HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documento d’interesse Inserito
il 30-7-2007 |
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La
Stampa 30-7-2007 Scoppia
la bolla dei "derivati" Bankitalia
avverte gli operatori: dovete spiegare ai clienti i rischi che corrono Francesco
Manacorda «Maneggiare con cura e tenere fuori dalla
portata degli incompetenti». Se i prodotti finanziari fossero come i
medicinali già da tempo i contratti derivati recherebbero questa
dicitura in caratteri ben visibili. Ma così non è. Il caso Italease - un «buco» da 700 milioni sui derivati che per
essere ripianato avrà bisogno di un aumento di capitale della stessa
entità - è l’ultimo ma non isolato
esempio dei pericoli che si possono concretizzare con un uso disinvolto di
questi strumenti finanziari, che espongono alla possibilità di
guadagni o perdite assai ampi rispetto alle cifre sottoscritte. Pericoli
spesso aumentati dalla mancanza di informazione di chi li sottoscrive e
dall’assenza di sistemi di controllo adeguati tra chi li colloca. Così la
Banca d’Italia e la Consob stanno correndo ai ripari. Lo fanno sia con un
esame approfondito su quantità e genere di strumenti derivati in
circolazione, sia aumentando il livello di attenzione nei confronti degli
operatori. Il tutto in attesa della direttiva Mifid, la norma europea sui mercati finanziari che in
Italia diverrà legge dal 1° novembre e che, almeno sulla carta,
dovrebbe mettere al riparo molti investitori da sorprese sgradite.
L’attenzione rinnovata sui derivati si spiega con le «patologie» - modello Italease - del sistema ma anche con le dimensioni enormi
che il settore ha assunto. In Italia nel 2001 il valore dei contratti
derivati stipulati sul rischio tassi e sul rischio
cambi raggiungeva già la ragguardevole cifra di 2.000 miliardi di
dollari. A metà del 2006 - i dati della Consob arrivano fino a quel
momento - il complesso dei contratti era salito a 6 mila miliardi. Cifre
enormi ma coerenti con quell’Everest finanziario che i derivati rappresentano
a livello mondiale: sempre a metà 2006 nei dieci Paesi maggiormente
industrializzati (il cosiddetto G10) si contavano 350 mila miliardi di
dollari di contratti non quotati e altri 75 mila miliardi di derivati che
erano invece negoziati in Borsa. Uno strumento di eccezionale potenza per
distribuire il rischio nei mercati finanziari, insomma. Con la
controindicazione che quando chi assume quel rischio è poco informato
può andare incontro al cortocircuito. In Italia non è un tema
nuovo in assoluto, quello dei derivati collocati a operatori e risparmiatori
che lamentano di non essere stati informati a sufficienza dei rischi
connessi. Tre anni fa, era il 2004, il dilagare di casi di risparmiatori e
piccoli imprenditori scottati da questi strumenti - specie nel Nord Est -
spinse addirittura il Parlamento a varare un’indagine conoscitiva sul tema. Tra le conclusioni
anche il fatto che oltre il 70% dei sottoscrittori di contratti derivati
affermava di non aver capito che prodotto stesse
effettivamente acquistando. Ma in quell’occasione il parlamento non ritenne
comunque di dover intervenire per legge. Adesso, mentre il fenomeno sembra
riemergere proprio tra gli imprenditori e artigiani del Nord Est che avevano
sottoscritto contratti per coprirsi dal rischio tassi d’interesse e adesso si
trovano colpiti dal rialzo del costo del denaro, le autorità di
vigilanza stanno alzando la guardia. L’iniziativa più forte è
della Banca d’Italia. Nei giorni scorsi - come ha scritto il Financial Times - da via Nazionale sono
partite numerose telefonate ai principali operatori internazionali che
operano nei derivati. Tema ricorrente: avvertire le banche che devono far
sì che i loro clienti siano ben consci delle caratteristiche e degli
eventuali rischi dei prodotti che comprano. In caso contrario, l’avvertimento
è che le banche rischiano quantomeno la loro reputazione. Una forma di
«moral suasion» accanto alla quale la Banca d’Italia sta cercando la
collaborazione delle altre banche centrali per rafforzare la vigilanza
sull’utilizzo di questi strumenti. Sulla stessa linea la Consob, che proprio
in queste settimane - e dopo che il 15 luglio il presidente Lamberto Cardia
ha lanciato già un allarme sull’utilizzo dei derivati - sta conducendo
una rilevazione generale e approfondita per aggiornare i dati sulla
consistenza dei derivati nella gestione finanziaria delle società
quotate. A settembre si entrerà in una fase più incisiva:
cominceranno gli incontri con banche, assicurazioni e intermediari finanziari
per un esame approfondito di quali prodotti vengono
offerti alle clientela e in che modo sono valutati i rischi. Un passo,
questo, che si inserisce nella procedura di consultazione che la Consob sta
conducendo per varare i regolamenti applicativi della direttiva Mifid, quella sui mercati finanziari varata dalla
Commissione europea. E proprio la Mifid promette di cambiare molte cose, specie sul fronte
dei risparmiatori. Se oggi qualsiasi titolare d’impresa può essere
considerato dagli intermediari finanziari un «operatore professionale» e come
tale non particolarmente bisognoso di spiegazioni e assistenza supplementare,
con la direttiva europea le cose cambieranno. La Mifid
prevede infatti che gli intermediari verifichino in
modo dettagliato il grado di conoscenza degli investitori e l’effettiva
adeguatezza alle loro esigenze dei prodotti offerti in sottoscrizione.
Insomma, un «bugiardino» per assumere senza rischi
inutili i prodotti della finanza. |