La Stampa 18-4-2009
Terremoto in
Abruzzo. L'università modello era fatta di
plastica.
«Se le scosse
avessero colpito al mattino, sarebbero morti in mille»
Ferruccio Sansa
Un'università
costruita con la plastica. Come i Lego. E non una facoltà qualunque,
ma proprio ingegneria, il regno dei progettisti. A
guardare le tonnellate di detriti accumulati davanti alle aule degli studenti
si resta di sasso: al posto del cemento armato si trova plastica espansa.
Proprio questo avrebbe provocato il crollo che, se i ragazzi fossero stati
presenti, era destinato a causare una strage. Ieri mattina decine di studenti
si sono presentati davanti ai cancelli di ingegneria, come fosse un giorno di
lezione. Ma il motivo era un altro: recuperare i computer e il materiale
frutto di anni di ricerche. Così non è stato difficile per il
cronista entrare e provare un atroce dubbio, un altro ancora, che il
terremoto ha suscitato. E pensare che la facoltà di ingegneria era uno dei fiori all'occhiello dell'università
dell'Aquila. Siamo a Roio Poggio, una collina che
domina la città e si affaccia sulle montagne. Difficile trovare un
ateneo altrettanto suggestivo, una specie di nido in mezzo ai boschi. Proprio
per questo gli architetti negli Anni Ottanta avevano disegnato questi edifici
dalle immense vetrate affacciate sul Gran Sasso. Un progetto dalla lunga
storia che fu ultimato soltanto negli Anni Novanta, con tante imprese che si
alternarono nell'esecuzione. Ma alla fine, si disse, ne era valsa la pena.
Oggi, però, a vedere gli effetti del terremoto viene qualche dubbio.
L'edificio 1, quello della biblioteca, appare quasi integro. Certo, ci sono
stati dei crolli, ma il sisma non è stato una carezza. I guai, seri,
invece, si scoprono nel secondo palazzo, quello più frequentato, con
decine di aule in grado di ospitare circa 1200 ragazzi. Arrivarci, sgusciando
tra i corridoi ingombri di detriti, non è facile. Ed ecco la sorpresa.
Le vetrate, appunto. Quello che doveva essere il tratto distintivo
dell'edificio ha rischiato di provocare un disastro. Le enormi lastre
trasparenti erano sospese a molti metri d'altezza e dovevano essere in grado
di resistere ai terremoti. La garanzia derivava dal cemento armato su cui le vetrate
avrebbero dovuto poggiare. Ma a quanto pare non era così. Lo dicono i
detriti, ma anche i brandelli della struttura rimasti in piedi e ancora visibili. Lo dice chi se ne intende: «Al posto del
cemento c'era della plastica», allarga le braccia un vigile del fuoco. Di
cemento c'era soltanto un sottile spessore che non ha retto la scossa. Il
risultato: tonnellate e tonnellate di materiale sono crollate sulle scale,
proprio quelle da cui dovevano fuggire gli studenti. I vigili del fuoco e i
professori che ieri camminavano con le torce elettriche per i corridoi bui e
deserti dell'università non nascondono la rabbia: «Questa non è
un'università, ma una trappola per topi». Tutti indicano le aule:
decine, ma sotto il livello del terreno. Un docente allarga le braccia, forse
immaginando anche se stesso in cerca di una introvabile
via di fuga: «Se la scossa fosse arrivata in una normale mattina di lezione,
non si sarebbe stato scampo».
Primo, per i crolli che si sono verificati negli spazi dedicati ai ragazzi. Secondo,
perché la scala d'uscita era occupata dai detriti. Ma ancora: se gli studenti
e i professori fossero stati all'università, sarebbero stati colpiti
da lame di vetro pesanti decine di chili, precipitate da molti metri di
altezza. «Qui ci saranno un sacco di cose da chiarire», commenta un tecnico
dei vigili del fuoco, muovendo con un piede le macerie. Osservando i
brandelli di struttura ancora pericolanti. Nei giorni scorsi gli esperti
dell'università hanno compiuto i primi sopralluoghi nell'ateneo. Il
rapporto con i risultati tra breve sarà completato e senz'altro
aprirà un nuovo fronte di indagine. Intanto si sta cercando di
risalire alle imprese che hanno realizzato le vetrate. Di distinguere gli
eventuali responsabili dalle altre società che hanno compiuto i lavori
a regola d'arte. I locali del primo padiglione e della mensa, per dire, hanno
retto bene il colpo. Tutto per arrivare a quella domanda: chi ha utilizzato
plastica espansa invece del cemento? All'uscita dell'università gli
studenti formano capannelli. Si comunicano amarezza e delusione: «Rischiamo
di perdere il lavoro di un anno». Un professore si allontana e a mezza voce
sospira: «Se sapessero... altro che le ricerche, hanno rischiato di perdere
la vita».
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