HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documento d’interesse Inserito il 1-6-2007 |
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Riformista 1-6-2007 CRISI. Una stagione è finita La seconda Repubblica sta crollando È tempo di cambiare
la Costituzione DI Giovanni Pieraccini La seconda Repubblica
è finita. Nei roghi delle notti napoletane è andata in cenere
l'autorità dello Stato, della Regione, del Comune. Non si è
potuto attuare un organico sistema di trattamento dei rifiuti, ma neppure
quello delle discariche a cielo aperto che suscitano le giustificate proteste
delle popolazioni. Non si possono nemmeno trattare i rifiuti in tutto il
territorio nazionale, tanto che si pensa di inviarli in Romania - cosa
nient'affatto scontata - con una grave spesa a carico del contribuente e con
l'umiliazione del nostro paese. Non è soltanto una tragica vicenda
regionale: il potere di veto delle agitazioni locali blocca le infrastrutture
come quelle dell'alta velocità, approvata dal governo e dall'Unione
europea. La politica ambientale stessa, da tutti dichiarata
prioritaria, appare debole: non si è dato rilievo al fatto che l'Unione
europea ha condannato come insufficiente il piano italiano di porre come
tetto all'immissione di Co2 nell'atmosfera 209 milioni di tonnellate e ci ha
imposto un limite di 195,8 milioni di tonnellate, il che significa appunto
ulteriori riduzioni e una spesa di 600 milioni di euro l'anno. Tutto questo avviene mentre è ormai esplosa, da tutti gli
schermi televisivi e da tutti i giornali, la denuncia della crisi della politica.
Dalla prima denuncia di due anni fa del libro di
Salvi e Villone, ormai si moltiplicano più
vaste denunce, fino al clamoroso successo del libro di Rizzo e Stella La
Casta. Essi incontrano un sentimento diffuso fra i cittadini, una sfiducia
nelle istituzioni e nei partiti, una condanna dei privilegi, degli sprechi,
dei costi della politica. È una pressante richiesta di
cambiare strada che può, sull'onda della delusione, diventare
antipolitica. Il famoso discorso di Montezemolo alla Confindustria non
è né una sua entrata in campo, almeno per ora, e non è nemmeno
un atto di antipolitica, ma è, al contrario, un atto politico di
rilevanti conseguenze, è il passaggio all'opposizione contro il
governo, sulla base dell'irrequieta scontentezza di un gran numero di
imprenditori, in particolare piccoli e medi.
È vano osservare che è una denuncia che ignora le
responsabilità del mondo imprenditoriale come se non avessero invece
anch'esse contribuito a produrre la crisi attuale, poiché se è un atto
di parte è un atto gravido di conseguenze
politiche. Se poi si riflette, dopo la soluzione della vertenza degli
statali, sul ruolo del sindacato, diventato in pratica deliberativo sulle
leggi che lo interessano, si vede come è indebolita e deformata la politica
di concertazione delle parti sociali, su cui voleva fondarsi il
centrosinistra, sia da parte sindacale che confindustriale, e che prevedeva
un ruolo consultivo di sindacati e di imprenditori e deliberativo del
governo. Su tutto questo sono sopraggiunte le elezioni del 27 e 28 maggio che
hanno sanzionato la sconfitta del centrosinistra. È inutile divagare
sulla mancata spallata contro il governo, o su un immaginario inesistente
paesaggio dei risultati: alla fine la sconfitta è stata ammessa. In
realtà due fatti sono evidenti: i partiti dell'Ulivo hanno perso voti
quasi dovunque (anche là dove hanno vinto, come a Genova), a volte in
modo clamoroso, e il Partito democratico non ha svolto, con la sua nascita,
nessun ruolo propulsivo, né ha rappresentato una rinata speranza, anzi
è stato sostanzialmente punito dagli elettori. La polemica sulle
elezioni deve spostarsi sull'esame della situazione del paese e constatare
che le promesse che nacquero con la fine della prima Repubblica sono rimaste inattuate: la grande riforma democratica non c'è
stata, c'è stato invece l'accumulo delle macerie di un continuo aggravamento
della crisi. Potremmo citare la voce di molte
personalità che denunciano la crisi. Ecco, per esempio, il professor
Paolo Prodi: "C'è in atto una stagnazione sociale e culturale
molto preoccupante. La società e l'economia sono ingessate e non da
ieri. Non credo che questi problemi possono essere risolti con la bacchetta
magica da riforme di tipo liberista. La crisi è troppo strutturale per
essere affrontata con provvedimenti a breve periodo". E dice Rebuffa: "Nella grande e lunga crisi del sistema politico
che è una crisi di autorità e di legittimazione, il peso del
localismo e degli interessi sezionali (se proprio non si vuole usare il termine corporativi) ha oggi ripreso forza. Così
le comunità locali obbligano a fare un aeroporto inutile, ma vietano
una linea ferroviaria di importanza strategica. La rete delle negazioni
corporative si è ampliata ed è presidiata da poteri sempre
più diffusamente extrapolitici, ormai largamente svincolati da
controlli e autorità. Tutto questo svuota la politica che non
ha più capacità e strumenti di controllo sulle corporazioni e
può solo ripetere i riti della mediazione". Per quanto riguarda
la polemica sugli sprechi, la corruzione, i costi della politica,
mi ha colpito l'amara dichiarazione di Piercamillo Davigo, protagonista di Mani Pulite, ora magistrato di
Cassazione, ha detto: "Abbiamo preso le zebre lente, sono rimaste le
più veloci. Anzi potremmo dire di avere migliorato la specie dei
predatori, sono rimasti i più forti. E se fossero batteri potremmo
dire di avere trovato una specie resistente agli antibiotici". La
seconda Repubblica si è consumata con riforme parziali,
contraddittorie con il risultato paradossale dell'aggravamento della crisi del sistema, come oggi, purtroppo, chiaramente vediamo. La
Costituzione ha vissuto un processo di santificazione e nei fatti è
stata stravolta dalla Costituzione materiale, così lontana dai suoi
valori fondamentali: che erano centrati sulla persona, il lavoro, la
giustizia sociale mentre ora al centro c'è,
in realtà, l'economia del mercato. Le riforme parziali fatte sul
titolo quinto della Costituzione hanno non risolto ma aggravato la crisi. Si
è dato vita a un federalismo nel quale le Regioni diventano sempre di
più quasi piccoli Stati, addirittura con sedi a New York o a Shanghai,
o in molte altre città del mondo, in permanente discussione con lo
Stato, alla ricerca di accordi di compromesso con conflitti di competenza che ingolfano di ricorsi la Corte
Costituzionale. Gli squilibri sociali e territoriali non si attenuano. Accanto
all'irrisolta questione meridionale c'è ormai la questione
settentrionale. Il bipolarismo e l'alternanza visti come il raggiungimento
della maturità della vita democratica si è tradotto, tramite le
leggi elettorali, in due coalizioni contraddittorie al loro interno, con la
moltiplicazione dei partiti, ognuno dei quali capace di esercitare quasi un
diritto di voto. Il risultato è che i governi oscillano fra spinte e
pressioni diverse. Dinanzi alla gravità della crisi non basta
correggere errori, fare qualche legge popolare, ridurre il peso del fisco sui
redditi più bassi, ridurre qualche privilegio. Occorre ormai una
svolta decisiva nella politica italiana e ciò significa porre
al centro della politica la riforma della Costituzione, poiché
attraverso essa soltanto si può giungere alla riforma dello Stato e
quindi del sistema politico. Finora ci si è limitato a riforme
parziali che hanno aumentato le contraddizioni fra i vari
poteri, centrale e periferici. La grande riforma non c'è mai
stata fin dai tempi della Costituente quando nel
momento stesso in cui demmo vita a una Carta costituzionale democratica,
ricca di valore sociale e, per quei tempi, moderna, nello stesso tempo
accettammo la "continuità dello Stato" e perciò il
permanere dei codici e delle leggi prefasciste e
fasciste e cioè il permanere dello Stato centralista,
burocratico, prefettizio, che sotto vari aspetti permane ancor oggi. Di tutto
questo non c'è traccia e sappiamo che una riforma che sia radicale e elimini, per esempio, le province, il
Consiglio superiore dell'economia e del lavoro, crei uno Stato federale di
effettivo ampio decentramento, stabilendo però un potere federale
forte per attuare gli interessi generali, è una riforma difficile
perché colpisce interessi costituiti, anche della classe politica. Ma
occorre affrontare fermamente queste opposizioni. Non pare che lo strumento
adatto sia il nuovo Partito democratico, che appare più invischiato in
lotte per la leadership e per gli equilibri interni di potere. La decisione
di nominare Prodi presidente e di eleggere alla
Costituente un segretario del partito non risolve il problema, ma rischia di
creare un monopolio e di trasformare la Costituente nella lotta per la
leadership. Tuttavia anche le forze del riformismo socialista, dallo Sdi alla sinistra democratica, hanno bisogno di chiarezza
e di condurre con coraggio le lotte per la grande riforma, mentre corrono il
rischio ancora una volta di dividersi, se la sinistra democratica appare
incerta fra chi vuole, insieme a Rifondazione, mirare a una grande nuova
sinistra, e chi vuole la piena partecipazione alla Costituente socialista e
tende a rinviare le scelte. Sarebbe una nuova sconfitta del riformismo
socialista, mentre ha invece un'occasione di affermarsi sulla base delle
attese di rinnovamento del Paese. Sarebbe una
paradossale vittoria del Partito democratico in crisi. Occorre che le forze
che si richiamano al Pse si uniscano nella
Costituente Socialista ma la riempiano di un
contenuto di riforma del sistema e che su questa base sviluppino il dialogo
con le altre sinistre, perché esse stesse giungano all'approdo di una politica
di riforme, incisiva, coraggiosa, di sistema, ma insieme di solido realismo.
Dobbiamo dirci che non è un cammino facile, ma
necessario, ricordandoci che le più acute crisi politico-sociali
possono essere superate da una capacità di rinnovamento delle forze
politiche, ma possono anche avvitarsi su sé stesse, pericolosamente, come
accadde, tragicamente, nella crisi del primo dopoguerra. |