HOME     PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli    

Documento d’interesse   Inserito il 10-12-2007


 

Documenti correlati

 

 

 

La Repubblica del 10-12-2007

Banche, lo spettro della liquidità

MARCO PANARA

Un dicembre così non lo si viveva dal 1999. Allora a tenere svegli i banchieri di tutto il mondo era ilbaco del millennio’, il cui fantasma aveva terrorizzato gli uomini di finanza, spinto le banche a riempirsi di liquidità e fatto fare affari d’oro agli informatici. Allora per fortuna non accadde nulla e il primo gennaio del 2000, a dispetto della cabala, si dimostrò non essere diverso dal primo gennaio del 1999. Questa volta il clima è lo stesso, ma problema assai più reale: perché il 2007 è l’anno dello sboom, la fine dell’allegra festa globale del credito facile e nessuno sa davvero come le chiuderanno i conti le banche e quali operazioni accompagneranno la chiusura dell’esercizio.
Il segnale, sonoro come un colpo di cannone, è arrivato giovedì scorso, 29 novembre, quando in un giorno solo il tasso interbancario a un mese ha fatto un salto di ben 60 punti base. L’interbancario si sposta normalmente di qualche punto, non di decine di punti e l’allarme si è subito diffuso. La spiegazione degli operatori è stata che la domanda di liquidità sulla scadenza di fine anno (un mese appunto) è tradizionalmente elevata per motivi tecnici e questa volta la domanda elevata si è scontrata con una offerta meno generosa.
Il problema è tutto lì, l’interbancario è il mercato dei mercati, il grande fluidificatore della vita finanziaria globale, quello che deve funzionare bene per forza, perché se non funziona lui sono problemi per tutti gli altri. E’ la grande piscina nella quale scaricano liquidità le banche che in un dato momento ne hanno in eccesso e prelevano liquidità le banche che in quello stesso momento ne sono invece carenti. Se nessuno versa e molti vorrebbero prelevare la prima cosa che succede è che il prezzo sale, la seconda è che non ce n’è per tutti. La prima cosa è già successa, dopo anni in cui il denaro non è stato un problema perché ce n’era in abbondanza e a basso costo, ora il costo sale e, poiché c’è il rischio che non ce ne sia per tutti, le banche centrali già da tempo hanno aperto i loro forzieri e hanno messo fondi per decine di miliardi a disposizione di chi aveva adeguate garanzie da offrire.
Fatto sta che in questi giorni i tesorieri di grandi e piccole banche si sono messi al telefono ed hanno chiamato uno a uno i responsabili delle attività creditizie e hanno raccomandato loro di essere cauti, di segnalare ogni operazione, soprattutto intorno al periodo che potrebbe essere più critico, ovvero quello di fine anno.
L’Italia, in realtà, ha meno colpe e anche meno problemi di altri, ma poiché il mercato interbancario è internazionale, finisce per essere contaminata dal problema e pagare il denaro più alto a causa di danni che sono stati fatti altrove.
Le nostre istituzioni finanziarie sono state sfiorate marginalmente dal problema dei subprime, assai meno non solo delle banche americane ma anche di molte consorelle europee e quindi, da questo punto di vista rimangono pienamente affidabili. Però l’atmosfera è quella che è, nessuno si fida più di nessuno e finché non sarà chiaro a quanto ammonta il buco (Ubs in un report del 29 novembre lo quantifica il 605 miliardi di dollari) e soprattutto non si capirà dove sta, per il semplice fatto di essere banche un’ombra di sospetto le accompagnerà comunque.
Anche prendendo la questione dall’altra parte, ovvero non da quella di chi ha comprato titoli con dentro rischi assunti da altri ma da quella di chi ha emesso e venduto titoli di quel tipo, le banche italiane stanno messe meglio. In Italia i mutui, benché cresciuti negli ultimi anni, rappresentano una quota del prodotto lordo ancora bassa (il 17 per cento, contro il 74 per cento degli Usa, il 78 del Regno Unito, il 56 della Spagna, il 42 della Germania e il 32 per cento della Francia), e una quota ancora più bassa è rappresentata dal credito al consumo. Poiché è da quei settori che viene il grosso delle cartolarizzazioni, nel complesso il sistema bancario italiano non ne ha fatte in misura esagerata. La media è di 35 miliardi di euro l’anno negli ultimi cinque anni, ovvero il 25 per cento dei 140 miliardi di euro che è l’incremento dei prestiti erogati ogni 12 mesi.
Tuttavia anche qui vale il caso dei vasi comunicanti. Poiché il mercato delle cartolarizzazioni non è nazionale ma internazionale, e poiché in questo momento prodotti di quel tipo nessuno li vuole, la possibilità di recuperare liquidità vendendo ad altri crediti già erogati e opportunamente impacchettati in titoli da piazzare sul mercato, anche per le banche italiane non c’è praticamente più.
La conseguenza finale della diffidenza che c’è sul mercato interbancario e della quasi impossibilità collocare le cartolarizzazioni è che il denaro alle banche, e di conseguenza a coloro ai quali lo presteranno, costa di più e che il credito si farà progressivamente più selettivo.
I prudentissimi funzionari delle banche centrali rassicurano, la famigerata crisi di liquidità e ilcredit crunch’ che ne sarebbe la conseguenza, non ci saranno. Non ce ne sono le premesse dicono e comunque tutte le contromisure sono state prese. La stessa severità con la quale il presidente della Banca centrale Europea Jean Claude Trichet ha giovedì annunciato la decisione di non muovere il tasso ufficiale, lascia intendere che a Francoforte la crisi finanziaria non fa paura. E anche gli operatori, benché preoccupati, non danno segni di terrore né di panico. In Italia, è il giudizio più diffuso, la situazione è sotto controllo, il contagio americano arriva anche qui ma non è travolgente.
Fatti due conti però, e guardando all’andamento dell’Euribor, il tasso interbancario dell’Euro, è chiara la percezione che si è avviata una nuova stagione. Dopo quella del tanto denaro a tutti, senza stare troppo a guardare i rischi connessi, ora l’aria che tira è di prestare selettivamente e a costi che non potranno non tenere conto di quelli che le banche sosterranno per approviggionarsi. Costi in salita.
La fonte essenziale, l’interbancario, per qualche mese sarà meno generosa. Anche le cartolarizzazioni, che consentono di far rigirare più volte lo stesso denaro senza incidere sui parametri di capitale, sono una fonte inaridita. Ripartiranno, almeno quelle più semplici, che gli operatori hanno il vezzo di chiamare ‘plain vanilla’, ma ci vorrà del tempo. Lo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, in un intervento al Center for Financial Studies di Francoforte, il 22 novembre scorso, ha affermato che il modello ‘originate to distribute’, quello che è alla base delle cartolarizzazioni, è risultato troppo utile per allargare il mercato e le attività delle istituzioni finanziarie per pensare che venga abbandonato. Bisognerà fare delle correzioni, ma tornerà a svolgere il suo ruolo.
Tuttavia bisognerà aspettare, e intanto quella fonte è pressochè chiusa. Resta la raccolta diretta, ovvero i depositi che in varie forme i privati e le imprese versano alle banche e tengono nei conti correnti o nei libretti di risparmio. L’Italia è un paese di risparmiatori, e questo ci avvantaggia rispetto agli altri paesi europei, ma anche qui i problemi non mancano. Il tasso di risparmio si sta rapidamente riducendo, è già sceso dal 12,1 per cento del 2006 all’11,4 per cento nel 2007 e il trend promette di continuare. In più i depositi bancari sono penalizzati da un’imposta del 27 per cento contro il 12,5 per cento dei titoli di stato e delle obbligazioni. E’ comunque facile prevedere che nei prossimi mesi la battaglia tra le banche italiane si svolgerà su quel versante, e in posizione di forza saranno quelle più orientate al retail, con reti di sportelli fitte e agguerrite. Soffriranno invece di più le istituzioni finanziarie che raccolgono sul mercato secondario, le società di leasing e di factoring, quelle di credito al consumo, le banche che hanno puntato su modelli di business che tenevano in minor conto la raccolta primaria.
Soffrirà di conseguenza chi ha bisogno di denaro in prestito per comprare o per investire, le famiglie che vogliono acquistare casa o cambiare l’auto o la lavatrice, e le aziende che vogliono crescere. E anche tra queste ultime non andrà per tutte nello stesso modo: poiché in periodi di vacche magre si scatena la corsa alla qualità, un accesso al credito relativamente più facile lo avranno le imprese più grandi, percepite come meno rischiose, e uno più difficile quelle medie e piccole.
I segnali ci sono già, l’ultima indagine rapida di Confindustria effettuata nell’ottobre scorso, segnala che il 46,4 per cento delle imprese censite ha registrato negli ultimi mesi un aumento dei tassi di interesse e il 2,9 per cento una richiesta di aumento delle garanzie. E a ottobre eravamo solo all’inizio. Anche dai mutui, che hanno trainato il mercato edilizio negli ultimi anni e sono stati fondamentali per la crescita del prodotto lordo, arrivano segnali di rallentamento.
L’onda è lunga e i suoi effetti sull’economia e sullo sviluppo li sentiremo tutti nel 2008.