La
Repubblica 27-6-2009
Sono membri del collegio che
dovrà giudicare la costituzionalità del "Lodo"
Mazzella: è un mio amico, invito chi voglio. L'Idv: dimissioni
Giudici
a cena col premier e Alfano
Bufera su due membri della Consulta
di
LIANA MILELLA
ROMA - Il 6 ottobre dovranno cominciare a decidere
sulla costituzionalità del lodo Alfano, ma nel frattempo vanno a cena,
"privatamente" a sentire il padrone di casa, con l'autore e insieme
destinatario del medesimo scudo anti-processi. Seduti allo stesso tavolo due
giudizi della Consulta, Luigi Mazzella (l'ospite) e Paolo Maria Napolitano,
Berlusconi, il Guardasigilli Angelino Alfano, il sottosegretario Gianni
Letta, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali della Camera
Donato Bruno e del Senato Carlo Vizzini. Per parlare anche di una bozza di
riforma costituzionale della giustizia, scritta dallo stesso Mazzella, che
separa le carriere, sostituisce i pm con gli "avvocati dello
Stato", cambia il Csm e la Consulta.
LEGGI SULL'ESPRESSO
Lo rivela L'Espresso e scoppia il pandemonio. Antonio Di Pietro è
drastico: "Ci sono due giudici della Corte che fanno i
"consigliori" del principe e si mettono al suo servizio per dargli
le migliori indicazioni per fare leggi che gli facciano mantenere l'impunità".
Ancora: "C'è una grave incompatibilità e un conflitto
d'interessi. La Corte non si pronunci sul lodo Alfano fino a quando i due
giudici non si saranno dimessi".
Tutta l'Idv è con lui. Ecco l'ex pm Luigi De Magistris: "È
l'ennesima confusione tra interessi istituzionali o interessi privati. Non
è opportuno che alcuni giudici banchettino con il principale
interessato di una così importante decisione". Rincara la dose il
senatore Luigi Li Gotti: "Berlusconi ha messo in grave imbarazzo due
componenti della Corte pregiudicandone la terzietà". A destra la
musica è tutt'altra e la cena, che si è svolta a maggio in via
Cortina d'Ampezzo, non scandalizza. Per il capogruppo Pdl al Senato Gaetano
Quagliariello le accuse dell'Idv sono "ridicole" e si risolvono
"in una pressione obliqua e indebita sulla Consulta".
Il responsabile giustizia del Pdl Niccolò Ghedini non vede
nella cena "nulla di strano perché i giudici non vivono sul monte Athos
ed è normale che frequentino le alte cariche. Se passasse il principio,
Napolitano non dovrebbe più incontrare Berlusconi se deve firmare una
legge importante, o il presidente della Corte dei conti o della Cassazione se
devono prendere decisioni contabili, penali o civili. Spero che il Quirinale
intervenga perché questa è un'aggressione alla Corte".
La Consulta è in subbuglio. Giusto nel giorno in cui il presidente
Francesco Amirante rende noto, dopo aver firmato la convocazione d'udienza,
che la discussione sul lodo Alfano partirà il 6 ottobre, relatore il
tributarista Franco Gallo (nominato nel 2004 dall'ex presidente Ciampi). La
cena è oggetto di riservati capannelli mentre gli alti giudici
incontrano dei colleghi russi. Nessun commento, neppure degli ex della Corte.
Ma, off the records, prevale lo sconcerto per un incontro che ne pregiudica
l'imparzialità in un momento delicatissimo. Napolitano tace. E
Mazzella definisce Berlusconi "un vecchio amico" (fu suo ministro
della Funzione pubblica nel 2003) e s'infuria.
Scrive all'Espresso e con l'Ansa rivendica il diritto di cenare con chi gli
pare: "Stiamo scherzando? Allora dovrei astenermi da tutti i lavori
della Corte. A cena invito chi voglio. A casa mia vengono tutti, dall'estrema
sinistra alla destra, sono amico personale di Bertinotti e di tante altre
persone che vivono nel mondo della politica".
Ma non è scorretto che chi deve decidere sul lodo Alfano vada a cena
con lo stesso Alfano e con Berlusconi? Replica secca: "Non credo che io,
da individuo privato, debba dar conto delle cene che faccio". Neppure se
in ballo c'è una decisione delicata? "In casa mia invito chi
voglio e parlo di quello che voglio".
(27
giugno 2009)
Da L’ESPRESSO
Consulta, la cena segreta
di Peter Gomez
Un incontro
carbonaro tra il premier, Alfano, Ghedini e due giudici della Corte Costituzionale.
Per parlare di giustizia. Ma sullo sfondo c'è anche l'immunità
di Berlusconi
Le auto con le scorte erano arrivate una dopo
l'altra poco prima di cena. Silenziose, con i motori al minimo, avevano
imboccato una tortuosa traversa di via Cortina d'Ampezzo a Roma dove, dopo
aver percorso qualche tornante, si erano infilate nella ripida discesa che
portava alla piazzola di sosta di un'elegante palazzina immersa nel verde.
Era stato così che in una tiepida sera di maggio i vicini di casa del
giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella, avevano potuto assistere
al preludio di una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti
riunioni, organizzate dal governo Berlusconi. Un incontro privato tra il
premier e due alti magistrati della Consulta, ovvero l'organismo che tra
poche settimane dovrà finalmente decidere se bocciare o meno il Lodo
Alfano: la legge che rende Silvio Berlusconi improcessabile fino alla fine
del suo mandato.
Del resto che quello fosse un appuntamento particolare, gli inquilini della
palazzina lo avevano capito da qualche giorno. Ilva, la moglie di Mazzella,
aveva chiesto loro con anticipo di non posteggiare autovetture davanti ai
garage. "Non stupitevi se vedrete delle body-guard e se ci sarà
un po' di traffico, abbiamo ospiti importanti...", aveva detto la
signora Mazzella alle amiche. Così, stando a quanto 'L'espresso'
è in grado ricostruire, a casa del giudice si presentano Berlusconi,
il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, il sottosegretario alla
presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il presidente della commissione
Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini. Con loro arriva anche un
altro collega di Mazzella, la toga Paolo Maria Napolitano, eletto alla
Consulta nel 2006, dopo essere stato capo dell'ufficio del personale del
Senato, capo gabinetto di Gianfranco Fini nel secondo governo Berlusconi e
consigliere di Stato.
Più fonti concordano nel riferire che uno degli argomenti al centro
della riunione è quello delle riforme costituzionali in materia di
giustizia. Sul punto infatti Berlusconi e Mazzella la vedono allo stesso
modo. Non per niente il giudice padrone di casa è stato, per scelta
del Cavaliere, prima avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, ministro
della Funzione pubblica, in sostituzione di Franco Frattini, volato a
Bruxelles come commissario europeo. Infine l'elezione alla Consulta a
coronamento di una carriera di successo, iniziata negli anni Ottanta, quando
il giurista campano militava in un partito non certo tenero con i magistrati,
come il Psi di Bettino Craxi (ma lui ricorda di aver mosso i primi passi al
fianco dell'avversario di Craxi, Francesco De Martino), diventando quindi
collaboratore e capo di gabinetto di vari ministri, tra cui il suo amico
liberale Francesco De Lorenzo (all'epoca all'Ambiente), poi condannato e
incarcerato per le mazzette incassate quando reggeva il dicastero della
Sanità.
La cena dura a lungo. E a tenere banco è il presidente del Consiglio.
Berlusconi sembra un fiume in piena e ripropone, tra l'altro, ai presenti una
sua vecchia ossessione: quella di riuscire finalmente a riformare la
giustizia abolendo di fatto i pubblici ministeri e trasformandoli in
"avvocati dell'accusa".
L'idea, con Mazzella e Napolitano, sembra trovare un terreno particolarmente
fertile. Il giudice padrone di casa non ha mai nascosto il suo pensiero su
come dovrebbero funzionare i tribunali. Più volte Mazzella, come hanno
in passato scritto i giornali, ha ipotizzato che la funzione di pm fosse
svolta dall'avvocatura dello Stato. Solo che durante l'incontro carbonaro
l'alto magistrato si trova a confrontarsi con uno che, in materia, è
ancora più estremista di lui: il plurimputato e pluriprescritto
presidente del Consiglio. E il risultato della discussione, a cui Vizzini,
Alfano e Letta assistono in sostanziale silenzio, sta lì a
dimostrarlo.
'L'espresso' ha infatti potuto leggere una bozza di riforma costituzionale
consegnata a Palazzo Chigi un paio di giorni dopo il vertice. Una bozza che
adesso circola nei palazzi del potere ed è anche arrivata negli uffici
del Senato in attesa di essere trasformata in un articolato e discussa. Si
tratta di quattro cartelle, preparate da uno dei due giudici, in cui viene
anche rivisto il titolo quarto della carta fondamentale, quello che riguarda
l'ordinamento della magistratura. Nove articoli che spazzano via una volta
per tutte gli 'odiati' pubblici ministeri che dovrebbero essere sostituiti da
funzionari reclutati anche tra gli avvocati e i professori universitari.
Per questo è previsto che nasca un
nuovo Consiglio superiore della magistratura (Csm) aperto solo ai giudici,
presieduto sempre dal presidente della Repubblica, ma nel quale
entrerà di diritto il primo presidente della Corte di cassazione,
escludendo invece il procuratore generale degli ermellini.
L'obiettivo è evidente. Impedire indagini sui potenti e sulla classe
politica senza il placet, almeno indiretto, dell'esecutivo. Del resto il
progetto di Berlusconi di incrementare l'influenza della politica in tutti i
campi riguardanti direttamente o indirettamente la giustizia trova conferma
anche in altri particolari. Per il premier va rivisto infatti pure il modo
con cui vengono scelti i giudici della Corte costituzionale aumentando il
peso del voto del parlamento. Anche la riforma della Consulta è un vecchio
pallino di Mazzella.
Nei primissimi anni '90 il giurista, quando era capogabinetto del ministro
delle Aree urbane Carmelo Conte, aveva tentato di sponsorizzare con un
articolo pubblicato da 'L'Avanti' l'elezione a presidente della Corte dell'ex
ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e aveva lanciato l'idea di
modificare la Carta per affidare direttamente al capo dello Stato il compito
di sceglierne in futuro il presidente.
Allora i giudici non l'avevano presa bene. Da una parte, il pur stimatissimo
Vassali, era appena entrato a far parte della Consulta e se ne fosse
diventato il numero uno per legge avrebbe ricoperto quell'incarico per nove
anni. Dall'altra una modifica dell'articolo 138 della Costituzione avrebbe
finito per far aumentare di troppo il peso del presidente della Repubblica
che già nomina cinque giudici. Per questo era stato ricordato
polemicamente proprio dagli alti magistrati che stabilire una
continuità tra Quirinale e Consulta era pericoloso. Perché la Corte
costituzionale è l'unico giudice sia dei reati commessi dal capo dello
Stato (alto tradimento e attentato alla Costituzione), sia dei conflitti che
possono sorgere tra i poteri dello Stato, presidenza della Repubblica
compresa. Altri tempi. Un'altra Repubblica. E un'altra Corte costituzionale.
Oggi, negli anni dell'impero Berlusconi, un imputato che fonda buona parte
del proprio futuro politico sulle decisioni della Corte, che dovrà
pronunciarsi sul Lodo Alfano, può persino trovare due dei suoi
componenti disposti a discutere segretamente a cena con lui delle fondamenta
dello Stato. E lo fa sapendo che non gli può accadere nulla. Al
contrario di quelli dei tribunali, le toghe della Consulta, non possono
ovviamente essere ricusate. E dalla loro decisione passerà la possibilità
o meno di giudicare il premier nei processi presenti e futuri. A partire dal
caso Mills e dal procedimento per i fondi neri Mediaset.
(25 giugno 2009)
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