HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documento d’interesse Inserito
il 20-9-2007 |
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Il Sole
24 Ore 18-9-2007 Tfr, la cronaca
di un fallimento di Tito Boeri e Luigi Zingales Il sondaggio Eurisko La riforma del
trattamento di fine rapporto (Tfr) è stata giustamente
presentata come un'occasione unica per aumentare la partecipazione degli
italiani ai mercati finanziari e per incoraggiare, soprattutto i giovani, a
costruirsi una previdenza integrativa con cui rimpinguare pensioni pubbliche
inevitabilmente destinate a diventare meno generose. Purtroppo i dati di un
sondaggio condotto a luglio da Eurisko per conto di AnimaFinLab su di un
campione rappresentativo di lavoratori dipendenti del settore privato ci
dicono che entrambi questi obiettivi sono falliti. In media solo un
lavoratore su quattro ha espressamente optato per un fondo pensione, contro
un obiettivo minimo dell'Esecutivo del 40% (che non verrà raggiunto
neanche contando le adesioni tacite). Tra i giovanissimi (tra i 22 e i 30
anni) la percentuale di adesioni esplicite è al di sotto del 20 per cento.
Prime anticipazioni da una ricerca in corso sui risultati di questo sondaggio
possono anche aiutarci a capire il perché di questo fallimento.
Contrariamente alle aspettative, il fallimento non sembra essere dovuto alla
mancanza di consapevolezza sulle scelte. Il 90% dei lavoratori ha fatto una
scelta e il 90% di questi è stato in grado di motivarla. Lungi dal non
aver capito la riforma, nonostante le sue complessità, i lavoratori
sembrano averla capita fin troppo bene. Altrimenti si farebbe fatica a spiegare
l'enorme differenza di comportamento tra lavoratori di imprese con meno di 50
addetti e quelli di imprese con più di 50 addetti. Come si evince dai
dati riportati nel grafico qui sopra, elaborato a partire dal sondaggio,
circa tre lavoratori su quattro nelle imprese più piccole hanno scelto
di lasciare il Tfr in azienda e meno di uno su dieci ha scelto
espressamente di destinarlo ai fondi pensione. Nelle imprese più
grandi, invece, la percentuale di chi ha scelto di lasciare il Tfr in
azienda è di poco inferiore al 50% mentre quattro lavoratori su dieci
hanno espressamente optato per un fondo pensione (soprattutto per quelli ad
adesione collettiva). Come si ricorderà, le opzioni offerte erano
molto diverse nei due casi. La Finanziaria 2007 prevede che i flussi di Tfr
"rimasti" in aziende con più di 50 addetti siano destinati a
un conto di tesoreria istituito presso l'Inps. Nelle imprese più
piccole, invece, questi fondi rimangono effettivamente in azienda.Dato
l'interesse del datore di lavoro per la permanenza dei fondi in azienda, ci
si potrebbe aspettare che questa differenza sia dovuta a pressioni esplicite
o implicite dei datori di lavoro sui dipendenti. Se crediamo alle risposte
fornite dai lavoratori stessi, però, non c'è evidenza di
pressioni esplicite. Le risposte per "spinte o pressioni " o per
"paura di essere licenziato" rappresentano solo il 2,6% nelle
piccole imprese contro l' 1,8%nelle grandi.C'è invece differenza nella
frequenza della motivazione "Per agevolare l'azienda/per non far gravare
sull'azienda la perdita del Tfr " nelle risposte dei dipendenti
di imprese piccole (5,2%) e medio-grandi (3,1%). Questo può essere un
segno di pressioni implicite o di una maggiore identificazione del lavoratore
con l'impresa in aziende di piccole dimensioni. Le principali motivazioni
addotte dai lavoratori che hanno scelto di tenere il Tfr in azienda
hanno, invece, a che fare con la fiducia. La prima motivazione (con
più del 20% delle risposte) è la possibilità di avere
una liquidazione in contanti al momento della pensione invece che sotto la
forma di vitalizio, un indice di sfiducia nel valore di una pensione privata.
Al secondo posto, con il 17% delle risposte, c'è la mancanza di
fiducia negli investimenti finanziari. Al terzo posto c'è la
convinzione che il Tfr in azienda garantisca un rendimento più
sicuro di un investimento nei fondi. Apparentemente, questo sembra un
paradosso, visto che un lavoratore che investe nei fondi può
facilmente assicurarsi un rendimento uguale a quello del Tfr
investendo tutti i contributi in un fondo monetario. O i lavoratori non erano
consapevoli di questa opzione, oppure attribuivano un ulteriore rischio
all'investimento nei fondi, associato alla possibilità di default del
fondo stesso. Questa seconda ipotesi è supportata dal fatto che solo
il 3% dei lavoratori ha totale fiducia nei fondi, contro il 31% che ha totale
fiducia per l'impresa in cui lavora. Questo differenziale di sfiducia
contribuisce anch'esso a spiegare il diverso comportamento dei lavoratori
nelle imprese con meno di 50 addetti e in quelle con più di 50
addetti. I lavoratori delle piccole imprese avevano di fronte a loro
un'offerta più limitata di schemi previdenziali alternativi al Tfr.
Un milione e mezzo di loro non poteva accedere ad alcun fondo contrattuale.
In altri casi, pur potendo accedere a un fondo ad adesione collettiva, i
lavoratori dell'impresa minore non potevano beneficiare del contributo
addizionale del datore di lavoro previsto in molte grandi imprese mentre il
fondo collettivo disponibile era troppo piccolo, come platea di effettivi o
potenziali beneficiari, per poter conseguire significative economie di scala,
dunque per offrire rendimenti netti più elevati. Inoltre, nelle
imprese con meno di 50 addetti, l'alternativa a un investimento nei fondi era
il mantenimento dei contributi in azienda, mentre nelle grandi imprese
significava il versamento del Tfr all'Inps. E se l'azienda ha la
totale fiducia del 31% dei dipendenti e molta fiducia da un altro 55%, l'Inps
suscita la totale fiducia di solo l'8% dei lavoratori e "molta
fiducia" per il 37 per cento. Paradossalmente, il trucco inventato dalla
Finanziaria 2007 per rimpinguare le casse dello Stato ha avuto come
inaspettata conseguenza quella di favorire un maggior flusso di contributi
nei fondi. Non per fiducia dei fondi, ma per sfiducia nell'Inps. Ma se
vogliamo che i fondi, e il mercato finanziario in generale, si affermino tra
i lavoratori per meriti propri invece che per demeriti altrui, dobbiamo
colmare questo gap di fiducia negli strumenti d'investimento e aprire i fondi
contrattuali ai lavoratori delle piccole imprese. Le più importanti
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