La Repubblica
10-5-2009
Le
trame e i segreti della corte imperiale
di Eugenio Scalfari
E' PASSATA poco
più d'una settimana da quando la signora Veronica Lario in Berlusconi ha rotto il velo del
"Mulino bianco" collocato tra le ville di Arcore e Macherio, scatenando una "tempesta perfetta"
registrata con ampiezza dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo.
Viene in mente il "Truman Show", quel libro e quel film di grande
successo che raccontarono qualche anno fa di un giovane scelto fin dalla
nascita da una grande catena televisiva, protagonista a sua insaputa di un
"reality" seguito da un immenso pubblico fino a quando la barriera
che chiudeva lo spazio del "set" venne varcata e il giovane
acquistò coscienza ed entrò finalmente nel mondo reale.
Qui è accaduto e sta accadendo qualche cosa di analogo con la
differenza, certo non di poco conto, che il "reality" non è
immaginario ma reale, è reale il protagonista che è il capo del
governo ed è reale lo spazio in cui l'azione si svolge, i comprimari
che lo circondano, i cortigiani, i ministri, il popolo. Tutto è
tremendamente reale, eppure è nello stesso tempo immaginario,
mediatico, politico. In Italia va dunque in scena un "Truman Show"
e tutti noi ne siamo gli attori. Non so se riderne o disperarsene. Scegliete
voi cari lettori.
Attorno a questa situazione a dir poco anomala si sono accese molte
discussioni e sono emersi molti temi distinti uno dall'altro e tuttavia
interdipendenti. Uno di questi riguarda il modo d'essere e per conseguenza il
modo di vivere di Silvio Berlusconi.
Non è certo la prima volta che questo tema sale al centro
dell'attenzione pubblica ma mai come in questo caso che ha mescolato la
politica e il "corpo del re" al gossip più pruriginoso che
coinvolge i rapporti tra il pubblico e il privato.
Il secondo tema riguarda il corpo delle donne, il rispetto che gli si deve e
le offese che gli si recano nonché i modi con i quali lo si usa. "Mode
d'emploi".
Il terzo tema riguarda la sensibilità (o l'insensibilità) dei
cattolici, dei loro pastori, della Chiesa su questo complesso di questioni
etiche e al tempo stesso politiche.
C'è poi il tema concernente gli effetti o i mancati effetti di queste
vicende sulla pubblica opinione e sulle intenzioni di voto che ne derivano.
Questa discussione mette anche in causa il ruolo dei "media", la
loro oggettività e la loro faziosità.
I vari temi sono da tempo sotto esame da parte dei giornali e delle
televisioni ma è nell'ultima settimana che la temperatura è
salita e la tensione ha raggiunto il massimo.
Il pubblico è abbastanza frastornato e le posizioni si vanno
rapidamente radicalizzando. Ma è anche vero che per la prima volta si
è aperta una crepa nel muro fin qui compatto del consenso
berlusconiano. La crepa è visibile ma è ancora presto per
stabilirne la profondità. Se riguarda soltanto l'intonaco non
avrà conseguenze sulla solidità dell'edificio. Oppure si
estenderà intaccando le fondamenta, i muri maestri e il tetto. I
sondaggi già effettuati a ridosso dei fatti non hanno ancora
l'attendibilità necessaria per far capire la natura delle lesioni che
quell'edificio ha subìto.
* * *
Comincio con un'osservazione che riguarda i rapporti tra la sfera pubblica e
quella privata. Sulla "Stampa" di
mercoledì Barbara Spinelli ha approfondito questo tema ed ha scritto:
"Sarebbe bello se gli uomini politici appendessero all'attaccapanni
tutte le loro questioni private prima di entrare nell'agorà della
politica" ed ha aggiunto: "Si vorrebbe non saper nulla dell'uomo
politico se non quel che riguarda il bene comune, nulla delle sue notti o
delle sue vacanze, nulla delle sue barche, delle sue tribù parentali,
nulla neanche del suo credere o non credere in Dio. La
cosa pubblica sarebbe bello che fosse un piccolo lembo di terra dove l'umanità
fa politica".
Cara Barbara, sarebbe bello? Una volta tanto non
concordo con te, se non altro perché non è mai accaduto, neppure nella
polis di Pericle, di Socrate, di Alcibiade. Non è mai accaduto nella
storia antica e tanto meno in quella moderna. Soprattutto non è mai
accaduto quando il potere raggiunge livelli di spinto autoritarismo o
addirittura diventa potere assoluto.
In tempi di democrazia una sottile distanza tra pubblico e privato può
sussistere, ma in regimi autoritari o assoluti quella tenda divisoria cade
del tutto.
L'esempio più eloquente si ha guardando alla Francia del re Sole che
dette il tono per 150 anni a tutte le corti d'Europa. Lo Stato era il re,
proprietà e patrimonio del re, e così l'esercizio della
giustizia e dell'amministrazione, la pace e la guerra. Nulla era privato
nella vita del re, ogni suo gesto, ogni sua frequentazione, ogni suo attimo
si svolgeva al cospetto del pubblico, a cominciare dal suo risveglio, delle
sue funzioni corporali, del suo più intimo "nettoyage"
cui era adibito un ciambellano di nobile famiglia che aveva il privilegio di
"pulire il re".
Le amanti del re abitavano a corte e apparivano al
braccio del sovrano senza alcuna mistificazione.
In tempi moderni qualche ipocrisia in più ha attenuato queste
esibizioni ma non molto. Mussolini si esibiva a dorso nudo tra i contadini e
i muratori, ma nascondeva Claretta nonostante si vivesse in tempi di potere
assoluto. Voglio qui ricordare la battuta recente di
Alessandra sua nipote: a chi gli domandava quali fossero le differenze tra
suo nonno e Berlusconi in tema di frequentazioni femminili, ha risposto:
"Mio nonno non ha mai fatto ministro la Petacci". In effetti la differenza è notevole, anzi è
una delle materie del contendere e la si trova esplicitamente indicata nella
dichiarazione all'agenzia Ansa di Veronica Lario.
* * *
Nella trasmissione di Bruno Vespa dedicata a Berlusconi e alla sua rottura
con la moglie il titolo che campeggiava sul telone di fondo era: "Oggi
parlo io". Infatti così è stato per
oltre due ore, ha parlato soltanto lui anche se, oltre al conduttore come
sempre abilissimo, c'erano tre "figuranti" nelle persone del
direttore del "Corriere della Sera", del direttore del
"Messaggero" e dell'estroso Sansonetti,
già direttore di "Liberazione".
Sono amico di Ferruccio De Bortoli e ho stima di
lui sicché uso con disagio la parola "figurante" ma non ne trovo
altre più appropriate. La loquela berlusconiana ha letteralmente
sommerso i tre colleghi. Il direttore del "Corriere" ha avuto soltanto
la possibilità di raccomandare al premier maggior sobrietà
nell'esercizio delle sue pubbliche funzioni, ma si è preso un
rimbrotto immediato perché il Protagonista ha rivendicato il suo modo
d'essere come un irrinunciabile esempio di democrazia popolare. Lui è
fatto così e va preso così, dicono i suoi amici e ricordano la
canzone da lui preferita nel suo repertorio canoro: "Je
suis comme je suis" di Juliette
Gréco, che lui canta spesso con molta grazia.
Per il resto i tre colleghi hanno ascoltato silenti il suo lunghissimo
monologo. Forse sarebbe stato meglio se avessero rinunciato ad una presenza
alquanto umiliante.
E' andato così in scena un processo in contumacia contro la moglie
Veronica di fronte a quattro milioni di spettatori. Lui ha negato tutti gli
addebiti come a suo tempo fece Bill Clinton, fino a quando dovette smentirsi
platealmente per evitare l'"impeachment".
Clinton aveva cominciato col negare qualsiasi rapporto sessuale con la
stagista della Casa Bianca e continuò imperterrito a ripetere questa
sua verità pur di fronte all'immenso clamore dei "media" di
tutto il mondo. Il tambureggiamento dei giornali e delle televisioni
durò a lungo; Clinton dovette ripetere le sue affermazioni di
innocenza davanti ad un Grand Jury
fino a quando Monica Lewinsky confidò la sua verità ad un'amica
che vuotò il sacco con la stampa. A quel punto l'ipotesi d'un impeachment per aver mentito al congresso
diventò incombente e Clinton confessò per evitare un giudizio
che si sarebbe probabilmente risolto con la sua infamante rimozione dalla
carica.
Confrontare le normative italiane in proposito con quelle americane sarebbe
umiliante. Aggiungo soltanto che nella sua lettera all'Ansa la signora Berlusconi-Lario denuncia il clima di omertà che
circonda e protegge le malefatte dell'"imperatore". Ne abbiamo
avuto una prova eloquente durante la trasmissione di Santoro con la
prestazione dell'avvocato e deputato Niccolò Ghedini.
Non avevo mai visto un avvocato difensore comportarsi non come un
professionista libero anche se impegnato a proteggere gli interessi del suo
cliente, ma come un servitore addestrato a picchiare mettendosi sotto i piedi
la logica oltre che la verità.
Il vero spettacolo di quella trasmissione è stato lui, Niccolò Ghedini; nella sua doppia qualifica di avvocato di un
solo cliente e di rappresentante del popolo e legislatore molto si è
detto e scritto ma non abbastanza. E' perfino peggio di Previti che nelle sue
malefatte ostentava almeno una sua grandezza. Il suo più giovane collega
sembra piuttosto un pretoriano, perfettamente appropriato all'aria di basso
impero che circola con tutte le sue flatulenze nei palazzi del potere.
* * *
Un'altra osservazione che bisogna fare riguarda la ricattabilità:
Berlusconi è una persona ricattabile perché nega alcune circostanze
che sembrano evidenti e che sono a conoscenza diretta di altre persone.
Queste persone sono state e saranno colmate di benefici, ma dei loro servizi
egli non può disfarsi quand'anche lo volesse poiché sono al corrente
di segreti piccoli o grandi che potrebbero offuscare o addirittura
interrompere i suoi successi e il suo potere.
Spesso è accaduto che tra queste persone si verificassero contrasti e
che la loro riservatezza fosse dunque a rischio. Finora il leader è
riuscito a mediare, a conciliare, a tacitare, ma il rischio è
ricorrente e spiega anche alcune vicende altrimenti incomprensibili.
Una di esse, la più recente, è l'amicizia tra il premier e Elio
Letizia, padre di Noemi. Non si sa come sia nata
quell'amicizia né quando, una spessa coltre di reticenza ne copre l'origine e
la natura alla stregua di un vero e proprio segreto di Stato. Basta leggere o
ascoltare le interviste del signor Letizia - personaggio con non lievi
trascorsi penali - per rendersi conto di reticenze a dir poco inquietanti.
La stampa ha tra gli altri suoi compiti quello di controllare il potere e
cercare la verità bucando il velo della reticenza. E' dunque
comprensibile anche se abominevole che la stampa sia una delle principali
preoccupazioni di chi detiene il potere. Preoccupazioni "pelose"
che si esercitano sulle proprietà dei giornali, sui direttori, sui
giornalisti con compiti di rilievo. Gli editti di persecuzione contro
giornalisti scomodi servono a metterli fuorigioco, i premi servono invece a
favorirne la conversione.
Sarebbe impietoso farne l'elenco ed anche non necessario: basta infatti seguirne i percorsi e le carriere determinate dal
Palazzo e gli effetti "deontologici" che ne derivano per averne
contezza.
* * *
Questa fitta rete di premi, benefici, ricatti potenziali, lotte di potere,
è stata messa in crisi da una donna, da una moglie, dalla sua denuncia
pubblica, dall'assunzione di un rischio altissimo e personale.
La denuncia riguarda vizi pubblici e vizi privati che tuttavia costituiscono,
come già detto, un contesto unico e non scindibile. Tutta la
discussione sulle cosiddette veline assume, nelle parole di Veronica Lario, un significato preciso: la selezione distorta
della classe dirigente, ormai interamente rimessa alle scelte capricciose
dell'"imperatore".
Lo scandalo non proviene dal reclutamento privilegiato nel mondo dello
spettacolo né dall'età né dal sesso delle prescelte, ma dalla
preparazione politica sulla quale purtroppo circolano idee improprie.
La politica come tutti la vorremmo ha come premessa una adeguata
formazione culturale coltivata in famiglia, a scuola e con letture che
contribuiscano a svegliare la fantasia e a far crescere coscienza, carattere
e senso di responsabilità.
I giovani che acquisiscono questa preparazione culturale sentono talvolta
dentro di loro una vocazione politica, il desiderio di occuparsi del bene
comune e di rappresentare interessi legittimi e valori congeniali al loro
modo di essere e di pensare. Il seguito è affidato alla capacità
individuale, agli incontri, ai punti di riferimento che la società
esprime e alla competitività individuale.
Questo è il solo modo adatto a selezionare i talenti politici. Va
detto purtroppo che è caduto in disuso in un'epoca di portaborse e di
"yes-men".
* * *
Resta da parlare dei cattolici, della Chiesa e delle reazioni che questa
vicenda ha suscitato. Se fosse ancora tra noi Pietro Scoppola intervenire su
questo tema gli spetterebbe di diritto: si tratta di etica, un valore che
coinvolge in modi diversi ma egualmente intensi sia il pensiero laico sia il
mondo cattolico, con in più per quest'ultimo
che l'etica è strettamente intrecciata al sentimento religioso e
quindi impedisce il cinismo dell'indifferenza o almeno così dovrebbe.
Per quel che emerge da alcuni segnali il mondo cattolico, o per esser
più precisi il laicato cattolico, vive con molto disagio il paganesimo
berlusconiano abbinato ad una "devozione" di natura commerciale
agli interessi della Chiesa. Proprio perché questo disagio è forte ed
esercita una pressione intensa nelle Comunità e negli Oratori, la
Conferenza episcopale l'ha assunto come proprio e il suo giornale,
l'"Avvenire", ne ha dato conto.
Le reazioni della Santa Sede, manifestate tre giorni fa dal Segretario di
Stato vaticano al plenipotenziario berlusconiano Gianni Letta, sono state
invece di ben diversa natura. Si è raccomandata prudenza, maggior
riserbo, abbassamento dei toni, offrendo in contropartita il silenzio della
Santa Sede su quanto è accaduto. Il tema del possibile divorzio
riguarderebbe un matrimonio civile e quindi non interessa la Chiesa. Semmai e
paradossalmente quel divorzio sanerebbe lo strappo del primo divorzio,
invalido per il diritto canonico poiché scioglieva un matrimonio celebrato
religiosamente.
Un paradosso che riduce l'etica cattolica ad una ripugnante
casistica, spiegata e condivisa da Francesco Cossiga che si era recato a
solidarizzare col premier e poi, interrogato dai giornalisti, ha così
risposto: "Alla Chiesa importa molto dei comportamenti privati, ma tra
un devoto monogamo che contesta certe sue direttive ed uno sciupafemmine che le dà invece una mano concreta,
la Chiesa dice bravo allo sciupafemmine.
Sant'Ambrogio disse non a caso "Ecclesia casta et
meretrix"".
Se è per questo, Dante disse assai di peggio. Era ghibellino (*) e non
si faceva certo intimidire.
(10 maggio 2009)
(*)
Nota di Novelli: Dante rivestì cariche politiche in Firenze
schierandosi dalla parte guelfa (bianca). Forse ha cambiato idea in esilio?
Foscolo, infatti, parla del “ghibellin fuggiasco”…..
|