PRIVILEGIA NE IRROGANTO di
Mauro
Novelli Documenti d’interesse inserito il 4-12-2006
Da Affari&Finanza (la Repubblica) di
lunedì 4 dicembre 2006
2007 con tassi al 3% sia in Europa che in America
MILANO - Con tutta probabilità, giovedì prossimo 7
dicembre la Banca centrale europea deciderà un nuovo aumento che
porterà il tasso di rifinanziamento al 3,50%.
E’ quanto economisti e operatori prevedono in maniera piuttosto unanime. Poi,
il martedì successivo, sarà il turno della Federal
Reserve. Il consenso dei pronostici dice che la
riunione del comitato direttivo della Riserva Federale (il FOMC) del 12
dicembre potrebbe confermare invariati sia il livello del tasso sui Fed Funds sia l’intonazione (il
cosiddetto “bias”) vigile della politica monetaria
americana. Poi ci saranno le feste e comincerà il nuovo anno. Ma il 2007
non sarà un anno di facili previsioni sulle scelte delle due principali
banche centrali del pianeta. Cosa succederà ai
tassi americani? Nell’edizione di novembre del “Consensus
Forecasts”, la previsione più frequente tra
quelle raccolte presso gli esperti indica una stabilità del tasso sul Fed Fund al 5,25% sino a tutto il
primo trimestre del 2007 seguita da possibili tagli già nel secondo e
nel terzo trimestre. Un po’ come le medie di Trilussa,
le previsioni di consenso sono però difficili
da interpretare in periodi in cui l’incertezza appare destinata ad aumentare.
E’ questo il caso dello scenario americano, su cui grava l’alea di un deciso
rallentamento economico.
Secondo le previsioni degli economisti di BNP Paribas
riprese in Italia nel “Focus settimanale” del
Servizio Studi di BNL, la decelerazione degli USA è già oggi
evidente in settori strategici come le costruzioni e l’automobilistico. Tra gli
agenti immobiliari americani circola l’aneddoto che, di questi tempi, per
vendere rapidamente una nuova casa sia opportuno
aggiungere all’immobile anche il regalo di un comodo garage, meglio se con una
macchina nuova dentro. Riguardo all’industria, una
significativa discesa sotto quota 50 dell’indice ISM relativo
alla fiducia delle imprese manifatturiere statunitensi potrebbe indurre la Fed ad anticipare i tempi di un allentamento. Le
autorità monetarie preferiranno agire prima che il rallentamento
dell’economia si traduca in un calo marcato degli occupati. Farlo dopo potrebbe
danneggiare la loro credibilità e rendere meno efficace la futura
condotta della politica monetaria. L’affievolimento della crescita, in assenza
di tensioni sui corsi del petrolio, lenirà le preoccupazioni che in
America ancora si nutrono sull’andamento della cosiddetta inflazione “core”,
ovvero al netto di energia e alimentari. A ben vedere,
negli USA l’attuale vivacità dell’inflazione “core” non indica un
rischio prospettico di surriscaldamento, mentre è un sintomo della
crescita che abbiamo alle spalle. L’inflazione al netto dell’energia si
aggiusta oggi con ritardo ai forti aumenti segnati in passato dal prezzo del
petrolio. Questo accade perché, a monte della filiera, il problema dei rincari
dell’oro nero appare al momento superato. In più, l’indice “core”
americano aumenta perché crescono negli USA gli affitti che la gente trova
più convenienti rispetto ai prezzi troppo alti raggiunti dalle case in
vendita. Anche questo non è un presagio di inflazione futura
bensì un ulteriore sintomo delle difficoltà in cui già
oggi versa il mercato immobiliare americano.
Varcando l’Atlantico, lo scenario della politica monetaria europea
appare ugualmente confrontarsi con numerose incertezze. L’economia di
Eurolandia chiuderà il 2006 ad un passo ancora tonico, trainato
dall’anticipazione di acquisti di beni durevoli da parte dei
consumatori tedeschi. Poi, però, nel corso del 2007 sconteremo sulla
crescita sia gli effetti dell’aumento dell’IVA in Germania sia le conseguenze
delle manovre di riduzione dei disavanzi pubblici
decise in importanti paesi. A tutto ciò si aggiungerà
il riflesso del rallentamento negli USA. Seppur con ritardo, la trasmissione
transatlantica del ciclo americano rallenterà la crescita del Vecchio
Continente. Oltre all’effetto diretto di minori importazioni degli USA
dall’Europa ci sarà un “effetto eco” dato dai contraccolpi mediati da
altre aree globali. Se gli USA rallentano, i primi a soffrirne potranno essere la Cina e gli altri grandi paesi del continente americano.
La decelerazione dei partner commerciali più stretti si
riverbererà poi sull’Europa. Quale sarà la misura complessiva di
riduzione della crescita europea? A Francoforte stimano un calo di 0,2 punti di
crescita annua del PIL dell’area euro per ogni punto
intero di riduzione del saggio di sviluppo USA. Altre stime indicano la
possibilità di un arretramento più sostenuto e pari a circa mezzo
punto percentuale di crescita europea. Il riverbero del rallentamento americano
sarà tanto più intenso per l’Europa quanto più si
accompagnerà a un marcato deprezzamento del dollaro sull’euro. E la
rivalutazione della moneta europea, che appare iniziata già in questo
ultimo scorcio del 2006, potrebbe suggerire prudenza alla BCE nella decisione
se proseguire o meno nella fase di aumento dei tassi
nel corso del prossimo anno.
Tirando le somme,
una lettura dello scenario monetario internazionale ci consegna un 2007 ove Fed e BCE potrebbero tornare a preoccuparsi più
della crescita che dell’inflazione. Tra il 2006 e il 2007 i numeri previsti
dagli economisti di BNP Paribas parlano di un calo
dal 3,2 all’1,6 per cento del tasso di aumento del PIL
americano e di un ribasso dal 2,6 all’1,8 per cento per la crescita dell’area
dell’euro. In questo contesto, l’allentamento delle politiche monetarie
potrebbe rendersi visibile prima negli USA per poi interessare, verso la fine
del 2007, anche l’Europa. Oggi sono due i punti percentuali che separano i
livelli dei saggi guida sulle due sponde dell’Atlantico. Tra tredici mesi, a
dicembre del prossimo anno, i tassi di riferimento di Fed
e BCE potrebbero trovarsi appaiati al 3 per cento. E’ una possibilità.
04/12/2006 - 10:30