HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documenti
d’interesse
Documento
inserito il 27-12-2006
Da La Repubblica.it 27-12-2006
Il caso della «Sapienza», un gigante con 200
«sedi» sparse in Italia
Università, 37 corsi di laurea con un
solo studente
Da Bologna a Moncrivello:
i casi in tutta Italia. E il numero totale è raddoppiato in 5 anni
C'è un Robinson
disperso su un'isoletta universitaria di Forlì che non ha neanche un
Venerdì con cui parlare: è l'unico iscritto al corso di Scienze
della mediazione linguistica. Ma con chi può mediare, se non c'è
un selvaggio con cui aprir bocca? Una solitudine da incubo.
La stessa che deve provare l'unico iscritto a
Scienze storiche a Bologna e l'unico a Ingegneria industriale a Rende e l'unico
a Scienze e tecnologie farmaceutiche a Camerino e insomma
tutti i solitari frequentatori di 37 corsi universitari sparsi per la
penisola. Avete letto bene: ci sono trentasette mini-facoltà con un solo
studente. Poi ce ne sono dieci con 2 frequentatori, altre dieci con 3, altre
quindici con 4, altre otto con cinque e altre ventitré con 6 giù
giù fino a un totale di 323 «universitine» che non arrivano a 15 iscritti. Con alcune
situazioni piuttosto curiose. Come quella di Termoli, che come patrono ha San Basso ma accademicamente vola alto: dal sito del Comitato
nazionale per la valutazione del sistema universitario si può apprendere
infatti che i ragazzi della cittadina molisana che non si sentono predisposti
ai viaggi, hanno a disposizione non una ma addirittura due possibilità
di diventar dottori sotto casa. La prima viene loro
offerta dalla facoltà di medicina e chirurgia dell'Ateneo del Molise (29
iscritti), la seconda dalla Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La quale,
invogliata dalle nuove normative, è salita ormai a 21 sedi diverse,
posizionandosi anche in metropoli quali Guidonia Montecelio (32 iscritti a medicina), Pescopagano
(33), Larino (37) e Moncrivello, ridente paesino in
provincia di Vercelli con 1.477 abitanti, dei quali 14 decisi a diventare
chirurghi, urologi o anestesisti. Un record da dedicare al santuario del Trompone, il cui nome ha una tale
assonanza con certi professoroni universitari che il destino, diciamolo, era
già prefigurato. Ma un record battuto, appunto, da Termoli. Dove gli
iscritti a medicina, versante Cattolica, sono sei.
Meno male: tre maschi e tre
femmine. Direte: quanto costeranno, certi atenei in miniatura? Valeva
la pena di incoraggiare questa moltiplicazione di pani, pesci e cattedre
finendo fatalmente per abbassare il livello medio degli insegnanti, visto che
come nel calcio e nella lirica non ci sono abbastanza Totti e abbastanza Pavarotti per
tutti gli stadi e tutti i teatri e occorre dunque ricorrere sempre più
spesso a brocchi e ronzini? E' quanto cercheremo di spiegare. Partendo da
alcuni numeri. Primo fra tutti quello delle università
"storiche", italiane. Erano 27, figlie di una tradizione spesso
secolare, e sono rimaste tali per un sacco di tempo. Salendo poi lentissimamente, dalla metà degli anni Cinquanta in
avanti, fino ad arrivare alla fine del millennio a 41. Bene, da allora
(c'è chi dice a causa delle scelte del ministro «rosso» Luigi Berlinguer e a causa di quelle del ministro «azzurro »
Letizia Moratti) sono dilagate. Arrivando in una
manciata di anni a 78. Più «ospiti» quali l'Università di Malta,
più le «private» (sulle quali avremo modo di sorridere), più
undici «telematiche» sulle quali esistono dettagli piuttosto curiosi da
raccontare. Totale? Quelle col «bollino» sono 94. Ma il caos è ormai tale
che la somma totale degli «atenei» veri o presunti (e meno male che qualcuno
è stato burocraticamente raso al suolo da Fabio Mussi come quello
fondato in una palazzina di Villa San Giovanni da un certo Francesco Ranieri
che la dedicò al suo omonimo nonno) è ormai difficile da
calcolare. «Evviva!», esulteranno certi liberisti nostrani: tante
università, tanta concorrenza. Tanta
concorrenza, tanta selezione. Tanta selezione, tante eccellenze. E' vero o no che lo stesso Salvatore Settis, acerrimo nemico della proliferazione, ha scritto
che in America le cose chiamate «università» sono circa quattromila e
dunque noi abbiamo ancora spazio per altre sei o settecento «atenei»?
Verissimo, sulla carta. Non fosse per due dettagli
sottolineati dal direttore della Normale di Pisa.
Il primo è che negli Stati Uniti chi
non è all'altezza si arrangia: se trova studenti che pagano la retta per
andarci bene, sennò chiude. Il secondo è che il titolo di studio,
lì, non ha alcun valore legale: hai preso la laurea ad
Harvard? Ti assumono tutti. L'hai presa in una pseudo- università allestita da un mestierante senza
la biblioteca e senza laboratori e senza docenti di un certo livello? Non ti
fila nessuno. Affari tuoi, se ti sei fatto imbrogliare. E non c'è
concorso dove possa giocarti una laurea ridicola per
accumulare punti in graduatoria e prenderti un posto immeritato. Qui è
la prima contraddizione, denunciata da Francesco Giavazzi e Piero Ichino e Roberto Perotti e altri
ancora: il via libera alla moltiplicazione degli atenei senza aver prima
abolito il valore legale del titolo di studio è un errore fatale. Che
toglie risorse, chiedendo una distribuzione a pioggia di stampo clientelare,
alle università vere. Quelle serie. Sobrie. Spesso straordinarie. Che ci
fanno onore in Italia e all'estero. Che hanno già levato alta la loro
protesta. E oggi sono spesso costrette a mettersi in concorrenza coi furboni. E a cedere alla tentazione di aprire in
città e paesi e borghi e contrade più o meno vicine nuove
facoltà e nuovi corsi di laurea. Meglio: nuovi
punti vendita. Basti pensare che questi corsi (per i quali non occorre
l'autorizzazione ministeriale) erano 2.444 nel
2000/2001 e alla fine del 2005 erano già schizzati a 5.400. Numero
destinato a un successivo incremento (più 861) nonostante, scrive
l'ultimo rapporto del Miur, «le raccomandazioni a
livello centrale di procedere a una semplificazione dell'offerta». E
così, se le Università sono diventate 94, le facoltà sono
cresciute fino a 610 e i dipartimenti fino a 1.864 e gli istituti a 319 e i
«centri universitari» a vario titolo fino a 1.269. Fino a casi abnormi come
quello della «Sapienza». Che da Roma ha alluvionato di sedi e «sedine» tutta l'Italia centrale fino ad avere oltre
duecento (chissà se almeno il rettore conosce il numero esatto)
indirizzi postali differenti. Dove sono stati coriandolizzati
la bellezza di 341 corsi diversi: dall'infermieristica a Bracciano a logopedia
ad Ariccia, dalle tecniche di laboratorio biomedico a Pozzilli
all'architettura degli interni a Pomezia. Per un
totale (professori ordinari e assistenti e ricercatori) di 4.766 docenti. Tutti
bravi come Totti? Difficile da credere. Ma certo
anche tra di loro c'è chi ama giocare. Come i docenti che hanno
organizzato, tempo fa, un «corso di composizione floreale per imparare a
realizzare decorazioni di Natale con rametti di pino, candele e bacche
colorate». E poi dicono che l'Università italiana non punta sulle
specializzazioni...
Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella
27 dicembre 2006