Il Corriere della
Sera 5-4-2008
Sindacati,
la casta in crisi
Diritto
di veto e iscritti insofferenti.
Il caso Alitalia e la difesa dei privilegi
Marco
Imarisio
Nella remota
eventualità che riescano a mettersi d'accordo, le ultime quattro sigle
delle 43 organizzazioni sindacali scolastiche potrebbero perfino convocare un
tavolo di scopone scientifico, in virtù del loro solitario iscritto.
Piano con lo stupore. Perché nel mondo parallelo delle confederazioni, le
dimensioni non contano. Nel settore ippico ci sono il contratto di base e
quello per i cavalli da corsa, anzi, quelli, al plurale perché le normative
sono differenti per il trotto o il galoppo. Le imprese che producono ombrelli
e ombrelloni godono di un'unica intesa, che però differisce da quella
delle aziende che forniscono il manico del manufatto. Per stare
sull'attualità: nel 2007, la più piccola delle 13 sigle
dell'Enav, ente controllori di volo, cinque tesserati, uno zoccolo duro di
sostenitori che starebbe largo in un monolocale, riuscì a far cancellare
320 voli in un solo giorno.
Domanda d'obbligo: queste giornate sono la riproduzione riveduta e
corretta dell'autunno Ottanta? C'è la sensazione diffusa che
rappresentino comunque un passaggio delicato nella vita del sindacato, che
segnino una svolta nella sua credibilità. Sta arrivando un libro che
si chiama L'altra casta, e sembra essere un Atlante della crisi, o almeno un
suo sintomo. Naturalmente, c'è un capitolo dedicato ai fasti di
Alitalia, l'azienda più sindacalizzata d'Italia, nel quale si apprende
— tra le altre cose — dell'esistenza sancita per contratto di una Banca dei
riposi individuali, della speciale indennità riservata al personale
viaggiante per la temporanea assenza del lettino a bordo di alcuni Boeing
767-300, centinaia di euro che per non creare odiose discriminazioni sono
stati corrisposti anche a chi volava su aerei dotati delle cuccette in
questione. D'accordo, così è troppo facile. Basta aneddoti. Ce
ne sono tanti, troppi. Il problema è un altro. Alcuni libri hanno la
fortuna o la capacità di cogliere lo spirito dei tempi, di
intercettare uno stato d'animo comune, giusto o sbagliato che sia.
L'altra casta, scritto da Stefano Livadiotti, giornalista de L'Espresso,
è uno di questi libri. Un pamphlet, che opera una dissezione da
autopsia dei sindacati italiani, definiti «macchina di potere e denaro». Ne
elenca in modo analitico le storture, gli organici colossali con migliaia di
dipendenti pagati dal contribuente, lo sterminato e parzialmente detassato
patrimonio immobiliare, i vantaggi, i privilegi che autorizzano l'autore a
usare il termine ormai negativamente iconico di «casta». Ma soprattutto,
questo è forse l'aspetto più controverso, ne mette in luce la
perdita di identità, le debolezze e i limiti nel recitare il ruolo
importante che dovrebbero avere nel Paese. Nel mare di cifre, storie e
statistiche forniti da Livadiotti, è questa accusa, la più
empirica, che ferirà i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. L'autore enuncia
la tesi con una certa ruvidezza: «L'immagine del sindacato come di un
soggetto responsabile, capace di farsi carico degli interessi generali del
Paese, agli occhi degli italiani si è dissolta ormai da tempo».
Sempre più autoreferenziali, le confederazioni hanno perso il
contatto con la vita vera, per diventare un soggetto autistico, abiurando
alla loro storia, alla loro vera missione. «Un apparato che, presentandosi
come legittimo rappresentante di tutti i lavoratori, in nome di una
concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di mettere becco in
qualunque decisone di valenza generale, ma in realtà fa gli interessi
dei suoi soli iscritti, ai quali sacrifica il bene collettivo, mettendosi
ostinatamente di traverso a qualunque riforma rischi di intaccarne uno statu
quo fatto di privilegi ». L'altra casta, è bene dirlo, è
un'opera brutale, una specie di libro nero del sindacalismo, e in quanto tale
destinato a dividere, a far discutere. Ma le frasi citate qui sopra non vanno
controvento, perché rappresentano davvero un sentimento di insofferenza verso
il sindacato, questo sindacato, che nell'Italia del 2008 si respira a pieni
polmoni, e negarlo sarebbe stupido, persino autolesionistico. Nel cittadino
medio, la percezione diffusa del sindacato è questa, piaccia o no. E
una vicenda più di ogni altra contribuisce a cementarla. «Dove comandano
loro», è il titolo programmatico del capitolo dedicato ad Alitalia,
azienda che ha un tasso di sindacalizzazione bulgaro, il 77,9% tra gli
assistenti di volo e l'87,1% tra i piloti. Le scoperte sono varie,
indubbiamente sconfortanti, sempre istruttive. Si apprende ad esempio che
grazie al Regolamento sui limiti di tempo di volo e di servizio e requisiti
di riposo per il personale navigante, il giorno di riposo, «singolo libero
dal servizio», per i piloti Alitalia comprende due notti e non deve essere
mai inferiore alle 33 ore, Keplero e Copernico se ne facciano una ragione. Si
viene a sapere inoltre dell'esistenza di un Comitato nomi, invenzione che
sarebbe piaciuta tanto al compianto Beppe Viola, fondatore con Enzo Jannacci
dell'Ufficio facce. Trentasei dipendenti per suggerire come battezzare i
nuovi aerei, finché ci sono stati soldi per comprarli. Più seriamente,
nel 2007, mentre il governo cercava col lanternino un compratore disposto a
salvare la nostra compagnia di bandiera dal fallimento — ha perso 364 milioni
di Euro in 365 giorni, di ventiquattro ore — piloti e hostess si sono fatti
un giro di valzer sul Titanic sommando scioperi che hanno causato mancati
introiti per un totale di 111 milioni di Euro. E gli ultimi eventi, il
cestinamento dell'offerta di Air France, la penosa rincorsa ai suoi dirigenti
per riportarli al tavolo delle trattative, portano acqua alla tesi di chi,
Livadiotti è tra questi, vede in Alitalia il punto critico che fissa
l'incapacità conclamata di conciliare gli interessi dei propri
iscritti con quello generale.
Che brutta questa immagine di un sindacato privo di autorevolezza ma
sempre pronto ad esternare su qualunque aspetto dello scibile umano.
Nell'ultimo anno solare il capo della Cisl ha collezionato 607 titoli sul notiziario
Ansa, una media di 1.7 esternazioni al giorno, compresi Natale, Capodanno e
Ferragosto. Leggermente attardato Epifani (539), segue a ruota Angeletti
(339). Nello stesso arco di tempo, annota Livadiotti, la percentuale di
coloro che vedono i sindacati come il fumo negli occhi è volata dal
67,9% al 78,3%, dati Eurispes, mentre lo zoccolo duro che ancora si dichiara
molto fiducioso nel loro operato è passato dal 10,1 al 4,1%. Ecco, ne
L'altra casta c'è quasi tutto per chi cerca conferme alla propria disistima
verso i sindacati, compresi certi toni davvero duri. Per gli altri,
mancherà sicuramente un capitolo dove si dia conto dei meriti storici
del sindacato italiano, anche senza prenderla troppo da lontano, Portella
della Ginestra, le lotte del dopoguerra, cose che stanno nei libri di storia,
o della sua capacità — intermittente — di essere una delle ultime
istituzioni che porta i propri iscritti a ragionare anche di temi elevati, di
ideali. Manca l'onore delle armi all'avversario. Ma forse, come le pipe di
Magritte, un pamphlet è un pamphlet, null'altro che questo.
05
aprile 2008
|