Il Sole 24 Ore 21-8-2009
DOPO LA TEMPESTA / Vietato
«sprecare» questa crisi
di
Harold James *
*Harold
James è professore di Storia e affari internazionali alla Woodrow Wilson School dell'Università di Princeton e professore
di Storia all'European University
Institute di Firenze
Copyright: Project Syndicate, 2009 (Traduzione di
Fabio Galimberti)
Il momento peggiore della crisi finanziaria globale sta
per passare, eppure cresce la frustrazione politica perché il tracollo
economico sembra offrire un'ultima opportunità per promuovere
cambiamenti ambiziosi, e quell'opportunità rischia di andare perduta.
Lo scorso anno, il capo di gabinetto del presidente Obama,
Rahm Emanuel, ha
osservato che una buona crisi non andrebbe mai sprecata. Il disastro è
un'opportunità per ragionare sui modi per mutare radicalmente il
pianeta, e anche per prevenire future crisi. Tutti si mettono a pensare, ma a
volte pensano talmente tanto che escono fuori
risposte contraddittorie.
Quello che rende veramente profonda una crisi è l'ampia varietà
di diagnosi e rimedi diversi. Le passioni politiche suscitate dalle diverse
interpretazioni spesso rendono la crisi apparentemente insolubile. Furono
questi conflitti, più che qualche difetto tecnico nella gestione dell'economia,
a rendere la grande Depressione degli anni Trenta un
evento tanto drammatico e distruttivo. Le risposte a una crisi rientrano in
due categorie. La prima punta a una riorganizzazione
istituzionale, rimuovendo le inefficienze e gli incentivi perversi e
garantendo un funzionamento più spedito ed efficiente
dell'economia. Il secondo approccio, più radicale, cerca di
intervenire non sull'economia, ma sul modo stesso di condurre l'esistenza da
parte delle persone.
Nessuna soluzione istituzionale è assolutamente neutrale quanto a
effetti sul reddito relativo, e di solito il dibattito politico ruota proprio
intorno al reddito e alla ricchezza relativi. Le operazioni di salvataggio
invariabilmente scatenano aspre polemiche perché aiutano qualcuno, ma non altri.
Intervenire in soccorso delle case automobilistiche sembra una cosa buona per
i dipendenti e i fornitori di queste società. Ma
i costi li devono sostenere tutti, comprese quelle aziende che non sono state
aiutate - probabilmente perché gestite in modo più efficiente - e che
si ritrovano pertanto in una situazione di svantaggio competitivo.
Questi salvataggi sembrano mirati alle grandi aziende con dirigenti incapaci.
Le piccole imprese si lamenteranno sempre di non avere il peso organizzativo
per convincere i governi a destinare loro fondi pubblici. E i salvataggi
delle banche, che comportano un impiego diretto di denaro pubblico per
ricapitalizzare istituti di credito sull'orlo del fallimento, sono ancora
più costosi e politicamente impopolari. I sostenitori degli stimoli
monetari affermano talvolta che questi siano preferibili perché più
neutrali negli effetti distributivi e perché i loro benefici ricadono su una
platea più vasta. Ma nella realtà gli
stimoli monetari sono spesso altrettanto selettivi dei salvataggi.
L'analogia resa celebre dal grande economista monetarista Milton Friedman era
che la Banca
centrale poteva sempre risolvere i problemi di deflazione scaricando soldi da
un elicottero. Ma nel mondo reale, quando
l'elicottero scarica denari, sotto non c'è l'intera popolazione. Anzi,
è probabile che il pilota dell'elicottero faccia in modo di scaricare
il denaro quando sotto ci sono parenti e amici. E anche se il pilota è
incorruttibile, la folla a terra darà sempre per scontato che dietro
ci sia qualche piano oscuro e fazioso.
È proprio quello che è successo con l'aggressiva iniezione di
liquidità, le politiche di espansione quantitativa e la riduzione dei
tassi d'interesse da parte delle Banche centrali, per affrontare la crisi in
corso. Nella stretta creditizia odierna, come nella grande Depressione, le
Banche centrali prestano a tassi d'interesse praticamente
prossimi allo zero. I correntisti non guadagnano quasi nulla dai loro
depositi. Ma quando le imprese e i consumatori
cercano di ottenere soldi in prestito, scoprono che è molto costoso,
se non proprio impossibile. Coloro che prestano il denaro sono diffidenti e
preoccupati per la solvibilità ed esigono premi di rischio elevati. La
conseguenza è che nella maggior parte dei paesi il credito continua a
calare.
In pratica, solo le banche hanno accesso al credito
a buon mercato, per ricostituire il loro patrimonio prendendo in prestito a
costi bassi e prestando a costi alti. Ecco perché d'improvviso,
inaspettatamente, le banche sembrano diventate
superredditizie. Ma il contrasto fra la redditività della banca e le
sventure di tutti gli altri indirizza il furore politico sulle Banche
centrali, che devono spiegare perché sotto l'elicottero che scarica i soldi ci sono solo i loro "amici", le banche. La
frustrazione per le difficoltà di provare a offrire soluzioni belle e
pronte conduce a tentativi di trovare soluzioni ancora più radicali.
C'è chi cerca di intervenire sulle inclinazioni di
fondo dell'essere umano e di modificare il comportamento per
migliorare le persone. È in tempi di crisi che fioriscono le teorie
utopistiche, che spesso rivendicano basi scientifiche, sui metodi per
garantire la felicità umana.
Ad esempio, già ben prima del tracollo finanziario, gli economisti
sperimentali provavano, insieme agli psicologi, a misurare le diverse
propensioni all'avidità. Alcuni dati suggeriscono l'esistenza di un
collegamento tra il livello di dopamine, la dipendenza e il comportamento
avido. Partendo dal fatto che una diagnosi diffusa dei problemi che si sono
creati nei servizi finanziari ne attribuisce la colpa all'avidità
umana, un istituto di ricerca tedesco ha suggerito che le persone con
tendenza genetica a livelli alti di dopamine dovrebbero essere escluse dalle
posizioni di comando nelle società finanziarie.
Per quanto possano sembrare
interessanti, strategie come queste, che puntano a migliorare le persone,
finiscono col diventare selettive (e sulla base di
test piuttosto arbitrari). Se la proposta tedesca venisse
applicata, probabilmente finirebbe per escludere quei comportamenti che
implicano un'assunzione di rischio accettabile, oltre a quelle persone che
prendono decisioni insensate e inappropriate. Sia la risposta istituzionale che la risposta comportamentale presentano problemi di
fondo. La ricerca di soluzioni tecniche conduce a una polarizzazione politica
e può produrre una situazione di stallo. La ricerca
delle radici umane profonde della crisi, invece, porta a tentativi di
modificare la natura umana, tentativi futili e anche intrinsecamente
molto più pericolosi.
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