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Documento d’interesse   Inserito il 17-10-2007


 

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La Repubblica 17-10-2007

 

Dall'antipolitica all'iperpolitica

 

di ILVO DIAMANTI


LE PRIMARIE continuano a sorprendere gran parte degli osservatori, degli analisti, dei commentatori. E degli stessi attori politici coinvolti. Come era avvenuto due anni fa. Quando "travolsero" ogni previsione. Questa volta anche più di allora. Perché nell'aria si percepivano rumori poco rassicuranti. Il lamento del "popolo di sinistra", insoddisfatto del comportamento del governo e del ceto politico che lo rappresenta. Le grida di protesta, contro i privilegi della casta. Il rumore sordo e sgradevole dell'antipolitica. E come poteva mobilitare le persone e le passioni, in questa glaciazione della politica, l'atto di nascita di un "partito nuovo"? O, peggio, di un "nuovo" partito?

Promosso e guidato da uomini politici "vecchi" o, comunque, sicuramente non "inediti"? Invece, un'altra volta, si è assistito a una risposta di massa. Inattesa dagli stessi promotori. Il che getta più di un'ombra sull'antipolitica: il distacco dalla politica; il rifiuto delle sue pratiche e dei suoi attori. Esiste davvero? A questo punto, si rischia di non capire. Visto che, mettendo in fila le iniziative "politiche" degli ultimi giorni, delle ultime settimane, si rischia la vertigine. Il mal di capo.

Più di tre milioni di cittadini hanno partecipato alle primarie di due giorni fa. Una partecipazione enorme. Inattesa. Il giorno prima, An aveva mobilitato almeno 300mila militanti a protestare contro il governo. Nei giorni precedenti milioni di lavoratori avevano partecipato al referendum del sindacato. Un mese fa, centinaia di migliaia di persone avevano sottoscritto le proposte di Grillo per la "moralizzazione politica". E se mettiamo in fila le mobilitazioni organizzate da un anno a questa parte dalla destra, dalla sinistra cosiddetta radicale, da comitati e movimenti si raggiungono cifre superiori agli anni Settanta. Al mitico Sessantotto. Non solo.

Il livello di attenzione sui fatti e sui temi della politica, in questa fase, è salito rapidamente. Come testimoniano gli ascolti delle trasmissioni tivù che affrontano i temi politici, nella "versione antipolitica". E la tiratura dei libri che ne fanno oggetto di inchiesta e di denuncia. Il fatto è che tra politica e antipolitica il confine non sempre è chiaro. A separarle, talora, è una linea sottile. Visibile solo agli occhi di chi guarda. Da ciò l'esigenza di distinguere, almeno, due diverse facce dell'antipolitica. Da un lato, come "argomento", usato da leader, movimenti, partiti, ma anche dai media. Dall'altro, come "sentimento sociale".

Considerata da questo punto di vista, l'antipolitica rivela non rifiuto, ma una diffusa domanda di politica. Una estesa disponibilità a partecipare e a mobilitarsi, da parte di milioni di cittadini. Per questo, esibire e agitare la partecipazione alle primarie come una risposta al "vaffa-day", uno schiaffo a Grillo e ai suoi adepti, ci sembra un po' fuori luogo. Almeno, se si fa riferimento alla base sociale, ai partecipanti delle due manifestazioni. Che, in parte, si sovrappongono. Perché molti sostenitori del V-Day sono elettori del Pd che, nonostante gli anatemi di Grillo, hanno "votato" alle primarie. Hanno contribuito alla "fondazione" del "partito nuovo", all'elezione degli organismi e all'investitura di Walter Veltroni.

Il che, restando al tema delle primarie, ne sottolinea il significato. Il sentimento che ha animato una partecipazione tanto ampia, infatti, più che fiducia rivela sofferenza e un po' di insofferenza. E' richiesta di cambiare. Ma davvero. Di costruire un "partito" capace di ri-generare: la classe dirigente, il linguaggio, il rapporto con la società. Una grande occasione, per i leader del Pd. E soprattutto, anzitutto, per Walter Veltroni. Ma forse, anche, l'ultima.

Il sentimento antipolitico della società italiana, d'altronde, non appare particolarmente più esteso rispetto agli altri paesi europei. Dove si coglie un analogo sentimento di sfiducia nelle istituzioni rappresentative e nel ceto politico. (Basta consultare la ricerca europea condotta da laPolis-Demos-FNE, presentata sul volume della Rassegna Italiana di Sociologia attualmente in uscita). Peraltro, non si tratta di un fenomeno nuovo. Visto nel lungo periodo, anzi, sembra perfino essersi ridotto. Come mostrano alcuni studi recenti (ad esempio, una ricerca sulla "Immagine della politica e del buon governo", curata da Paolo Bellucci e dal Laboratorio di Analisi Politica dell'Università di Siena).

Se oggi, in Italia, risulta esplosivo è soprattutto perché la classe politica, per prima, predica l'antipolitica. E si presenta come uno specchio rotto (per riprendere la suggestiva metafora di Eugenio Scalfari), che, invece di riassumere la società, la frantuma ulteriormente. Ne restituisce una immagine deforme, invece che dignitosa. Perché, inoltre, ai media piace seguire, da vicino, il peggio della politica. Amplificare "l'indignazione popolare". Che "fa notizia". Alza gli ascolti. In questo Paese: c'è una parte della società, probabilmente maggioritaria, sicuramente molto ampia, che è migliore di chi la rappresenta e raffigura. Di chi la interpreta e la racconta. Così, noi che la interpretiamo e raccontiamo siamo destinati a sorprenderci. Sempre più spesso.

Perché la osserviamo attraverso la lente dei nostri pre-giudizi. In base ai quali distinguiamo l'antipolitica dalla politica. Separando, quasi, il bene dal male. Converrebbe, al proposito, usare un po' più di prudenza e di umiltà. Stiamo attraversando una fase di cambiamento delle democrazie rappresentative. La sfiducia, la protesta, gli stessi populismi. Lo sbriciolarsi della partecipazione politica in mille esperienze: collettive ma anche individuali. Le grandi mobilitazioni polemiche. Non sanciscono il rifiuto della democrazia.

Segnalano, invece, un insieme di pratiche attraverso le quali la società esercita poteri di correzione, controllo, pressione. I partiti, se vogliono continuare a esistere, se vogliono essere "utili", debbono tenerne conto. Aprirsi. "Rappresentarli". Al contrario di quanto è avvenuto negli ultimi anni, durante i quali si sono trasformati in oligarchie, rifugiandosi nelle istituzioni, per "difendersi" dalla società. La grande partecipazione alle primarie, per questo, costituisce un segnale molto importante.

Ma anche un allarme, che deve essere raccolto. Non possiamo immaginare, altrimenti, che la "rivoluzione di ottobre", come è stata definita da qualcuno, prosegua anche in novembre. E via di seguito. All'infinito. E non possiamo pensare a una società in "mobilitazione permanente", come avviene da troppo tempo.

Questo "surplus di politica", questa "iperpolitica" ci appare, infatti, l'altra faccia dell'antipolitica. Segni, entrambi, di una "domanda politica" frustrata. Se non dovesse trovare risposta, dopo tanti tentativi, allora è lecito attendersi l'esplosione. O l'implosione. Sicuramente la "delusione" e il distacco vero.
Per questo, dopo la bella "domenica delle primarie", ci sorprendiamo a sognare una democrazia diversa. Dove i cittadini non abbiano bisogno di scendere in piazza - né di votare - ogni mese, talora ogni fine settimana. Per contare. Dove ogni risultato elettorale non sia "sospettato" dall'avversario politico. "A prescindere", per citare Totò. Dove non sia necessario alzare la voce oppure urlare per farsi ascoltare. Dove si possa manifestare senza "fanculare" la classe politica. Dove la classe politica non debba essere "fanculata" per comportarsi in modo virtuoso ed equilibrato. Dove la politica costituisca "un" aspetto importante della vita. Uno, non il solo e neppure il più importante. Una democrazia normale. Magari po' più tiepida. Non soffocata dall'antipolitica. Ma neppure dalla "troppa politica".

(17 ottobre 2007)