La Stampa 6/3/2008 (8:14) - INTERVISTA A JOSEPH STIGLITZ
"Pagheremo l'Iraq con tutti
gli interessi"
Il Nobel Usa: «Tremila
miliardi spesi male. I contractor costano molto più dei soldati»
NATHAN GARDELS
L’economia americana, sull’orlo di una
recessione o di qualcosa di ancora peggio, ha di nuovo scelto la guerra in
Iraq come argomento chiave della campagna
elettorale. Qual è il legame tra i guai economici e quella guerra?
«La guerra ha portato dritto filato al rallentamento
economico americano. Innanzitutto, prima che gli Usa andassero in guerra in
Iraq, il prezzo di un barile di petrolio era 25 dollari. Ora è cento.
Certamente ci sono altri fattori implicati nell’aumento di prezzo, ma quella
guerra è chiaramente il primo. Anche mettendo in conto la crescente
domanda di energia dell’India e della Cina, gli analisti finanziari avevano
previsto, prima della guerra, che il prezzo del barile sarebbe rimasto
intorno ai 23 dollari per almeno dieci anni. Sono la guerra e
l’instabilità che essa ha causato, insieme alla caduta del dollaro per
i bassi tassi di interesse e l’alto deficit della bilancia commerciale, i
responsabili di questa enorme differenza. Quel prezzo ben più alto
significa che i miliardi che sarebbero potuti finire nelle tasche degli
americani perché li spendessero a casa loro, sono finiti invece all’Arabia
saudita e ad altri Paesi esportatori di petrolio.
In secondo luogo, il denaro speso in Iraq non stimola l’economia interna
americana. Se assoldi un contractor filippino perché lavori in Iraq, non
avrai l’effetto moltiplicatore di qualcuno che costruisce una strada o un
ponte nel Missouri. In terzo luogo, questa guerra, a differenza di tutte le
altre guerre della storia americana, è stata interamente finanziata
con l’indebitamento pubblico. I deficit sono un guaio perché bloccano gli
investimenti e accumulano un debito che in futuro dev’essere
pagato. Questo danneggia la produttività perché resta poi poco sia per
gli investimenti pubblici nella ricerca, nell’istruzione e nelle
infrastrutture, sia per gli investimenti privati in macchinari e fabbriche.
Fino a pochissimo tempo fa, non abbiamo sentito l’effetto deprimente
sull’economia di questi tre fattori, perché la Federal
Reserve rispondeva con l’atteggiamento di chi deve
tenere un’economia forte indipendentemente da quanto il presidente Bush
spende nella guerra in Iraq. Vedendo un’economia debole, la Banca centrale
americana ha tenuto bassi i tassi d’interesse, ha stampato moneta sommergendo
l’economia di liquidità e girato la faccia dall’altra parte quando
cattive procedure di prestiti per la casa gettavano il denaro dalla finestra.
I controlli erano fiacchi, il rubinetto delle erogazioni di mutui ben aperto.
Solo negli ultimi cinque anni il debito garantito da immobili è salito
a più di millecinquecento miliardi di dollari. E’ una somma enorme!
Contemporaneamente il risparmio americano è crollato a zero.
Così tutto ciò che si spendeva, dalla ricostruzione in Iraq
alla tinteggiatura nella propria casa, veniva finanziato con denaro preso a
prestito. Tutti i problemi venivano nascosti con il credito. La bolla
è scoppiata quando il rapporto tra prezzi degli immobili e salari non
è più stato sostenibile. Ora che possiamo vedere dietro la
bolla, si individua perfettamente la debolezza economica causata dalla guerra
in Iraq. Pagheremo tutto, e con gli interessi.
Una delle bizzarrie della globalizzazione è
che i cinesi, che all’Onu si sono opposti alla guerra in Iraq, hanno finito
per essere tra i suoi maggiori finanziatori, fornendo bond al tesoro
americano attingendo alle enormi riserve in dollari che hanno guadagnato con
il surplus della bilancia commerciale con gli Usa. Così, una
democrazia di consumatori priva di risparmi prende denaro a prestito da uno Stato
leninista orientato al mercato per combattere il terrorismo, e tiene libere
elezioni in uno Stato arabo dalle quali, per la prima volta in 800 anni, esce
un governo sciita! Come possiamo districarci in tutto ciò?
«... e gli americani non hanno indicazioni
su ciò che stanno appoggiando, il che indebolisce anche la democrazia
interna. Ma l’ironia della storia non finisce qua. Questa è la prima
guerra americana dai tempi della Rivoluzione che viene finanziata
dall’esterno. All’inizio di tutte le altre guerre c’è sempre stato un
vero dibattito pubblico sui costi da accollare alle generazioni future e su
quelli da sostenere subito con le tasse. Questa è la prima guerra in
cui c’è stata una riduzione delle tasse quando è cominciata.
La guerra in Iraq non solo è stata finanziata da stranieri, ma
è anche la guerra più privatizzata di tutta la storia
americana. E i risultati sono singolari. Per esempio, un contractor impiegato
nella sicurezza - sto parlando di una body guard, non di un ingegnere altamente specializzato -
guadagna più di mille dollari al giorno, spesso più di 400 mila
all’anno. Un soldato dell’esercito americano viene pagato infinitamente meno
- circa 40 mila dollari all’anno - per gli stessi compiti. Ora tutti sanno
che un posto di lavoro dove una persona guadagna dieci volte più di
un’altra per fare le stesse cose è un focolaio di malcontento.
Così, per attrarre soldati, l’esercito americano ha dovuto offrire dei
bonus a chi si arruola. Siamo diventati concorrenti di noi stessi! Questo
ovviamente aumenta i costi. Ma le assurdità non finiscono qua. La
più grande è che i contribuenti americani pagano
l’assicurazione per l’invalidità o la morte dei contractor, ma poi la
politica delle assicurazioni è quella di non pagare il premio in caso
di “ostilità”. Per che paghiamo allora? In buona sostanza, il
contribuente paga le compagnie in cambio di niente. Bell’affare!
Quali sono le stime economiche americane per la
guerra in Iraq?
«Secondo le stime più tradizionali, questa
guerra finora è costata almeno l’incredibile cifra di tremila miliardi
di dollari. Una stima più realistica arriva a cinquemila miliardi di
dollari, includendo tutti i costi fuori bilancio per i benefit e le cure a
lungo termine dei veterani, il ripristino dell’esercito nella sua forza
prebellica e il costosissimo ritiro dall’Iraq, con il riposizionamento delle
forze altrove nella regione. Poi ci sono le microspese che non sono state
incluse tra i costi della guerra. Per esempio, se un soldato viene ucciso in
battaglia, la sua famiglia riceve un indennizzo di 500 mila dollari. Questi
costi, che non sono stati inclusi nel bilancio di previsione, sono
però reali. Non si può continuare a nasconderli sotto il
tappeto. Come con la carta di credito, i costi aumentano quanto più li
ignori.
Infine, chiunque dica che dovremmo restare in Iraq per almeno altri quattro
anni - o non meno di cento, come ha detto McCain -
deve dire onestamente agli americani come pagheranno il conto di 12 miliardi
di dollari al mese. Dove li troveremo? E questo, renderà l’America
più sicura? Usciamone il più presto possibile. Soprattutto,
smettiamo di fantasticare. Sono quelle fantasie che ci hanno messi nei guai».
Secondo lei, questo caos economico è il
risultato della fantasia neo-con o di un
occultamento consapevole dei costi?
«Entrambe le cose. Una fantasia neocon che abbiamo accolto con mazzi di fiori, convinti
che avremmo dovuto solo spazzare via i petali delle rose e il petrolio
iracheno avrebbe pagato tutto il resto. E un tentativo voluto di nascondere i
costi al popolo americano. Come si potrebbe giustificare altrimenti il fatto
di non dare alle truppe americane l’equipaggiamento di cui avrebbero avuto
bisogno? Come giustificare il fatto di non concedere i fondi per le
invalidità dei nostri eroici soldati menomati fisicamente e
psicologicamente? Lo si può solo interpretare come un deliberato
tentativo di nascondere i costi reali della guerra. L’Amministrazione Bush ha
anteposto vantaggi politici immediati alla sicurezza del Paese».
I costi economici sono ora venuti a galla minando
tutti gli sforzi di sicurezza del dopo 11 settembre. Quando John McCain dice di non essere interessato all’aspetto
economico delle cose e comunque di non capirlo, perché lui sa solo come
mantenere sicura l’America, questo atteggiamento che cosa dice delle sue
capacità di leader?
«Se non capisce l’economia, non capisce
la sicurezza. Se avessimo risorse infinite, forse saremmo capaci di avere una
sicurezza perfetta. Ma l’America, come tutti gli altri Paesi, ha risorse
limitate. Questo significa che devi essere abile - cioè economico -
con il denaro che spendi. Se indebolisci l’economia americana, non troverai
le risorse che servono per la sicurezza. I due aspetti non possono essere
tenuti separati».
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