La Repubblica del 13-1-2008
Dalle carte segrete del Foreign Office
l'idea di un colpo di Stato in Italia
di Filippo
Ceccarelli
Repubblica
ha trovato e può rendere noti testi elaborati nel 1976
in cui s'ipotizzava il "Coup d'Etat", poi
scartato perché "irrealistico"
INDICE
- IL
GOLPE INGLESE / 1 - I documenti
degli archivi britannici, appena desecretati gettano una luce cruda sul
backstage della Guerra Fredda. 3.
Dalle carte segrete del Foreign Office l'idea di un
colpo di Stato in Italia. 3.
Repubblica
ha trovato e può rendere noti testi elaborati nel 1976 in cui
s'ipotizzava il "Coup d'Etat", poi scartato perché
"irrealistico" di FILIPPO CECCARELLI 3
- IL
GOLPE INGLESE / 2 - I documenti
degli archivi britannici, appena desecretati gettano una luce cruda sul
backstage della Guerra Fredda. 7.
E Kissinger diceva di Berlinguer "E' lui il
comunista più pericoloso" 7
A
tutti sembrava ormai imminente l'ingresso del Pci nel governo Terrorizzati
all'idea che un uomo del Pci potesse conoscere i segreti della Nato di
FILIPPO CECCARELLI 7
- IL
GOLPE INGLESE / 3- I documenti
degli archivi britannici, appena desecretati gettano una luce cruda sul
backstage della Guerra Fredda. 10.
A Parigi l'incontro segreto "Meglio che gli
italiani non sappiano" 10
A
Parigi una riunione a 4 (Francia, Usa, Gb, Germania) per mettere a punto il
documento sul futuro dell'Italia e per fermare la "deriva"
comunista. 10
IL GOLPE INGLESE / 1 - I documenti degli
archivi britannici, appena
desecretati gettano una luce cruda sul backstage
della Guerra Fredda
A mali
estremi, estremi rimedi. Anche
questo fu la guerra fredda in Italia, là dove il male estremo,
più che una generica idea di comunismo, era la concretissima possibilità
che il Partito comunista italiano andasse al potere.
Era il 1976, l'anno
delle elezioni più drammatiche dopo quelle
del 1948. Ebbene: dinanzi al male assoluto che un governo con il Pci avrebbe arrecato al sistema di sicurezza
dell'Alleanza atlantica, nel novero degli estremi e possibili rimedi il
fronte occidentale, le potenze alleate e in qualche misura la
Nato presero in considerazione anche l'ipotesi di un colpo di Stato.
Un "coup d'Etat",
letteralmente: alla francese. Eventualità scartata in quanto
"irrealistica" e temeraria.
Nei documenti britannici di cui Repubblica è venuta in possesso grazie
alla norma che libera dal segreto le carte di Stato dopo trent'anni,
ce n'è uno del 6 maggio 1976, ovviamente super-segreto, elaborato dal
Planning Staff del Foreign Office, il ministero degli esteri inglese, e intitolato "Italy and the communists: options for the West".
All'inizio di pagina 14, tra le varie opzioni, si
legge in maiuscolo: "Action in support of a
coup d'Etat or other subversive action". Il tono del testo è
distaccato e didattico: "Per sua natura un colpo di Stato può
condurre a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe promuovere. In un modo o nell'altro
potrebbe presumibilmente arrivare dalle forze della destra, con l'appoggio
dell'esercito e della polizia. Per una serie di motivi - continua il
documento - l'idea di un colpo di Stato asettico e chirurgico, in grado di
rimuovere il Pci o di prevenirne l'ascesa al
potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una idea irrealistica". Seguono altre impegnative
valutazioni che ne sconsiglierebbero l'attuazione: la forza del Pci nel movimento sindacale, la possibilità di una
"lunga e sanguinosa" guerra civile, l'Urss
che potrebbe intervenire, i contraccolpi nell'opinione pubblica dei vari
paesi occidentali. E dunque: "Un regime autoritario in Italia - concludono gli analisti del Western European
Department del Foreign
and Commonwealth Office (Fco)
- risulterebbe difficilmente più accettabile di un governo a
partecipazione comunista".
In politica estera i documenti diplomatici, specie se a
uso interno, hanno una loro fredda determinazione. Gli interessi sono nudi,
non di rado venati di cinismo. Questi
che raccontano la crisi italiana prima e dopo le elezioni del 20 giugno 1976
provengono dai faldoni desecretati
dell'archivio del premier britannico e del ministero degli esteri.
Sono centinaia e centinaia di fogli: corrispondenza fra i grandi del mondo
occidentale, resoconti di riunioni e incontri, analisi di rischio, lettere di accompagnamento, policy papers, telegrammi, schede, studi comparati (l'Italia
come il Portogallo della rivoluzione dei garofani, ad esempio), relazioni
dirette alle ambasciate di Sua Maestà a Roma, Parigi, Bonn, Washington
e Bruxelles, quartier generale della Nato.
In questo abbondante materiale non c'è,
ovviamente, solo la rivelazione del golpe. Eppure, mai come in queste
testimonianze scritte il "Fattore K", come "Kommunism", cioè
l'impossibilità per il Pci di essere
accettato al governo nel quadro degli equilibri decisi a Yalta,
trova la sua più realistica rappresentazione. E
al massimo livello. Ad esempio. Grazie all'ambasciatore americano a Londra, Elliot L. Richardson,
si viene a conoscere il testo di una lettera privata che il Segretario di
Stato Henry Kissinger
scrive in gennaio all'allora presidente dell'Internazionale socialista Willy Brandt a proposito della
crescita comunista in Italia, Spagna e Portogallo: "Ho il dovere di
esprimere la mia forte preoccupazione per la situazione che si è
venuta a creare. La natura politica della Nato
sarebbe destinata a cambiare se uno o più tra i paesi dell'Alleanza
dovessero formare dei governi con una partecipazione comunista, diretta o
indiretta che sia. L'emergere dell'Urss come grande potenza nello scenario mondiale continua a essere
motivo di inquietudine. Il ruolo della Nato,
così come la nostra immutata posizione militare in Europa, è
indispensabile e cruciale. La mia ansia consiste nel fatto che questi punti
di forza saranno messi in pericolo nel momento in cui i partiti comunisti
raggiungeranno posizioni influenti nell'Europa occidentale".
Dei vari protagonisti Kissinger è senz'altro
il più caparbio e intransigente. Mentre i vertici della
Nato sono fin dall'inizio i più irrequieti. Scrivono il 25
marzo dal ministero della Difesa britannica ai colleghi degli Esteri:
"La presenza del Pci nel governo italiano e
conseguentemente l'accresciuta minaccia di sovversione comunista potrebbero
collocare l'Alleanza e l'Occidente dinanzi alla necessità di prendere
una decisione grave". È chiaro che la partita va ben oltre le
faccende italiane: "L'arrivo al potere dei comunisti - si legge in un
documento interno del Fco - costituirebbe un forte
colpo psicologico per l'Occidente. L'impegno Usa verso l'Europa finirebbe per
indebolirsi, potrebbero così sorgere tensioni gravi fra gli americani
e i membri europei della Nato su come trattare gli
italiani". Ma al tempo stesso c'è il rischio che un governo con Berlinguer sconvolga gli
equilibri consolidati da trent'anni di guerra
fredda creando problemi anche all'Urss, e qui i
diplomatici inglesi sottolineano il pericolo che "le idee riformiste si
diffondano in Russia e nell'Europa dell'Est". Il Pci
di Berlinguer, e più in generale quello che
allora andava sotto il nome di "eurocomunismo", costituisce a loro
giudizio una vera e propria "eresia revisionista" e il suo sbocco
governativo porterebbe il dibattito teorico della
chiesa marxista sul terreno della politica reale. Il Pcus
ha tutte le ragioni per temere il "contagio" di un "comunismo
alternativo" al potere in occidente. E tuttavia, secondo altre analisi,
su un piano più immediatamente geopolitico e
militare per l'Urss "i vantaggi supererebbero di gran lunga gli svantaggi, specie in relazione
all'indebolimento della Nato".
E insomma, sarebbe un evento
"catastrofico". La parola risuona più e più volte nei
papers in attesa delle
elezioni italiane. Da Bruxelles, soprattutto, fanno presente che il tempo
stringe e per questo occorre prepararsi al peggio. "La presenza di
ministri comunisti nel governo italiano porterebbe a
un immediato problema di sicurezza nell'Alleanza - scrive a Londra
l'ambasciatore inglese alla Nato, John Killick - Qualunque informazione in mano ai comunisti
dovrà essere automaticamente considerata a rischio. I comunisti al
potere altro non sono che l'estensione di una
minaccia contro la quale la Nato si batte. Dunque,
è preferibile una netta amputazione (dell'Italia, ndr)
piuttosto che una paralisi interna".
La questione vitale riguarda la sicurezza nucleare, quindi la dislocazione e
la custodia delle bombe atomiche: anche senza ministri comunisti alla Difesa
e agli Esteri, un'Italia governata dal Pci va comunque esclusa dal Nuclear
Planning Group: "Per dirla con parole crude - chiarisce il Ministero
della Difesa - il rischio è che i documenti sensibili finiscano a
Mosca". Altri problemi hanno a che fare con le basi militari e navali della Nato nella penisola: "Considerata l'alta
percentuale degli italiani che votano Pci, è
quasi certo che alcuni simpatizzanti di questo partito hanno già
penetrato il quartier generale della Nato a Napoli
(Afsouth). Sul lungo termine il Pci
potrebbe accentuare lo spionaggio oppure spingere per rimpiazzare
gradualmente i funzionari nei posti chiave dell'Alleanza con elementi comunisti".
A parte gli scioperi, i blocchi e le manifestazioni che potrebbero essere organizzate attorno alle installazioni militari. In caso
di guerra, possono nascere problemi seri: "La perdita del quartier generale di Napoli, ad esempio, avrebbe un
effetto negativo sulle operazioni della Sesta Flotta nel Mediterraneo
Orientale".
Il sistema di edifici in vetro, acciaio e cemento
che ospita i National Archives
a Kew Gardens, venti
minuti di metropolitana a sud di Londra, sembra una via di mezzo tra una serra
e una pagoda. Qui dentro sono conservati circa trenta milioni di record,
dall'alto medioevo ai giorni nostri. Intorno, cottage,
boschi, giardini e un piccolo lago artificiale popolato da oche e anatre.
Nell'immensa reading room
climatizzata, insonorizzata e strettamente sorvegliata da telecamere e dal
personale in elegante giacca blu, il ricercatore Mario J. Cereghino ha passato varie settimane. Su uno dei grandi
tavoli esagonali in legno scuro si sono via via
ammonticchiati fascicoli su fascicoli, tutti
originali, ingialliti dal tempo. Trent'anni e
oltre: è attraverso queste carte che si
può osservare, come mai finora, il backstage della guerra fredda.
L'Italia del 1976, come si sarà capito, è un paese in crisi. La
formula del centrosinistra è morta; i comunisti hanno ottenuto un grande successo alle amministrative dell'anno prima
conquistando il governo di diverse regioni e importanti città; il Psi, di cui è segretario l'anziano De Martino, ha
aperto la crisi al buio; mentre ancora tramortita dalla sconfitta nel
referendum sul divorzio e sotto accusa per una serie di scandali, la Dc sembra per la prima volta allo sbando, più che
divisa, divorata dalle faide. A reggere le sorti del governo nei primi mesi
dell'anno c'è un pallido bicolore Moro-La Malfa, cui segue, per
gestire le elezioni anticipate, un ancora più esangue monocolore
sempre diretto da Moro. La maggioranza è in pezzi, Berlinguer
appare il personaggio del momento e da anni ormai ha posto sul tavolo
l'offerta del Compromesso storico.
L'ambasciatore britannico a Roma, Sir Guy Millard, è un uomo
molto sottile e per giunta dotato di una buona penna. "Berlinguer - scrive a Londra, al Segretario di Stato - è una figura attraente, ispira fiducia con la sua
oratoria. Ciò che dice è credibile e lui lo afferma in modo
convincente". Ma proprio per questo non
c'è da fidarsi. "Il suo ingresso nel governo porrebbe la Nato e la Comunità europea dinanzi a un problema
serio e potrebbe rivelarsi un evento dalle conseguenze catastrofiche".
Quali Millard lo spiega in modo incalzante: la
"disintegrazione" della Dc, innanzi
tutto, poi il calo degli investimenti, la fuga dei capitali, la caduta di
fiducia nelle imprese, l'intervento drastico del
governo nello Stato e di conseguenza "la rapida fine del sistema di libero
mercato". Cosa fare per tenere il Pci alla larga dal governo? "Non molto, temo". E aggiunge: "È un peccato che la difesa
dell'Italia dal comunismo sia nelle mani di un partito così carente
come la Dc".
Dello scudo crociato, dopo il congresso che a marzo ha visto la vittoria di
Benigno Zaccagnini su Arnaldo Forlani,
Millard va a parlare con l'ambasciatore americano a
Roma John Volpe. Secondo quest'ultimo,
Forlani "è una brava persona, ma non
è un combattente", Zac invece
"piace molto ai giovani", gli Usa lo appoggiano
anche se preferirebbero Forlani e Fanfani che sono più anticomunisti. Parlano anche
di Moro: "Qualche volta - sostiene Millard -
sembra piuttosto ambiguo sul Compromesso storico". Volpe concorda:
"È un pessimista, troppo incline a ritenerlo inevitabile".
È questa specie di rassegnazione la colpa che gli americani
attribuiscono all'astuta, ma imbelle classe di
governo democristiana. In un rapporto del 23 marzo si legge che al
Dipartimento di Stato Usa sono molto preoccupati: "La situazione italiana
va deteriorandosi e non si sa come agire". Di qui al sospetto che la Dc faccia il doppio gioco il
passo è breve: "Piuttosto che perdere il potere, preferirebbe
spartirlo con il Pci".
Ai primi di aprile il rappresentante britannico
presso la Santa Sede, Dugald Malcolm,
va a trovare il Patriarca di Venezia, monsignor Albino Luciani,
il futuro Giovanni Paolo I: "Il Patriarca sembra aver assunto una
posizione incline alla catastrofe. L'argomento trattato era sempre uno:
l'avanzata del Pci". È il periodo in
cui i comunisti italiani corteggiano i cattolici (alcuni di questi finiranno
eletti nelle loro liste di lì a qualche mese). Su questo Luciani è intransigente: "Non si può
essere al contempo cristiani e marxisti". Al
diplomatico inglese racconta di aver dei problemi con alcuni sacerdoti della sua diocesi "che si sentono in obbligo di
convertirsi al comunismo". In un'isola della laguna un gruppo di scout
ha addirittura sostituito il crocifisso con la foto
di Mao. Nel congedarsi, il prossimo pontefice sussurra:
"Siamo nella mani di Dio". E aggiunge:
"Che comunque sono buone mani".
IL GOLPE INGLESE / 2 - I documenti degli archivi britannici, appena
desecretati gettano una luce cruda sul backstage
della Guerra Fredda
E Kissinger diceva di Berlinguer
"E' lui il comunista più pericoloso"
A tutti sembrava ormai imminente l'ingresso del Pci nel governo
Terrorizzati all'idea che un uomo del Pci potesse conoscere i segreti della Nato
di FILIPPO CECCARELLI
Per i laici l'ambasciatore Millard
consulta Giovanni Spadolini. Lo trova piuttosto
agitato: "È un sintomo grave che il presidente Moro abbia
convocato Berlinguer a Palazzo Chigi
prima del Consiglio dei ministri. Così ora i comunisti fanno
virtualmente parte della maggioranza, ma non sono più in grado di dare ordini alla classe operaia. Per farlo
- scherza, ma non troppo Spadolini - avrebbero
bisogno dell'Armata rossa". E comunque:
"Il Pci è ormai parte integrante del
sistema politico, che sta andando a pezzi. L'unica speranza è che sia
contaminato dal potere come gli altri partiti". Parla da intellettuale,
ma anche come ex ministro (dei Beni culturali, nel dicastero Moro-La Malfa):
"La polizia è insoddisfatta e il quaranta per cento degli agenti
sarebbe pronto a partecipare a un colpo di stato di
sinistra. I carabinieri invece sono molto più affidabili".
Commento di Millard: "Si percepisce un clima
di profonda depressione, quasi di disperazione, per non dire di panico".
Il tempo stringe, è la formula che risuona nei documenti britannici. A
Londra Henry Kissinger incontra
il nuovo ministro degli Esteri di Sua Maestà, Antony
Crosland. Da parte americana si avverte un indubbio
nervosismo: "La questione dell'obbedienza del Pci
a Mosca è secondaria. Per la coesione dell'occidente - è ora la
tesi di Kissinger - i comunisti come Berlinguer sono più pericolosi del portoghese Cunhal". Ribatte Crosland:
"Il Pci non avrebbe il prestigio di cui gode
se gli altri partiti italiani non fossero messi così male. Ma vi sono segni di decadenza anche tra i comunisti,
corruzione, come nel caso di Parma". E francamente colpisce che leader
così potenti si abbassino a parlare di un
piccolo scandalo edilizio che nell'autunno del 1975 coinvolse
l'amministrazione rossa della città emiliana. La risposta di Kissinger, comunque, sembra
stizzita: "Sembrano tutti ipnotizzati dai successi del Pci, senza avere idea di cosa fare per bloccarne
l'ascesa".
Il 13 aprile un gruppo di specialisti del Western European Department del Foreign Office elabora un dossier che ha proprio il
compito di stabilire la strategia operativa anticomunista, graduandone le
mosse a seconda dei vari scenari. La prima parte
è dedicata appunto a come impedire che il Pci
vada al governo e sono indicati i vari passi da compiere: finanziamento degli
altri partiti, orchestrazione di campagne stampa sul pericolo, attacco alla credibilità delle Botteghe Oscure, moniti ai
sovietici.
Nella seconda parte il documento offre delle soluzioni per così dire
pratiche nel caso il Pci sia già riuscito a
conquistare una quota di potere, cioè sia
già andato al governo. A questo punto gli scenari sono cinque, e
cinque di conseguenza le options, ciascuna
esaminata a seconda dei vantaggi e degli svantaggi.
La linea più morbida è definita "Business as usual" e prevede di
"continuare le relazioni come se nulla fosse cambiato". Seguono, in
ordine di gravità, "misure di ordine
pratico-amministrativo" per "salvaguardare i segreti e i processi
decisionali dell'Alleanza atlantica". Come ulteriore
scelta, sempre rispetto all'Italia, gli inglesi si riservano di mettere in
atto una "persuasione di tipo economico" che si traduce in una
serie di pressioni anche sul piano della Comunità europea e del Fondo
monetario internazionale. Entrerebbero in gioco, in quel caso, posti di
potere in tali organismi, benefici, prestiti. "Occorre comunque precisare - si legge - che tali misure
cesserebbero se il Pci abbandonasse il
governo".
La option number four ha un titolo che,
anche in lingua inglese, non è che suoni proprio tranquillizzante:
"Subversive or military
intervention against the Pci". Ecco come comincia: "Questa
opzione copre una serie di possibilità: dalle operazioni di
basso profilo al supporto attivo delle forze democratiche (finanziario o di
altro tipo) con l'obiettivo di dirigere un intervento a sostegno di un colpo
di Stato incoraggiato dall'esterno". Vantaggi: "Tali misure possono
aiutare a rimuovere il Pci dal governo".
Svantaggi: "Vi sono immense difficoltà pratiche per portare a
compimento questo tipo di operazione. Vista la
situazione italiana, è estremamente
improbabile che un'operazione coperta rimanga segreta a lungo. La sua
rivelazione può danneggiare gli interessi dell'occidente e aiutare il Pci a giustificare in maniera più decisa il suo
controllo sulla macchina del governo. Inoltre, la pubblica opinione dei paesi
occidentali potrebbe prenderla male col risultato di creare tensioni
all'interno della Nato, soprattutto fra Usa e
alleati europei, nel caso gli americani assumano il comando
dell'iniziativa". E conclude: "Anche se
l'intervento esterno servisse a rimuovere il Pci
dal potere, la situazione politica italiana rimarrebbe instabile, rafforzando
così l'influenza comunista e quella dell'Urss
sul lungo periodo".
L'ultima opzione prevede, seccamente,
"l'espulsione dell'Italia dalla Nato". Vantaggi: "Si tutelano
i segreti e si elimina la possibilità che l'Italia comprometta
l'alleanza dall'interno". Ma in questo caso,
secondo gli analisti del Fco, si arriverebbe alla
"chiusura di tutte le basi nel paese, destinato a diventare neutrale con
un orientamento verso l'occidente. Ma l'Italia
potrebbe anche evolversi in una sorta di Yugoslavia.
Al limite, potrebbe anche offrire agevolazioni di
tipo militare all'Urss in cambio di denaro".
In ogni caso, conclude il dossier, "si
renderebbe necessaria una revisione della strategia difensiva della Nato sul
fianco Sud. La Sesta Flotta ne sarebbe danneggiata.
Grecia e Turchia potrebbero chiedersi se valga la
pena continuare a far parte dell'alleanza. Potrebbe anche essere compromessa
la capacità americana di intervenire in Medio Oriente e di influenzare
quei paesi a livello politico. Di conseguenza, il ritiro dell'Italia dalla Nato si trasformerebbe di fatto in una sconfitta
dell'occidente di fronte al mondo intero".
Dopo tanto tempo viene da
chiedersi, e pure con un certo sgomento, se e in che misura nel 1976 gli
italiani fossero consapevoli dei rischi che
correvano. Si ha qualche scrupolo a montare un caso di golpismo
postumo, per giunta irrealizzato. Eppure,
c'è da dire che mai come allora l'idea stessa
del golpe, la minaccia di golpe, le voci di golpe, la vigilanza e
l'autodifesa in caso di golpe, erano entrate da tempo nell'immaginario
politico.
C'era stata la Grecia (1967) e poi il Cile (1973); e qui il "Piano
Solo" del generale col monocolo, Giovanni De Lorenzo (1964), il
tentativo del "Principe nero" Junio
Valerio Borghese (1970) e la Rosa dei Venti (1974). Circolavano anche film
(Colpo di Stato di Salce e l'indimenticabile
Vogliamo i colonnelli di Monicelli) e perfino
barzellette: "Dicono a De Martino: "Sono arrivati i carriarmati", e quello: "Bene, e a noi
socialisti quanti ce ne toccano?""). Umorismo in verità raffreddato dalle tante, troppe stragi
di quegli anni: Piazza Fontana, Reggio Calabria, Peteano,
Piazza della Loggia, Italicus.
Alla metà degli anni Settanta i capi comunisti sono prudenti e qualche
volta dormono fuori casa: "Non ci prenderanno a letto", garantisce Pajetta. Ogni tanto qualche capo democristiano, ad
esempio Moro, se ne esce con criptiche denunce tipo:
"Sta prendendo corpo un torbido disegno eversivo". Ogni tanto
finisce in prigione qualche generale dei servizi segreti, accusato di
cospirazione politica e insurrezione armata: proprio nel febbraio del 1976
tocca al generale Gianadelio Maletti,
mentre a maggio la magistratura di Torino chiede l'arresto di
Edgardo Sogno, figura di spicco della Resistenza non comunista, poi
divenuto così acceso anticomunista da farsi ispiratore di un golpe
detto "bianco", para-legalitario. Scrive Pier Paolo Pasolini nell'articolo sulle lucciole, la cui scomparsa
nelle campagne definiva poeticamente la grande
mutazione antropologica degli italiani: "È probabile che il vuoto
di potere stia già riempiendosi attraverso una crisi e un
riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa
"morbosa" del colpo di Stato".
Perché si potrà anche sorridere di questa
strisciante mitomania golpistica, dietrologica e pistarola;
così come del comandante della Guardia Forestale Berti, con il suo
spadone, che nella notte dell'Immacolata Concezione, da Cittaducale,
provincia di Rieti, si lancia alla conquista del Viminale.
Ma assai meno viene da sorridere leggendo il
rapporto top-secret inviato a Londra dall'addetto militare dell'ambasciata
britannica a Roma, colonnello Madsen, un mese esatto
prima delle elezioni del 20 giugno. Titolo: "La reazione delle forze
armate italiane alla partecipazione comunista al governo e l'effetto che essa
può avere sul contributo dell'Italia alla Nato".
Sono undici pagine fitte e dettagliatissime, dai piani di ristrutturazione
appoggiati dal Pci al movimento dei "proletari
in divisa" organizzato da Lotta continua. E di nuovo le conclusioni
dell'indagine vanno a parare sul colpo di Stato: "Gli ufficiali delle
Forze armate sono per la maggior parte di destra o di estrema
destra. Tuttavia i soldati di leva riflettono le
inclinazioni politiche tipiche dell'Italia attuale. In teoria, se non
in pratica, il Pci potrebbe contare sul sostegno di
un terzo delle Forze armate. Una eccezione
importante è costituita dai Carabinieri, ottantaseimila uomini tra i
quali il Pci non ha appoggi. Ma
i Carabinieri sono tradizionalmente leali al governo, qualunque sia il suo
colore politico".
Rispetto all'ipotesi di un governo con i comunisti, sostiene il colonnello
che "il sentimento degli ufficiali è generalmente di
preoccupazione. È difficile individuare nelle Forze armate un nucleo
abbastanza forte o influente da promuovere un golpe. L'unica possibile
eccezione è quella dei Carabinieri. Nell'attuale situazione è
improbabile che i militari lo appoggino. Tuttavia potrebbe in breve crearsi
una situazione tale da favorire un putsch militare "per l'ordine
pubblico", soprattutto se i risultati delle elezioni del 20 giugno
generassero una situazione di incertezza
politica". La premessa è che si tratta di uno "scenario
ipotetico". Ma al tempo stesso il colonnello Madsen
segnala al suo ministro della Difesa che "nei piani di ristrutturazione,
le forze armate italiane hanno di recente rafforzato le formazioni
territoriali e quelle dei parà con l'obiettivo di condurre operazioni
di salvaguardia della sicurezza nazionale, nel caso
venga meno l'ordine pubblico".
Beato il paese che non ha paura del proprio passato.
E che in nome della democrazia e della trasparenza apre
regolarmente i suoi archivi a studiosi, appassionati e gente comune.
Detto questo, a rileggere queste carte, si resta colpiti da un dubbio:
meritava, l'Italia, la società italiana, di essere sorvegliata in quel
modo? Come una repubblica delle banane in mezzo al Mediterraneo? Torna alla
memoria quel 1976: "E l'Italia giocava alle carte/ e parlava di calcio
nei bar" come ne La presa del potere di Gaber. Si resta un po' interdetti fronte a certe canzoni
di allora: "E la Cia ci spia - questo è
un Finardi d'annata - e non vuole più andare
via". L'Italia degli scioperi, della guerriglia
urbana, dell'austerità, della disoccupazione, dell'inflazione, dei
mini-assegni al posto degli spiccioli. Parco Lambro
e Porci con le ali. Ma anche l'Italia del boom di Benetton, del femminismo, della nascita di Repubblica e
delle radio libere, degli ultimi Caroselli e dell'arrivo in tv della
banda di Renzo Arbore, con Roberto Benigni
improbabile critico cinematografico la domenica pomeriggio. E Gimondi, Panatta,
la Ferrari di Niki Lauda.
E il terremoto del Friuli, i matrimoni che
diminuivano, Gheddafi nella Fiat, le Br che cominciano ad uccidere, il giudice Coco, a Genova, l'8 giugno 1976. Mai
che le carte inglesi facciano riferimento al terrorismo rosso e nero di
quella stagione di piombo.
IL GOLPE INGLESE / 3- I documenti degli archivi britannici, appena
desecretati gettano una luce cruda sul backstage
della Guerra Fredda
A Parigi una riunione a 4 (Francia, Usa, Gb, Germania) per mettere
a punto il documento sul futuro dell'Italia e per fermare la
"deriva" comunista
Insomma, non c'era solo Berlinguer.
Ma in quella primavera fra Londra, Washington e
Bruxelles sembra davvero che non pensino ad altro. Il 6 maggio il Fco produce un secondo documento che integra e sviluppa
il manuale di metodologia anticomunista del 13 aprile. E
tuttavia proseguendo nella lettura si capisce che sull'uso di questi record
nei contatti internazionali con gli alleati sorgono dei problemi. Il
segretario di Stato si preoccupa delle "implicazioni politiche" di
una linea così rigida. Nell'ambito dell'amministrazione britannica,
che è pur sempre costituita da laburisti, ci sono delle diverse
valutazioni. Quelle che pone all'attenzione del
Segretario di Stato il suo consigliere politico David Lipsey
suonano ad esempio più moderate e molto meno interventiste: "Se
diamo troppa corda ai comunisti potrebbero dichiararsi innocenti oppure
impiccarsi da soli. Se invece ci imbarchiamo in
un'operazione di linciaggio - è la conclusione - sarà la nostra
credibilità democratica ad essere danneggiata, non la loro".
Anche per questo il governo inglese è preoccupato che studi, indagini e relazioni restino al sicuro. "La
loro esistenza non deve essere rivelata - è la raccomandazione - La
Gran Bretagna non deve essere vista come un governo che interferisce negli
affari interni dell'Italia". Ma il 18 maggio, in vista di un vertice
Nato a Oslo, qualcosa trapela: un articolo del Financial Times dal titolo
"I timori del Foreign Office sull'Italia".
Il giornalista rivela che l'atteggiamento degli alleati è stato
riassunto in un documento ad hoc. Dalla Farnesina, a questo punto, chiedono spiegazioni, ma a
Londra fanno i vaghi, ridimensionano: il caso Italia non è nell'agenda
ufficiale di Oslo, non c'è nessun paper, del Pci si
parlerà al massimo "nei corridoi".
Più in generale, al di là
delle necessità diplomatiche, pare anche di cogliere una
sottile linea di distinzione fra l'atteggiamento britannico e quello
americano. Oltre una certa prudenza che porta Crosland
e il premier Callaghan a non fare mosse avventate
prima del 20 giugno, il Foreign office si preoccupa
soprattutto dell'unità degli alleati, il che significa da un lato
incoraggiare i francesi e i tedeschi a una maggiore
presenza sulla questione italiana e dall'altro di frenare gli americani,
soprattutto Kissinger.
Del Segretario di Stato Usa i colleghi britannici sembrano poco apprezzare
certe intemperanze, sottolineano che in privato usa
uno "strong language", un linguaggio
forte; come pure si concedono una qualche distaccata superiorità
quando gli pare che Kissinger si comporti
più da professore di storia che da stratega: "Così rischia
di perdere di vista le implicazioni immediate delle sue parole - nota
l'ambasciatore inglese a Washington, Peter Ramsbotham - sviluppando una sorta di teoria del domino
europeo sul lungo termine". Ma gli americani, imperterriti, non solo
seguitano a spingere sulla loro linea, ma in un memorandum del 4 giugno si
mostrano anche piuttosto seccati dal fatto che mentre gli europei sono
indecisi sul da farsi, loro rischiano di figurare sempre e comunque
come il "bad cop", il cattivo poliziotto
della situazione, tipo in Cile nel 1973.
A pochi giorni dalle elezioni tutto è ancora incerto: "I sondaggi
italiani sono notoriamente inaffidabili". Intanto Berlinguer
dichiara di accettare l'ombrello della Nato e Montanelli invita a turarsi il naso e votare Dc. E con questo si arriva
finalmente al 20 giugno. I risultati non potrebbero essere più
ambigui. La Dc al 38,7 per cento e il Pci al 34,3 risultano i
"due vincitori", come li definisce Moro. Ma
questi due vincitori, secondo un'analisi del Fco,
sono anche "prigionieri l'uno dell'altro".
Una settimana dopo, al vertice di Puertorico,
riservato alle sette potenze più industrializzate
del mondo, l'Italia si presenta senza un governo. Ci sono Moro e
Rumor, ma solo per salvare le forme. Gerald Ford, Callaghan, Schmidt e Giscard d'Estaing si incontrano alle 12,45
di domenica 27 giugno al Dorado Beach Hotel per un
pranzo di lavoro e qui si verifica un pietoso incidente. Lo descrive
brutalmente Campbell, futuro ambasciatore
britannico a Roma: "Quando arrivano per il lunch, ai due sfortunati
ministri italiani viene impedito di entrare".
È il massimo dell'umiliazione.
Appena chiuse le porte, si affronta il "problema Italia". Il
verbale di quell'incontro viene
redatto dal funzionario Fergusson. Pur riconoscendo
che gli italiani devono decidere da soli, i quattro capi di Stato sono
d'accordo che occorre fare tutto il possibile perché i comunisti restino fuori dal potere. Giscard
propone di elaborare, in una prossima riunione da tenersi a Parigi, una bozza
di programma di governo che gli italiani dovranno accettare in cambio di un
sostanzioso aiuto finanziario.
Quella riunione si tiene effettivamente a Parigi, all'Eliseo,
l'8 luglio del 1976. Il padrone di casa è il
Segretario generale aggiunto della Presidenza della Repubblica francese Yves Cannac. Per
gli Usa c'è Helmut Sonnenfeldt,
consigliere del Dipartimento di Stato e braccio destro di Kissinger;
per i tedeschi arriva Gunther Van
Well, alto funzionario del ministero degli Esteri
di Bonn; e infine, per la Gran Bretagna, il sottosegretario del Foreign Office, Reginald Hibbert.
È a quest'ultimo che si deve il resoconto, a
tratti anche abbastanza scanzonato, di un incontro in cui "ognuno ha i
suoi buoni motivi per mantenere il Pci fuori dal governo". Giscard
vorrebbe un "centrodestra riformista" in Italia perché teme la spinta che a casa sua favorirebbe Mitterrand.
Il rappresentante di Schmidt, d'altra parte, punta
sulla rinascita del centrosinistra perché un successo di Berlinguer
potrebbe spaventare il suo elettorato e aprire le porte a
una vittoria dei democristiani nelle imminenti elezioni tedesche. E poi ci
sono gli americani che appoggiano decisamente una Dc rinnovata. Insomma, un po' di confusione.
In più, fa notare Hibbert con evidente
disappunto, mancano traduttori e dattilografi che lavorino
in inglese e soprattutto c'è una gran fretta perché il rappresentante
di Kissinger deve scappare all'aeroporto.
Così, "Kannac ci invita
a pranzo al ristorante Ledoyen, ma l'urgenza
è tale che non facciamo neanche in tempo a leggere il menu". In
un angolo, Sonnenfeldt si concede una battuta sul
clima carbonaro di quel pranzo: "Siete sicuri che l'ambasciatore
italiano non sia qui? Se ci beccano, è chiaro
che è per parlare di Berlino".
Chissà che cosa sapevano Moro, Andreotti
o Berlinguer di tutto questo. O che cosa immaginavano. Da quel che si capisce l'incontro
di Parigi, che Hibbert definisce "sticky", cioè
difficile, insidioso, appiccicoso, fa pensare in realtà a una specie
di ultimo avviso all'Italia, che è anche una prova di commissariamento. Le delegazioni producono una bozza
d'intenti che a distanza di trent'anni finisce per avere un certo peso storiografico. S'intitola
"Democracy in Italy"
e in pratica espone ai futuri governanti italiani quello che devono fare.
Così comincia: "Malgrado gli ulteriori
progressi del Pci, le recenti elezioni consentono
di mantenere in vita la democrazia in Italia. Ma
è arrivato il momento di mettere fine a questa deriva". La parola
usata è "slide", uno scivolamento che porta a una caduta, al collasso italiano.
I quattro grandi dell'occidente non solo alzano il tradizionale muro di
fronte all'ipotesi di un governo con il Pci, ma
nella riunione segreta di Parigi intervengono anche sulla formula e sulla
maggioranza che dovrà avere il nuovo dicastero: a "guida dc", con "partiti non comunisti e non
fascisti". E quindi provano pure a delineare le
caratteristiche della loro compagine ideale: "Un piccolo gruppo omogeneo
di uomini di prestigio che lavorino in squadra". Nelle carte c'è
addirittura il programma, che tocca amministrazione pubblica, giustizia,
sicurezza, economia e politica estera. Si scende nei particolari: un piano a
medio termine per il risanamento della finanza pubblica e riduzione
dell'evasione fiscale; è indicata la necessità di tentare un
accordo con imprenditori e sindacati. C'è anche la lotta alla
corruzione e perfino un accenno al "nepotismo".
Ma soprattutto si fa notare, sotto un paragrafo dal
titolo "The Christian democratic
party", un appello che di nuovo suona come un atto di sottomissione
richiesto alla classe di governo del "partito che ha esercitato il
potere per trent'anni e rimane il più forte
dopo le elezioni". Per battere il Pci, la Dc dovrebbe (should)
ripulire la sua immagine di partito tollerante della "prevaricazione e
del sotterfugio", ha il dovere di "liberarsi delle pecore
nere", la necessità di "mettere ordine a casa sua", di
svecchiarsi e arruolare giovani, assicurare maggiore spazio alle donne, ai
lavoratori e ai sindacati. Suo compito è anche quello di contestare al
Pci l'egemonia culturale "riconquistando
l'intellighenzia, le università e i media".
Il giorno dopo, 9 luglio, ore 23,20, l'ambasciatore
inglese a Washington telegrafa a Londra: "Kissinger
approva il paper "Democracy
in Italy"". Da Londra, forse, il premier Callaghan un po' si spaventa a leggere quelle carte:
"Dobbiamo usare molta cautela considerando il grande
danno che ne verrebbe se la loro esistenza divenisse pubblica. Sarebbe
un'intrusione diretta negli affari di uno stato europeo nostro alleato".
E aggiunge: "Ogni fuga di notizie finirebbe per
essere un regalo ai comunisti italiani".
E così potrebbe anche concludersi il grande
film del 1976. Poi certo, molte altre cose accadono - e il Foreign Office le registra con
la consueta diligenza. Il Pci che
rimane sulla soglia del potere. I democristiani che continuano a
traccheggiare inventando formule quasi intraducibili, per
cui l'andreottianissima "non
sfiducia" diventa "non no-confidence".
C'è anche un nuovo segretario socialista, il quarantenne milanese
Bettino Craxi. L'ambasciatore Millard,
che ha l'occhio lungo, lo segnala subito come una luce in fondo al tunnel del
caos italiano. Si stabilisce che una sua visita a Londra "sarebbe
auspicabile". Arriva l'autunno e a Bruxelles, davanti a Kissinger, il Segretario di Stato britannico Crosland parla "warmly",
con calore, del "Signor Craxi".
A Roma il successore di Millard è Alan Hugh Campbell.
A fine anno l'ambasciatore scrive la tradizionale Christmas letter al Foreign Office: "Pur immersi nella tristezza,
frustrazione, incompetenza, corruzione, gli italiani continuano a essere un
popolo duttile e molto operoso. Ma condivido l'idea che non siano maturi per la rivoluzione". E
c'è quasi un salto poetico: "Forse, questo spiega la sofferenza
che ho osservato sul volto di Berlinguer, l'altro
giorno, quando me lo sono trovato seduto vicino durante una cerimonia".
(13 gennaio 2008)
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