Dall'antipolitica
all'iperpolitica
di ILVO DIAMANTI
LE PRIMARIE continuano a sorprendere gran parte degli osservatori, degli
analisti, dei commentatori. E degli stessi attori politici coinvolti. Come
era avvenuto due anni fa. Quando "travolsero" ogni previsione.
Questa volta anche più di allora. Perché nell'aria si percepivano
rumori poco rassicuranti. Il lamento del "popolo di sinistra",
insoddisfatto del comportamento del governo e del ceto politico che lo
rappresenta. Le grida di protesta, contro i privilegi della casta. Il rumore
sordo e sgradevole dell'antipolitica. E come poteva mobilitare le persone e
le passioni, in questa glaciazione della politica, l'atto di nascita di un "partito
nuovo"? O, peggio, di un "nuovo" partito?
Promosso e guidato da uomini politici "vecchi" o, comunque,
sicuramente non "inediti"? Invece, un'altra volta, si è
assistito a una risposta di massa. Inattesa dagli stessi promotori. Il che
getta più di un'ombra sull'antipolitica: il distacco dalla politica;
il rifiuto delle sue pratiche e dei suoi attori. Esiste davvero? A questo
punto, si rischia di non capire. Visto che, mettendo in fila le iniziative
"politiche" degli ultimi giorni, delle ultime
settimane, si rischia la vertigine. Il mal di capo.
Più di tre milioni di cittadini hanno partecipato alle primarie di due
giorni fa. Una partecipazione enorme. Inattesa. Il giorno prima, An aveva
mobilitato almeno 300mila militanti a protestare contro il governo. Nei
giorni precedenti milioni di lavoratori avevano partecipato al referendum del
sindacato. Un mese fa, centinaia di migliaia di persone avevano sottoscritto
le proposte di Grillo per la "moralizzazione politica". E se
mettiamo in fila le mobilitazioni organizzate da un anno a questa parte dalla
destra, dalla sinistra cosiddetta radicale, da comitati e movimenti si
raggiungono cifre superiori agli anni Settanta. Al mitico Sessantotto. Non
solo.
Il livello di attenzione sui fatti e sui temi della politica, in questa fase,
è salito rapidamente. Come testimoniano gli ascolti delle trasmissioni
tivù che affrontano i temi politici, nella "versione
antipolitica". E la tiratura dei libri che ne fanno oggetto di inchiesta
e di denuncia. Il fatto è che tra politica e antipolitica il confine
non sempre è chiaro. A separarle, talora, è una linea sottile.
Visibile solo agli occhi di chi guarda. Da ciò l'esigenza di
distinguere, almeno, due diverse facce dell'antipolitica. Da un lato, come
"argomento", usato da leader, movimenti, partiti, ma anche dai
media. Dall'altro, come "sentimento sociale".
Considerata da questo punto di vista, l'antipolitica rivela non rifiuto, ma
una diffusa domanda di politica. Una estesa disponibilità
a partecipare e a mobilitarsi, da parte di milioni di cittadini. Per questo,
esibire e agitare la partecipazione alle primarie come una risposta al "vaffa-day", uno schiaffo a Grillo e ai suoi adepti,
ci sembra un po' fuori luogo. Almeno, se si fa riferimento alla base sociale,
ai partecipanti delle due manifestazioni. Che, in parte, si sovrappongono.
Perché molti sostenitori del V-Day sono elettori
del Pd che, nonostante gli anatemi di Grillo, hanno "votato" alle
primarie. Hanno contribuito alla "fondazione" del "partito
nuovo", all'elezione degli organismi e all'investitura di Walter
Veltroni.
Il che, restando al tema delle primarie, ne sottolinea il significato. Il
sentimento che ha animato una partecipazione tanto ampia, infatti, più
che fiducia rivela sofferenza e un po' di insofferenza. E' richiesta di
cambiare. Ma davvero. Di costruire un "partito" capace di
ri-generare: la classe dirigente, il linguaggio, il rapporto con la
società. Una grande occasione, per i leader del Pd. E soprattutto, anzitutto,
per Walter Veltroni. Ma forse, anche, l'ultima.
Il sentimento antipolitico della società italiana, d'altronde, non
appare particolarmente più esteso rispetto agli altri paesi europei.
Dove si coglie un analogo sentimento di sfiducia nelle istituzioni
rappresentative e nel ceto politico. (Basta
consultare la ricerca europea condotta da laPolis-Demos-FNE,
presentata sul volume della Rassegna Italiana di Sociologia attualmente in
uscita). Peraltro, non si tratta di un fenomeno nuovo. Visto nel lungo
periodo, anzi, sembra perfino essersi ridotto. Come mostrano alcuni studi
recenti (ad esempio, una ricerca sulla "Immagine della politica e del
buon governo", curata da Paolo Bellucci e dal Laboratorio di Analisi
Politica dell'Università di Siena).
Se oggi, in Italia, risulta esplosivo è soprattutto perché la classe
politica, per prima, predica l'antipolitica. E si presenta come uno specchio
rotto (per riprendere la suggestiva metafora di Eugenio Scalfari), che,
invece di riassumere la società, la frantuma ulteriormente. Ne
restituisce una immagine deforme, invece che
dignitosa. Perché, inoltre, ai media piace seguire, da vicino, il peggio
della politica. Amplificare "l'indignazione popolare". Che "fa
notizia". Alza gli ascolti. In questo Paese: c'è una parte della
società, probabilmente maggioritaria, sicuramente molto ampia, che
è migliore di chi la rappresenta e raffigura. Di chi la interpreta e
la racconta. Così, noi che la interpretiamo e raccontiamo siamo
destinati a sorprenderci. Sempre più spesso.
Perché la osserviamo attraverso la lente dei nostri pre-giudizi. In base ai
quali distinguiamo l'antipolitica dalla politica. Separando, quasi, il bene
dal male. Converrebbe, al proposito, usare un po' più di prudenza e di
umiltà. Stiamo attraversando una fase di cambiamento delle democrazie
rappresentative. La sfiducia, la protesta, gli
stessi populismi. Lo sbriciolarsi della partecipazione politica in mille
esperienze: collettive ma anche individuali. Le grandi mobilitazioni
polemiche. Non sanciscono il rifiuto della democrazia.
Segnalano, invece, un insieme di pratiche attraverso le quali la
società esercita poteri di correzione, controllo, pressione. I
partiti, se vogliono continuare a esistere, se vogliono
essere "utili", debbono tenerne conto. Aprirsi.
"Rappresentarli". Al contrario di quanto è avvenuto negli
ultimi anni, durante i quali si sono trasformati in oligarchie, rifugiandosi
nelle istituzioni, per "difendersi" dalla società. La grande
partecipazione alle primarie, per questo, costituisce un segnale molto
importante.
Ma anche un allarme, che deve essere raccolto. Non possiamo immaginare,
altrimenti, che la "rivoluzione di ottobre", come è stata
definita da qualcuno, prosegua anche in novembre. E via di seguito.
All'infinito. E non possiamo pensare a una società in
"mobilitazione permanente", come avviene da troppo tempo.
Questo "surplus di politica", questa "iperpolitica"
ci appare, infatti, l'altra faccia dell'antipolitica. Segni, entrambi, di una
"domanda politica" frustrata. Se non dovesse trovare risposta, dopo
tanti tentativi, allora è lecito attendersi l'esplosione. O
l'implosione. Sicuramente la "delusione" e il distacco vero.
Per questo, dopo la bella "domenica delle primarie", ci
sorprendiamo a sognare una democrazia diversa. Dove i cittadini non abbiano
bisogno di scendere in piazza - né di votare - ogni mese, talora ogni fine
settimana. Per contare. Dove ogni risultato elettorale non sia
"sospettato" dall'avversario politico. "A prescindere",
per citare Totò. Dove non sia necessario alzare la voce oppure urlare
per farsi ascoltare. Dove si possa manifestare senza "fanculare" la classe politica. Dove la classe
politica non debba essere "fanculata" per
comportarsi in modo virtuoso ed equilibrato. Dove la politica costituisca
"un" aspetto importante della vita. Uno, non
il solo e neppure il più importante. Una democrazia normale. Magari
po' più tiepida. Non soffocata dall'antipolitica. Ma neppure dalla
"troppa politica".
(17 ottobre 2007)
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