PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Data Inserimento: 15-11-2006
CORRELAZIONI A QUESTO DOCUMENTO |
Il PuntO n°
85: La domanda di qualità si va essiccando: è il segno della
decadenza del paese. |
Da Il Sole 24 ore (22-11-06) – I “conti” dei partiti politici |
Da Il Corriere della Sera (14-11-2006).
I partiti e il business dei
rimborsi elettorali. Nel 2006 le forze
politiche hanno ricevuto oltre 200 milioni.
Di Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
Il caso dei Pensionati, che per le
ultime Europee hanno ottenuto centottanta volte quello che avevano investito.
L’eccezione dei radicali. Spesi 16 mila euro, incassati tre milioni
Il radiotelegrafista Fatuzzo Carlo, giunto
alla veneranda età di 43 anni, intercettò sulle onde
elettromagnetiche un’ispirazione: datti alla politica. Detto fatto,
fondò il partito dei pensionati. Il più redditizio del mondo.
Basti dire che nella campagna per le ultime europee investì 16.435 euro
ottenendo un rimborso centottanta volte più alto: quasi tre milioni. Un
affare mai visto neanche nelle fiammate borsistiche della corsa all’oro di
internet. Eppure, il suo è solo il caso più plateale. Perché,
fatta eccezione per i radicali, quei rimborsi sono sempre spropositati rispetto
alle somme realmente spese. E dimostrano in modo abbagliante come i partiti,
negli ultimi anni, abbiano davvero esagerato. Il referendum del 18 aprile ’93
era stato chiarissimo: il 90,3% delle persone voleva abolire il finanziamento
pubblico dei partiti. Giuliano Amato, a capo del governo, ne aveva preso atto
con parole nette: «Cerchiamo di essere consapevoli: l’abolizione del
finanziamento statale non è fine a se stessa, esprime qualcosa di
più, il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato
tra essi».
Certo, il voto era stato influenzato dal
vento impetuoso della rivolta morale contro gli abusi della Prima Repubblica,
travolta da mille scandali. E magari è vero che conteneva una certa dose
di antiparlamentarismo, trascinato da mugghianti mandrie di torelli
giustizialisti che presto si sarebbero trasformati in pensosi bovi garantisti.
Di più: forse era solo una illusione velleitaria l’idea che una
democrazia complessa potesse reggersi sulla forza di partiti dalle opinioni
forti e dai corpi leggeri come piume. Maanche chi da anni teorizza la
necessità che la società si faccia carico di mantenere i partiti
quali strumenti di democrazia, dovrà ammettere che la deriva fa
spavento. Ve lo ricordate perché nacquero, i rimborsi elettorali? Per aggirare,
senza dar nell’occhio, quel referendum del ’93. E sulle prime l’obolo imposto
era contenuto: 800 lire per ogni cittadino residente e per ognuna delle due
Camere. Totale: 1.600 lire. Pari, fatta la tara all’inflazione, a un euro e 10
centesimi di oggi. Erano troppo pochi? Può darsi. Certo è che,
via via che l’ondata del biennio ’92/’93 si quietava nella risacca, i partiti
si sono ripresi tutto. Diventando sempre più ingordi. Fino a divorare oggi,
nelle sole elezioni politiche, dieci volte più di dieci anni fa. Eppure,
la prima svolta sembrò già esagerata. Era il 1999. L’idea
transitoria del 4 per mille (volontario) sul quale i partiti prendevano degli
anticipi, si era rivelata un fallimento.
A marzo, con un pezzo della destra che
denunciava l’ingordigia dei «rossi», passarono l’abolizione delle agevolazioni
postali in campagna elettorale e l’eliminazione dell’anticipo: i partiti
avrebbero dovuto restituire in 5 anni, nella misura del 20% annuo del totale,
le somme «eventualmente ricevute in eccesso». Macché. Non solo la restituzione
fu svuotata dalla scelta di non varare mai (mai) il decreto di conguaglio. Ma
due mesi dopo, col voto favorevole d’una maggioranza larghissima e il plauso
anche della Lega («Questa legge ci avvicina all’Europa», disse Maurizio
Balocchi, coordinatore dei tesorieri dei partiti) passò un ritocco assai
vistoso: da
Finché presentarono insieme una leggina,
firmata praticamente da un rappresentante di ciascun partito perché nessuno
gridasse allo scandalo (Deodato, Ballaman, GiovanniBianchi, Biondi, Buontempo,
Colucci, Alberta De Simone, Luciano Dussin, Fiori, Manzini, Mastella,
Mazzocchi, Mussi, Pistone, Rotondi, Tarditi, Trupia, Valpiana) che portava i
rimborsi addirittura a 5 euro per ogni iscritto alle liste elettorali e per
ciascuna delle due Camere. Una scelta discutibile con l’aggiunta di una
indecente furberia: anche il calcolo dei rimborsi per il Senato andava fatto
sulla base degli elettori della Camera. I quali sono, senza calcolare gli
italiani all’estero, 47.160.244. Contro i 43.062.020 degli aventi diritto a
votare per Palazzo Madama:
Confronti: i partiti assorbono oggi
oltre il doppio (quasi 201 milioni contro quasi 93) di quanto assorbivano
cinque anni fa. Il balzello è passato dal 1993 ad oggi, con l’appoggio,
la complicità o il tacito consenso di tutti (salvo le eccezioni di cui
dicevamo e un po’ di distinguo) da
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
14 novembre 2006
Degli
stessi autori.
Da
Il Corriere della Sera (1-11-2006).
«Collaboratori» e «cancelleria»: Palazzo Chigi costa il 69% in
più. Spese per lo staff del premier cresciute del 186%
Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella
«Dobbiamo tagliare», diceva Berlusconi. E le spese di
funzionamento di Palazzo Chigi sono passate in pochi anni, nei «suoi» bilanci,
da
«Dobbiamo tagliare», dice Romano Prodi. Ma per le stesse spese prevede di tirar
fuori nel 2007, nella «sua» Finanziaria, 17 milioni in più. Fino ad
arrivare a 391. Pari a 757 miliardi di lire.
Per carità: è più cara la bolletta del riscaldamento, sono
più cari i pieni di benzina, è più cara
l'elettricità. Ma capire come le spese vive del «cuore» dello Stato si
siano impennate del 69% oltre l'inflazione (13% complessivo) è arduo.
Tanto più che i bilanci, come capita nelle società di quei
faccendieri che non vogliono curiosi nei dintorni, sono tutt'altro che
cristallini.
Una struttura pubblica trasparente deve avere bilanci trasparenti? Qui no.
Prendiamo un capitolo: «Spese per acquisto di cancelleria, stampati speciali e
ogni altro bene di consumo e/o strumentale necessario al funzionamento degli
uffici, per il noleggio e la manutenzione di apparecchiature, attrezzature e
restauro di mobili». Cosa vuol dire? Che ci fa il «restauro di mobili» con le
matite e le gomme? E di quali «apparecchiature» si tratta? Computer? No,
c'è una voce a parte. Anzi, nel bilancio 2005 addirittura tre. Capitolo
213: «Spese per l'installazione, la gestione e la manutenzione degli apparati
tecnologici delle reti informatiche e di telecomunicazione»: 4.913.737 euro. Capitolo
913: «Spese per l'acquisto di beni e servizi informatici e telecomunicazioni
durevoli»: 1.770.000. Capitolo 909: «Spese per lo sviluppo del sistema
informatico e delle infrastrutture di rete»:10.693.383. Qual è la
differenza? Boh... L'unica cosa certa è il totale: 17.377.120 euro.
Quanto alle «spese di cancelleria», nel 2001 ammontavano a 1.043.242 euro, nel
2005 erano a 2.598.721.
Sono aumentati i dipendenti, quindi la necessità di penne e calamai? Nel
faccia a faccia prima del voto, in polemica col Cavaliere, il Professore disse
di sì: «Aveva detto che c'erano troppi dipendenti a palazzo Chigi. Erano
4.000 persone, oggi sono 4.200». In realtà, i numeri a bilancio sembrano
dare torto a tutti e due. Non erano quattromila ma 3.548 (sulla carta) nel
2001, non sono 4.200 ma 2.974 (sulla carta) alla fine del 2005. Sulla carta,
però. Perché esiste da sempre una tale girandola di «comandati»,
consulenti, provvisori vari da perdere la testa. La riprova? La spesa per il
personale, che in base ai numeri appena dati avrebbe dovuto calare di circa un
sesto (anche se i dirigenti con le destre al governo sono passati da
Il fatto è che tutto è molto complicato da decifrare. E che a
Palazzo Chigi i consulenti (61 nel 2001, 136 nel 2005) e i collaboratori presi
in prestito possono essere un esercito. Come quello a guardia di Berlusconi: vi
sembrano tanti i 31 agenti che lui stesso si assegnò per quando non
sarebbe più stato capo del governo? Allora ne aveva 81. Dei quali 11
(sei dipendenti del gruppo Mediaset, stando alle denunce della sinistra) erano
stati assunti dal Cesis per chiamata diretta, scavalcando le regole che
permetterebbero l'accesso ai «servizi» solo a chi è già poliziotto
o carabiniere.
Quanto allo staff, ricordate cosa scrisse un cronista entusiasta dell'attivismo
del Cavaliere? «Segreterie e collaboratori si alternano, con diversi turni,
mentre il Cavaliere sembra l'omino delle pile Duracell. Chi scrive riesce a stento
a girare lo zucchero nella tazzina del caffè, nello stesso tempo in cui
il presidente fa almeno tre cose». Pareva una lisciatina: era un programma. Lo
dicono i bilanci: nel 2001 le spese per pagare «gli addetti alle segreterie
particolari del presidente, del vicepresidente e dei sottosegretari di Stato
estranei alla pubblica amministrazione» (le persone portate da fuori)
ammontarono a 1.882.248 euro. Ai quali andavano aggiunti altri 1.846.333 euro
per il «trattamento economico accessorio per gli addetti agli uffici di diretta
collaborazione del presidente, dei vicepresidenti e dei sottosegretari».
Totale: 3.728.581. Cosa significhino esattamente queste voci (cos'è il
trattamento «accessorio»?) non è chiarissimo. È però chiaro
che le stesse voci si sono impennate nel 2005 fino a 11.154.000 euro: 21
miliardi e mezzo di lire. Un aumento reale, al di là dell'inflazione,
del 186%. Né è andata peggio al segretario generale e ai suoi vice: nel
2001 i loro stipendi pesavano per 320 mila euro, nel 2005 per 584 mila.
Per le altre curiosità, c'è da cogliere fior da fiore. Tutto
legittimo, per carità. Ma colpisce, in questi anni di ristrettezze, che
la Protezione Civile abbia speso nel 2005 solo 6 milioni per lo Tsunami (280
mila morti) e 15, quasi tre volte tanto, per «oneri connessi alle esequie del
Papa e alla nomina del nuovo Pontefice». O che la stessa protezione civile
abbia tirato fuori un milione di euro per «il grande evento relativo alla
Conferenza episcopale di Bari».
Per non dire della magica stagione della società televisiva «Euroscena».
Fondata venti anni fa «su imprescindibili valori cristiani» (così
è scritto nel sito, dove si vanta insieme il quiz «Distraction» dove chi
rispondeva bene aveva diritto a smutandarsi), fino al 2000 fatturava 2 milioni
e mezzo di euro. Dal 2001 ad oggi è passata a 16.164.414. Wow! Merito
del «genio» dell'amministratore unico, Davide Medici, un ignoto ragazzo di 22
anni? No, della Provvidenza, spiega in un'intervista il socio di maggioranza
Luigi Sciò: «Ho tanta fede nella Provvidenza». Che nel suo caso, dicono
i maligni, è bassina, ha i capelli trapiantati e la pelle liftata.
Berlusconi, per Sciò, è «una persona amica», uno «che ha dato
moltissimo alla televisione», un «grandissimo imprenditore», un «uomo veramente
straordinario con una famiglia straordinaria». Una stima agiografica ma
ricambiata.
Convinto che «Euroscena» sia il top, il Cavaliere le ha infatti delegato non
solo la confezione dei filmati propri (dal vertice di Pratica di Mare al
decennale di Forza Italia, poi girati alla Rai con relative polemiche) ma anche
quelli di Prodi. Dopo una gara «informale» («motivi di segretezza»: sic) fatta
poco prima di sgomberare da Palazzo Chigi ma con un contratto che sarebbe
scattato il 19 maggio e cioè 40 giorni dopo le elezioni, ha affidato
infatti alla società una serie di appalti a partire dal confezionamento
tivù dei grandi eventi di palazzo Chigi anche per tre anni a venire.
Cosa che al nuovo governo non è piaciuta tanto. Tanto più che,
appena insediato, il Professore bolognese si è visto arrivare le fatture
per tre avvenimenti «extra-canone» che avevano celebrato il predecessore.
1) La cerimonia per l'anniversario del volontariato civile.
2) L'udienza agli atleti paraolimpici a Villa Madama.
3) La cena a Villa Miani con gli esponenti del Partito Popolare Europeo venuti
alla vigilia delle elezioni a spalleggiare il centrodestra. «Perché dobbiamo
pagare noi, coi soldi dei cittadini, uno spot promozionale privato e
partitico?», si sono chiesti gli attuali inquilini di palazzo Chigi.
Tanto più che la fattura, per i tre servizi, era di 334.316 euro.
Più di duecento milioni a botta.
Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
01 novembre 2006