La Repubblica 19-5-2008
La geografia politica di Berlusconi
di Ilvo Diamanti
BASTA guardare la mappa elettorale del centrodestra per capire perché
abbia vinto queste elezioni. E perché sarà difficile, in futuro,
batterlo di nuovo. A differenza della coalizione a sostegno di Veltroni,
quella guidata da Berlusconi ha una geografia "nazionale". La
coalizione di centrosinistra, imperniata sul Pd, riproduce, invece, come
sempre, la mappa della sinistra. In particolare: del Pci e dei suoi eredi.
Pds, Ds. Il Pd, fino ad ora, non è riuscito ad allargare altrove le
radici. E ha intercettato solo una parte degli elettori della SA (intorno al
30%, secondo i flussi elettorali calcolati dall'Istituto Cattaneo con il
modello di Goodman, in alcune città del Nord).
Il centrodestra, invece, è ben distribuito. Se consideriamo anche
l'Udc e la Destra (in altri termini: i confini della CdL), raggiunge il 59%
nel Nord e nel Sud, scende al 53% nel Centro-Sud (Lazio, Abruzzo e Molise),
mentre è più debole nelle "regioni rosse". Dove,
comunque, totalizza il 43%. Il risultato migliore dal 1996 ad oggi.
Simmetricamente, il centrosinistra è forte soprattutto nelle regioni
rosse. (55%), ma scende notevolmente (al 39%) sia nel Nord che nel Sud. Nelle
zone rosse, peraltro, il centrosinistra, in queste elezioni, consegue il
risultato peggiore dopo il 1994.
Tuttavia, il centrodestra non ha un profilo territoriale stabile, nel tempo.
Né, al suo interno, appare omogeneo. (Lo hanno messo in luce numerosi studi
presentati al convegno nazionale della SISE, che si è svolto nei
giorni scorsi a Firenze). La base elettorale della Lega e del PdL, infatti,
propone un riassunto fedele del consenso ai partiti di governo durante la
prima Repubblica. La Lega, in particolare, ricalca i confini della Democrazia
Cristiana, nei primi decenni della Repubblica. Se ci concentriamo
sull'elezione del 1948, un vero spartiacque per la nostra democrazia e il
nostro sistema politico, la coincidenza appare impressionante. Fra le 13
province in cui la Lega ottiene le percentuali di voto più elevate,
nel 2008, 10 sono le stesse in cui la DC, nel 1948, consegue le performance
migliori.
Certo: la Lega è molto lontana dalla Dc delle origini. Tanto
più da quella dei decenni successivi. Tuttavia, ne eredita il
retroterra. Le province periferiche del Nord, costellate di piccoli paesi e
di piccole aziende artigiane. Che, in seguito, si svilupperanno, in misura
violenta, facendo di quest'area una delle più industrializzate e
urbanizzate d'Europa. La Lega nasce lì. E lì si consolida. Alla
mediazione con lo Stato, espressa dalla Dc, sostituisce la spinta autonomista
contro Roma e contro Torino.
Contro la metropoli dell'economia di grande impresa. Contro la capitale della
politica e dei partiti nazionali. La Lega contribuisce al crollo della prima
Repubblica, aggredendo, alla radice, la Dc. Che rimpiazza, sul suo stesso
territorio. In concorrenza, dopo il 1994, con Forza Italia e, da qualche
mese, con il PdL. Tuttavia, questa Italia era e resta "leghista".
Da "zona bianca" a "verde". Senza soluzione di
continuità. La geografia del PdL, invece, è simmetrica.
Centromeridionale. Con alcune roccaforti. Le isole, e soprattutto la Sicilia;
inoltre, le province tirreniche del Centrosud, da sempre zone di forza di FI.
Inoltre, la Puglia, in cui è saldamente insediata AN. Un impianto
territoriale che evoca i partiti di governo della prima Repubblica negli
ultimi vent'anni. In particolare, dopo la prima metà degli anni
Settanta. Non è un caso che la mappa del PdL ricalchi, in molti punti,
quella dei partiti di governo nel 1992 (Dc e Psi, con il contributo del MSI).
La meridionalizzazione del voto del PdL, come quella dei partiti di governo
nel 1992, al tramonto della prima Repubblica, dipende in gran parte
dall'affermazione della Lega. Che nel 1992 ottiene 3 milioni e 400mila voti,
circa l'8,6%. Cioè: più di quel che ha conseguito alle elezioni
politiche di un mese fa. A differenza del 1992, ma anche del 1996, in questa
occasione la Lega si è presentata insieme ai partiti che, in
precedenza, erano suoi avversari.
Tuttavia, il voto leghista resta un voto "autonomo". Alternativo al
centrosinistra. Ma diffidente verso il PdL. Il voto dell'alleanza guidata da
Berlusconi è completato dal MpA di Lombardo. Definito, da alcuni, la
"Lega Lombardo", evocando l'intesa con la Lega Nord, alle
precedenti elezioni. Ma anche una certa analogia con la biografia della Lega.
Perché intercetta una parte del voto della Dc di un tempo (e, più di
recente, dell'UdC). Soprattutto, ma non solo, nella Sicilia occidentale. Una
sorta di Lega Sud, insomma, il cui rapporto con lo Stato centrale è
altrettanto rivendicativo di quello della Lega. Anche se contiene e propone
domande alternative.
Viste insieme, le zone politiche presidiate dai partiti dell'alleanza guidata
da Berlusconi delineano una geografia nazionale, forte, soprattutto nel Nord,
nel Sud e nelle isole. Con qualche segnale di insediamento anche nelle
regioni rosse di centro. In prospettiva storica, evoca la frattura
anticomunista, che ha condizionato il sistema politico ed elettorale della
prima Repubblica. Il muro di Berlino, cui si è sovrapposto, in
seguito, il "muro di Arcore". Questo radicamento di lunga durata
suggerisce un rapporto con il territorio molto stretto. Nel Nord, grazie alla
presenza della Lega, in passato "partito dei piccoli produttori",
oggi "partito della sicurezza". Una tema attraverso cui ha
rafforzato l'identità locale. In senso difensivo e chiuso.
Rispondendo, però, a un diffuso spaesamento sociale. La Lega, inoltre,
governa in molti comuni. Le stesse "ronde padane" funzionano come
una base di "militanti in divisa". Nel Mezzogiorno, PdL e MpA hanno
utilizzato l'antica rete di relazioni particolaristiche, talora clientelari.
Dopo la crisi dei partiti tradizionali, sono divenute più importanti.
E più "libere". Non a caso, negli ultimi anni, è
cresciuta la rilevanza del "voto personale", come ha osservato di
recente Mauro Calise. Persone e clientele senza organizzazione. Ma ben
radicate sul territorio.
Invece, il rapporto del Pd con la società e con il territorio è
molto più incerto. Un problema che, come ha sottolineato Rossana
Rossanda, affligge anche la sinistra comunista. Non è un caso che, in
questa fase, il centrosinistra resista soprattutto nelle "zone
rosse", dove ha ereditato le radici sociali e associative, ma anche la
cultura politica del passato. Mentre il "nuovo" modello
organizzativo del Pd non è ancora chiaro. Le "primarie",
come metodo di mobilitazione della società, sono state utilizzate in
modo intermittente. Per questo, anche a livello locale, i nuovi quadri
faticano ad emergere. Frenati, perlopiù, dai gruppi dirigenti del
passato: popolari e diessini; spesso, ex democristiani ed ex comunisti.
Quanto al centrodestra, alla coalizione guidata da Berlusconi, le difficoltà
che potrebbe incontrare sono implicite nel suo stesso modello di radicamento.
La prima è nella sua struttura territoriale. Il Nord presidiato dalla
Lega, mentre il PdL non è mai stato tanto squilibrato a Sud. Dove
risiede il 37% dei suoi elettori (il 14% nel Centrosud; il 34% nel Nord senza
l'Emilia Romagna). Lega Nord, da un lato, PdL e Lega Sud (MpA), dall'altro,
esprimono, però, domande diverse e contrastanti. Federalismo e
libertà privata, gli uni. Protezione pubblica e intervento dello Stato,
gli altri. In una fase di stagnazione economica e declino delle risorse,
potrebbero entrare in conflitto. Come e più che in passato.
La seconda difficoltà sta nella sostanziale differenza rispetto al
passato. Agli "antenati". Quando la Dc e i suoi alleati erano cementati
da interessi, ma anche ideologie, valori, organizzazione. La coalizione
guidata da Berlusconi, invece, oggi ha un solo, insostituibile, punto di
equilibrio. Una sola vera colla. Berlusconi. Il quale è, notoriamente,
eterno e onnipresente. Ma i miracoli non sempre gli
riescono.
(19 maggio 2008)
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