire. Non è bastata
la sbalorditiva rimonta nella raccolta delle firme del referendum elettorale
che dopo essere partita maluccio è arrivata in porto trionfalmente.
Non sono bastate le piazze stracolme intorno a Beppe Grillo e le centinaia di
migliaia di sottoscrizioni alle sue proposte di
legge di iniziativa popolare.
Macché: non vogliono capire.
Non tutti, certo. Ma in troppi non
vogliono proprio capire. Lo dimostra, ad esempio, il bilancio appena varato
della Camera dei deputati. Dove una cosa spicca su tutte: dopo tante
dichiarazioni di buona volontà e pensosi inviti a rifiutare ogni tesi
precostituita e sospirate ammissioni che alcuni «benefit » erano proprio indifendibili
e solenni impegni a tagliare, le spese sono cresciute ancora. E ben oltre
l'inflazione. Il palazzo presieduto da Fausto Bertinotti era costato nel 2006, quando i primi mesi
erano stati gestiti dalla destra, 981.020.000 euro: quest'anno, alla faccia
di quanti sostenevano che tutta la colpa fosse della maggioranza berlusconiana che aveva lasciato una «macchina »
spendacciona, ne costerà 1.011.505.000. Con un aumento del 3,11 per
cento: il doppio dell'inflazione.
GLI STIPENDI E GLI AFFITTI - Non basta. Nel 2008, stando alle
previsioni del bilancio triennale, queste spese che già hanno sfondato
(prima volta) la quota-choc di un miliardo di euro, cresceranno ancora. Fino
a 1.032.670.000. Per impennarsi ulteriormente nel 2009 fino alla cifra sbalorditiva
di 1.073.755.000. Sintesi finale: in soli tre anni i costi di Montecitorio, dopo tutto il diluvio di belle parole spese
per arginare l'irritazione popolare, saranno aumentati del 9,2%. Con un
aggravio sulle pubbliche casse di 92 milioni di euro in più rispetto
al 2006.
Ricordate cosa avevano assicurato, per
arginare la mareggiata di contestazioni, a proposito dello stipendio dei
deputati? Che l'indennità, che stando alla politica degli annunci
è già stata tagliata un mucchio di volte, sarebbe calata. Falso: costerà il 2,77 per cento in più: un punto
abbondante oltre l'inflazione. E i vitalizi? Il 2,93 per cento in
più. Per non dire delle retribuzioni del personale. Avete presente la
denuncia dell'Espresso sulle buste paga dei dipendenti delle
Camere? La scandalosa scoperta che un barbiere del Senato può arrivare
a 133 mila euro lordi l'anno e cioè 36 mila euro più del Lord Chamberlain della monarchia inglese? Che un ragioniere
della Camera può arrivare a 238 mila, cioè circa ventimila euro
più dell'appannaggio del presidente della
Repubblica? Bene: stando al bilancio di Montecitorio,
il monte-paghe del personale costerà nell'anno in corso il 3,73 per
cento in più.
Oltre il doppio dell'inflazione.
Quanto agli affitti per i
palazzi a disposizione (insieme col Senato la Camera
è arrivata, tra immobili di proprietà e in locazione, a 46)
sono cresciuti del 6,6%: il quadruplo dell'inflazione. Eppure non è
neppure questo il record. I traslochi e il «facchinaggio» erano costati nel
2006 la bellezza di 1.255.000 euro, con un rincaro di 45.000 euro sul 2005. Dissero: «Si è dovuta tenere in
giusta considerazione la spesa aggiuntiva» dovuta alle «esigenze inevitabili
nel corso del cambio di una legislatura ». Può darsi. Ma allora a cosa
è dovuta quest'anno l'ulteriore aggiunta di
altri 100 mila euro, pari a un aumento di oltre l'8 per cento? Siamo entrati,
senza saperlo, in una nuova legislatura?
LE SPESE PER I VIAGGI - Quanto ai viaggi, le
polemiche sull'uso spropositato degli aerei di Stato prima nell'era berlusconiana e poi nell'era unionista, sono scivolate
via come acqua. Basti dire che le spese di trasporto, alla Camera, aumentano
del 31,82%. Diranno: è perché da questa legislatura ci sono 12
deputati degli Italiani all'estero che devono tenere i rapporti con i nostri
elettori emigrati. Costoso ma giusto. Tesi inesatta. È vero che
1.450.000 euro (121 mila per ogni parlamentare) se ne vanno in «trasporti aerei circoscrizione estero». Ma il costo
complessivo dei viaggi aerei, al di là del via vai di
questa pattuglia di deputati «esteri», salirà
da 6 milioni a 7 milioni 550 mila. Un'impennata sconcertante.
Ma mai quanto quella dei
costi dei gruppi parlamentari. La regola
sarebbe chiara: si può dar vita a un gruppo parlamentare se si hanno
almeno 20 deputati. Su questa base, all'inizio della legislatura avrebbero
dovuto essere otto. Ma grazie alle deleghe concesse dal subcomandante
Fausto sono saliti via via a quattordici. Con una
moltiplicazione delle sedi (che ha costretto a prendere in affitto nuovi
uffici nonostante i deputati potessero già contare su spazi procapite per 323 metri quadri), delle segreterie
(più 12,3% sul 2006), delle spese varie. Al punto che i contributi ai
gruppi, che nel 2005 erano pari a 28 milioni 700 mila euro e nel 2006 erano
già saliti a quasi 33, sono cresciuti ancora fino a 34.300.000 euro.
Cioè quasi 14 in più rispetto a sette anni fa. Il che vuol dire
che nel quinquennio berlusconiano e in questa successiva stagione unionista,
il peso di questi gruppi sulle pubbliche casse è cresciuto del 67,4
per cento.
DEMOCRAZIA E ANTIPOLITICA - Tutti «costi della democrazia»?
Pedaggi obbligatori che altri paesi non pagano (non così, non
così!) ma che gli italiani dovrebbero essere felici di versare per
tenersi stretti «questo» sistema parlamentare, «questa» macchina pubblica,
«questi» governi statali, regionali, provinciali, comunali che i loro
protagonisti presentano, facendo il verso al «Candido» voltairiano,
come il migliore dei mondi possibili? Tutti costi impossibili da ridurre al
punto che il bilancio della Camera prevede già di costare come prima e
più di prima anche negli anni a venire a dispetto di ogni dubbio e di ogni critica? Dice la storia che la Regina Elisabetta,
invitata dal governo inglese a tagliare, ha preso così sul serio
questo impegno che la spesa pubblica per la Corona è scesa dai 132
milioni di euro del 1991-1992 a meno di 57 milioni.
Eppure, guai a ricordarlo. C'è subito chi è pronto a levare l'indice
ammonitore: attenti a non titillare l'antipolitica, attenti
a non gonfiare il qualunquismo, attenti a non fare della demagogia. Ne
sappiamo qualcosa noi, ne sa qualcosa chiunque in
questi mesi ha rilanciato con forza alcune denunce, ne sa qualcosa Beppe
Grillo. Ma certo, non tutto quello che ha detto il «giullare- à-penser» genovese può essere condiviso.
Dall'invettiva del «Vaffanculo Day» lanciata in un Paese che ha bisogno come
dell'ossigeno di un linguaggio più sobrio fino all'appoggio alle
tentazioni di rivolta fiscale. Un acerrimo avversario dello Stato italiano come
Sylvius Magnago,
straordinario protagonista di durissimi scontri in difesa dei sudtirolesi di lingua tedesca, lo ha spiegato benissimo
sottolineando di sentirsi «un patriota austriaco ma
un cittadino italiano»: «prima» si devono pagare le tasse, «poi» si
può dare battaglia.
Ma quale autorevolezza hanno
per liquidare Grillo quanti per anni e anni
non sono riusciti a dimostrare la volontà, la capacità, la
credibilità, la forza per cambiare sul serio questo Paese? L'Umberto
Bossi che intima a Grillo che «occorre stare attenti a non esagerare» non
è forse lo stesso Bossi che diceva che «il
Vaticano è il vero nemico che le camicie verdi affogheranno nel water
della storia»? Gerardo Bianco che al Grillo che vorrebbe un limite massimo di
due legislature risponde dicendo che «non bisogna seguire la piazza a
rimorchio di istrioni della suburra» non è lo stesso che siede in
Parlamento dal 1968? E il Massimo D'Alema che
liquida gli attacchi di Grillo ai partiti dicendo che per sua esperienza «se
si eliminano i partiti politici dopo arrivano i militari e governano i
banchieri» non è lo stesso che nei giorni pari dice che «la politica
rischia di essere travolta come nel 1992» e nei dispari che «i costi della
politica sono un'invenzione di giornalisti sfaccendati»?
E la destra che, Udc a parte, ha firmato col proprio questore il bilancio della Camera e poi si è rifiutata di
votarlo nella speranza di cavalcare la tigre, non è quella stessa
destra che governava con una maggioranza larghissima nei cinque anni in cui
le spese delle principali istituzioni pubbliche sono cresciute di quasi il 24
per cento oltre l'inflazione? Per quel po' di esperienza che abbiamo fatto in
questi mesi dopo l'uscita del nostro libro, incontrando diverse migliaia di
persone, ci andremmo molto cauti, prima di liquidare l'insofferenza di
milioni di cittadini, confermata inequivocabilmente
dai sondaggi e dalle analisi di Ilvo Diamanti, come «tentazioni
antipolitiche». Noi abbiamo visto piuttosto crescere una nuova
consapevolezza. Quella che «prima» del legittimo diritto di ognuno di noi di
sentirsi di destra o di sinistra, abbiamo tutti insieme un problema: una
politica che ha allagato la società. E che,
come dimostra il dibattito di queste settimane, non ha la
forza non solo per risolvere i problemi ma neppure per metterli sul
tavolo.
BILANCI TRASPARENTI - È «antipolitico» chiedere come mai non
vengono neppure ipotizzati l'abolizione delle province o l'accorpamento dei
piccoli comuni? Che tutte le amministrazioni pubbliche siano
obbligate a fare bilanci trasparenti dove «acquisto carta da fax» si chiami
«acquisto carta da fax» e «noleggio aerei privati» si chiami «noleggio aerei
privati» così da spazzare via tanti bilanci fatti così proprio
per essere illeggibili? Che anche il Quirinale metta in Internet il dettaglio
delle proprie spese come Buckingham Palace? Che venga rimossa quella
specie di «scala mobile» dell'indennità dei parlamentari ipocritamente
legata a quella dei magistrati due decenni abbondanti dopo l'abolizione del
meccanismo per tutti gli altri italiani? Insomma: viva le istituzioni, viva
il Parlamento, viva i partiti. Però diversi: diversi. E soprattutto: è antipolitico chiedere che
certi politici italiani la smettano di essere così presuntuosi da
pretendere di identificarsi automaticamente con la Democrazia?
24 settembre 2007
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