CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito il 23-3-2009
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Il Corriere della Sera
23-3-2009
Ritorna la fusione fredda,
con tanti proiettili nucleari
«Stavolta non abbiamo dubbi e ci sono tante prove»,
sostiene una chimica californiana
L’annuncio in un simposio che si svolge a Salt Lake
City
Franco
Foresta Martin
ROMA - E’
una coincidenza, oppure una strategia di comunicazione studiata apposta per
dire al mondo: ci siamo ancora? Esattamente venti anni dopo la contestata
scoperta della «fusione fredda» da parte di due chimici americani, gli eredi di
questa linea di ricerca, riuniti a Salt Lake City, in un simposio dell’American
Chemical Society dedicato a «New Energy Technology», sostengono non solo di
avere ripetuto con successo gli esperimenti, ma anche di vedere le prove che si
tratta di una reazione di fusione nucleare a bassa energia: cioè i neutroni, i
piccoli proiettili nucleari che scaturirebbero, abbondanti, dal processo. Non è
la prima volta che i fusionisti freddi tentano di tornare alla ribalta con
annunci di risultati positivi. Ma poiché la storia della scienza è fatta anche
di scoperte che stentano a decollare prima di affermarsi, ci pare corretto dare
spazio anche a queste ultime rivendicazioni.
LA STORIA -
Sarà utile riassumere come andò vent’anni fa, prima di passare alla cronaca. Il
23 marzo del 1989 due chimici dell'università dell' Utah, Martin Fleischmann e
Stanley Pons, decidono di comunicare la loro scoperta in una conferenza stampa,
prima di avere pubblicato l’articolo relativo su una rivista scientifica.
Attirano subito l’attenzione di tutto il mondo perché, assicurano, si tratta di
un fenomeno che promette energia pulita e a basso costo, anche attraverso
impianti di piccole dimensioni. In una cella elettrolitica riempita di acqua
pesante (con deuterio al posto dell' idrogeno), sostengono i due, basta
immergere una barretta di palladio per vedere scaturire un eccesso di energia.
Solo la fusione dei nuclei di deuterio penetrati nel reticolo cristallino del
palladio, potrebbe spiegare il fenomeno e così si parla di «fusione fredda»,
per distinguerla da quella ad altissime temperature che viene sperimentata
nelle grandi ciambelle magnetiche in alcuni laboratori mondiali della big
science. Nelle loro numerose presentazioni in giro per il mondo (noi assistemmo
a quelle del Cern di Ginevra e del Centro Majorana di Erice), i due chimici
americani non forniscono tutti gli elementi necessari per ripetere l'
esperimento e minimizzano le difficoltà di riproducibilità del fenomeno.
Inoltre, Fleishmann e Pons scavalcano un loro collega, Steven Jones, che aveva
lavorato alla stessa ricerca e con cui avevano concordato una contemporaneità
di pubblicazioni. Il mondo scientifico è frastornato, i media sono impazziti.
La possibilità di avere a portata di mano la soluzione dei problemi energetici
suggerisce attenzione, al di là del comportamento irritante di Fleischmann e
Pons. Mentre centinaia di ricercatori si affannano a ripetere gli esperimenti
con risultati contraddittori, alcuni scienziati del prestigioso Caltech,
l'Istituto di tecnologia della California, organizzano una severa istruttoria
scientifica. In appena un mese la sentenza è pronta: il fenomeno non esiste,
non è spiegabile, forse è pura illusione. Per altri è addirittura frode
scientifica.
CONTRADDIZIONI -
Ma nel frattempo altri gruppi di ricerca di provata professionalità, in diverse
parti del mondo, fra i quali un gruppo di fisici e chimici dell’Enea guidati
dal professor Franco Scaramuzzi, riescono a riprodurre il fenomeno. Il mondo
della ricerca si divide così fra scettici e possibilisti. Negli anni
successivi, pur essendo accertato che in certe circostanze si arriva alla
liberazione di inspiegabili quantità di energia dalla cella elettrolitica, non
si arriva a chiarire se si tratta di reazioni chimiche o nucleari. Soprattutto,
risultano illusorie le promesse di quanti annunciano la fabbricazione di
prototipi sperimentali che possano fornire elettricità e calore sulla base del
nuovo fenomeno.
LE NUOVE PROVE -
In questi giorni, al congresso di Salt Lake City, l’ultimo atto della
tormentata ricerca. Pamela Mosier-Boss, chimica del U.S. Navy' s Space and
Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego, California, annuncia, anche
a nome di altri ricercatori, di avere ottenuto per la prima volta la prova che
la fusione fredda esiste e che si tratta di un processo nucleare, come
proverebbero le abbondanti tracce di neutroni registrate nel corso di vari
esperimenti. Questa volta, spiega la ricercatrice, la cella elettrolitica
contiene deuterio mescolato a cloruro di palladio e gli elettrodi sono fatti
con fili di nikel o di oro. «Oltre ai neutroni, le cui tracce sono state
evidenziate da una plastica speciale posta accanto alla cella -spiega la
Mosier-Boss-, il fenomeno è accompagnato dall’eccesso di calore, dall’emissione
di raggi X e dalla formazione di trizio. Tutti indizi a sostegno dell’avvenuta
fusione del deuterio». Dal convegno di Salt Lake City, oltre alla speranza di
un rilancio del fenomeno su più solide basi, è venuto però un avvertimento che
suona come di rottura rispetto all’avventuroso passato di questa vicenda: non
si parli più di fusione fredda, ora il termine giusto è l’impronunciabile LENR,
acronimo di Low Energy Nuclear Reactions (reazioni nucleari a bassa energia).
Basterà la nuova sigla a garantire un percorso meno accidentato a quanti ancora
lavorano a queste ricerche?
Franco Foresta Martin
23 marzo 2009