PRIVILEGIA NE IRROGANTO              di Mauro Novelli                  Data inserimento  27-11-2006                  

                                               



 

 

RASSEGNA da CorrierEconomia del 27-11-2006

 

INDICE

Titoli incagliati? Perdite recuperabili. 1

Tasse. Chi vince e chi perde se entrambi i genitori lavorano. 1

Il bluff dei quattro milioni di imprenditori. 3

Strategie. La rivincita delle formiche d’Italia. 3

 

 

 

 

Titoli incagliati? Perdite recuperabili.

 Franco Serra - MILANO

N el mio portafoglio ci sono titoli di società fallite. Mi è stato detto che per fare emergere la minusvalenza potrei trasferire le azioni ad un altro dossier intestato in modo diverso perché, in base alla legge, si presume che sia avvenuta una cessione e la banca è obbligata, nell'ambito del regime del risparmio amministrato, a calcolare la minusvalenza tenendo conto del valore del titolo al trasferimento. La mia banca, però, sostiene che questa regola non si applica alle azioni, che sono titoli nominativi, per le quali sarebbe sempre necessario per l’istituto acquisire la documentazione della cessione a titolo oneroso e la prova del pagamento della tassa sui contratti di Borsa (fissato bollato). P ossiedo 1.300 azioni della vecchia Parmalat. So che non recupererò più i miei soldi. Però gradirei sapere, visto che sono ancora caricate sul deposito titoli, come fare a recuperare almeno la «minusvalenza titoli».
L a risposta della banca alla prima lettera non è corretta. La legge (articolo 6, comma 6 del Decreto legislativo n. 461/97) quando prevede che «si considera cessione a titolo oneroso» il trasferimento dei titoli ad un dossier intestato ad un'altra persona non fa alcuna distinzione tra titoli nominativi e titoli al portatore. Questa disposizione, quindi, si applica anche al trasferimento di azioni.
La banca, quando viene effettuato questo trasferimento, non deve verificare quale sia la causa per la quale avviene (è proprio questo che l'articolo 6 ha voluto evitare) ma, unicamente, prendere atto del fatto che tra due privati è avvenuta un’operazione che ha comportato un cambio di intestazione la quale, a fini fiscali, «per legge», deve essere considerata una cessione a titolo oneroso. E’ questa la procedura da seguire per recuperare le perdite: trasferire le azioni a un altro dossier titoli, ad esempio intestato alla moglie o al figlio.
Per la valorizzazione del titolo, se la banca non è in possesso di tutte le informazioni necessarie per applicare l'imposta, deve chiederle al correntista. Il ministero ha chiarito che a questo scopo basta una semplice dichiarazione non autenticata resa dal correntista sotto la propria responsabilità.
Per quanto riguarda il fissato bollato, inoltre, il fatto che le parti l'abbiano preparato oppure no non è affare della banca e, comunque, per importi fino a 206,58 euro (a questo prezzo l'azione di una società fallita sarebbe pagata fin troppo) il fissato bollato non è dovuto.

 

Tasse. Chi vince e chi perde se entrambi i genitori lavorano.

 La nuova Irpef? Gioca a coppie Gli sgravi dipendono dalle entrate totali del nucleo familiare. Che non deve superare i 55-60.000 euro.

L' Irpef è sempre più un'imposta a misura di famiglia. Anche se poi, alla resa dei conti, le famiglie non è che siano state così favorite. Gli sgravi ci sono, ma non sembrano tali da aumentare in modo significativo il loro potere d’acquisto. Ma perché l'Irpef è un'imposta sempre più a misura di famiglia? O meglio di coppia? Perché, per capire se nel 2007 si pagherà di più o di meno, non ci si può limitare al solito calcolo delle aliquote e delle detrazioni come eravamo abituati a fare finora. Bisogna, infatti, tener conto di una nuova variabile, quella degli assegni familiari. Che sono stati rivisti e aumentati per annullare, si spera, gli effetti perversi della nuova curva delle aliquote Irpef e delle detrazioni troppo leggere. Gli assegni dipendono, però, dal reddito complessivo, oltre che dalla composizione del nucleo familiare.
E così, per capire se si perde o si guadagna, bisogna guardare, almeno nelle coppie dove entrambi i partner lavorano, ai redditi complessivi. In pratica si devono contare tutte le entrate della famiglia. È quello che CorrierEconomia ha fatto con l'aiuto dell'Ufficio studi dell'Associazione artigiani Mestre. Le due tabelle rappresentano una sorta di termometro dell'Irpef e degli assegni familiari. Basta incrociare il proprio reddito con quello del coniuge. Se si ricade nella zona verde, il 2007 sarà un po' più sorridente. Se si cade nella fascia rossa, allora vuol dire che l’accoppiata nuova Irpef più assegni familiari si tradurrà in una perdita secca.
Le tabelle esaminano il caso di due coniugi con uno o due figli a carico, e indicano il minore o maggiore reddito disponibile nel 2007. Come si può vedere se in famiglia si supera quota 55-60.000 euro, l'anno prossimo si avrà un budget più magro. La perdita è tanto più alta, quanto è maggiore il reddito.
I massimi benefici si hanno quando le entrate complessive sono intorno a 30-35.000 euro. Ad esempio se un coniuge dichiara 20.000 euro, e l’altro 10.000, nel 2007 si avrà un maggiore reddito disponibile, con un figlio a carico, di 554 euro. Il vantaggio scende a 545 se l’altro partner ne guadagna 15.000, a 497 con 20.000 e a 111 se arriva a 35.000 euro.
Se uno dei coniugi guadagna 35.000 euro la famiglia avrà un maggiore reddito disponibile solo se l’altro non porta a casa più di 20.000 euro. Oltre questa soglia si va in rosso.
Che qualcosa non quadri nella nuova Irpef però risulta evidente confrontando le due tabelle. Come si può vedere avere un figlio in più in genere porta a maggiori benefici, ma la soglia reddituale dei vantaggi resta quasi invariata.
Ma vediamo, tra novità e conferme, come funzionerà la nuova Irpef.
Le aliquote
Confermate le cinque aliquote del provvedimento originario. Eccole: 23% per il primo scaglione fino a 15.000 euro, 27% da 15.001 a 28.000 euro, 38% da 28.001 a 55.000 euro, 41% da 55.001 a 75.000, 43% oltre 75.000.
Detrazioni
Non ci saranno più né la tax area (franchigia esente da Irpef), la family area (deduzioni per i familiari). Tornano le vecchie detrazioni con un meccanismo che le fa variare in base al reddito dichiarato in modo, peraltro, molto simile a quella dell’abolita no tax area. Le detrazioni variano per categoria di contribuenti, limitiamoci a quelle per i dipendenti.
Lo sconto è di 1.840 euro, con un minimo di 690, se il reddito non supera gli 8.000 euro. Tra 8.000 e 15.000 euro la detrazione scende gradatamente da 1.840 e 1.338 euro. Oltre i 15.000 euro il bonus è di 1.338 euro, ma decresce all'aumentare del reddito fermandosi a 55.000 euro. Per calcolare la detrazione spettante bisogna sottrarre dal valore fisso di 55.000 euro il proprio reddito complessivo e dividere il risultato per 40.000. Il coefficiente ottenuto, se superiore a zero, va applicato alla detrazione base considerando i primi quattro decimali. Esempio: dipendente che guadagna 30.000 euro. Al numeratore avremo 25.000 (cioè 55.000 meno 30.000) che diviso per 40.000 dà 0,625. Applicando questo coefficiente alla detrazione base di 1.338 avremo uno sconto effettivo, in termini di minore Irpef, di 836 euro.
Figli a carico
E’ stata corretta la versione originaria per venire incontro alle famiglie monoreddito e per agevolare i contribuenti con redditi medio-bassi. Sono stati leggermente aumentati gli importi delle detrazioni per il coniuge e per i figli. Contemporaneamente sono state introdotte numerose soglie di reddito per erogare maggiorazioni d’importo minimo, dai 10 ai 40 euro. I meccanismi di calcolo della detrazione sono diventati estremamente complicati. Il tutto rende pressoché impossibile ai profani un calcolo diretto dello sconto cui si ha diritto. Alla faccia della semplificazione fiscale.
Tra le novità positive ricordiamo che, ai fini della detrazione per i figli, non sarà più obbligatorio per i genitori rispettare la percentuale di suddivisione del 50%, come previsto nel testo originario della Finanziaria (oggi la suddivisione è libera). Il contribuente che ha il reddito più elevato potrà sfruttare interamente la detrazione evitando così che parte dello sconto possa andare perduta per incapienza del reddito dell'altro genitore.
Scoppola in vista per separati o divorziati. La detrazione per i figli spetterà, infatti, solo al genitore affidatario (50% a testa se l’affidamento è congiunto).

 

 

Il bluff dei quattro milioni di imprenditori.

Sono solo 200 mila le imprese con più di 10 dipendenti. Ma la Finanziaria pensa a loro?

Brambilla ha una crisi di identità. Sente parlare di piccole e medie imprese e di provvedimenti vari a loro favore. Guarda le tavole dell'Istat del 2004 e scopre che su circa 4.300.000 imprese (industria, costruzioni, servizi) più di 4 milioni sono imprese con meno di 10 addetti. Poco più di 200.000 sono le altre, cui appartiene l'impresa di Brambilla. Ma cosa sono questi 4 milioni di microimprese? Famiglie, praticamente. Negozi in cui lavora la famiglia, artigiani con un paio di apprendisti, qualche studio medico, d'avvocato, di commercialista. Anzi prevalentemente nuclei unifamiliari, perché 2.500.000 di questi 4 milioni sono imprese senza dipendenti, con solo l'imprenditore.
Ma è un imprenditore quello che dirige solo se stesso? Eppure in Italia non si fa che lodare la vivacità di un sistema economico che ha saputo produrre 4,3 milioni di imprese, dove si crea la vera innovazione e si fronteggia la minaccia cinese. Chissà chi avrà creato questa bufala nazionale che viene ripresa in tutte le sedi possibili, dalla radio, alla televisione, alla stampa?
Poiché chiaramente il sistema produttivo è fatto, in gran parte, di quelle 200.000 imprese dove sta anche la sua, Brambilla ha cercato di capire che cosa la legge finanziaria, così come è uscita dalla Camera il 19 novembre, riserva alla sua azienda.
Non è stata un'impresa facile, trattandosi dei 15 articoli iniziali e degli 826 commi dell'articolo 16, artificio ormai invalso per aggirare le votazioni articolo per articolo. Brambilla si è accorto di essere toccato da alcuni commi. A favore c'è una riduzione del cuneo fiscale, un credito di imposta sui costi della ricerca industriale, la deducibilità dell'80% dell'ammortamento o locazione di cellulari (ma così vanno all'80% anche i telefoni fissi, che erano al 100%), il Fondo per la competitività e lo sviluppo.
A sfavore gli oneri finanziari sul Tfr e la ricerca di fonti finanziarie sostitutive, una minor deducibilità per le auto aziendali (ancora in forse), qualche ritocco tariffario (autostrade). Sono però previste compensazioni per il Tfr (e tanto quei soldi dovevano comunque andare alla previdenza integrativa). E il resto è poca roba. Guardiamo allora i favori.
Il Fondo per la competitività e lo sviluppo è una cosa che non riguarda Brambilla. E' un'imitazione, in scala minore, del piano Beffa francese. Riguarda i cosiddetti settori di eccellenza, definiti però all'amatriciana: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali. Sembra il manuale delle giovani marmotte.
La differenza col piano Beffa è che in Francia ci mettono miliardi di euro e noi qualche centinaio di milioni. Lasciamo stare il «de minimis» dei cellulari. Restano due cose serie: la riduzione del cuneo fiscale per 5.000 euro a dipendente e il credito di imposta del 10/15% per le spese di ricerca industriale. Ma perché parlano così male della finanziaria?franco_morganti@libero.it

 

 

Strategie. La rivincita delle formiche d’Italia.

Bot e conti di deposito rendono poco meno dei Btp medio-lunghi. E sono più sicuri. L’appiattimento della curva dei tassi riporta alla ribalta strumenti finanziari considerati superati fino a non molto tempo fa.

Guadagnare di più e rischiare di meno. A prima vista sembra una regola degna del mondo magico della piccola Alice. Invece questo è il nuovo scenario che predomina sul mercato del reddito fisso. Perché il fenomeno dell’appiattimento della curva dei rendimenti (vedi articolo a pagina 17) ha restituito fascino e convenienza all’investimento meno sexy che si possa immaginare: quello in liquidità e in titoli a breve e brevissimo termine. Tanto più che il tasso di inflazione appare solidamente ancorato intorno ad un valore medio di circa il 2%. E il ritorno di fiamma dell’investimento in liquidità è destinato a ravvivarsi ulteriormente se andrà in porto il progetto di tassare i depositi al 20% (contro l’attuale 27%) e di alzare al 20% (dal 12,5%) l’aliquota sulle cedole dei titoli obbligazionari di nuova o vecchia emissione.
In ogni caso, anche semplicemente per effetto dell’annullamento del differenziale tra tassi a breve e tassi a lunga scadenza, la redditività dell’investimento a breve termine subisce un improvviso rilancio. Per quantificare concretamente questo nuovo scenario, CorrierEconomia ha chiesto alla società indipendente di analisi e consulenza all’investimento JC & Associati di elaborare una tabella che mostri il livello di rendimento comparato di 10mila euro collocati in depositi online oppure in titoli obbligazionari con scadenze diverse. Nella tabella sono illustrate entrambe le ipotesi di tassazione: quella attuale e quella che dovrebbe portare l’aliquota al 20% per entrambe le forme di investimento.
Per i conti di deposito online è stato considerato un rendimento indicativo del 3% lordo, anche se i prodotti (e i rendimenti) offerti dalle diverse banche online sono disomogenei e variano dal 3,35% di Webank al 2,75% di Santander. In ogni caso ad un tasso lordo del 3% (il 2,19%% netto) un investimento in liquidità di 10mila euro rende in un anno 219 euro netti, considerando appunto una tassazione degli interessi al 27% per cento. Un analogo collocamento in Bot annuali, con l’attuale tassazione al 12,5% offrirebbe un interesse di 319 euro, cento con un differenziale a favore dei Bot di 100 euro. Tale differenziale scenderebbe a 52 euro ipotizzando la nuova tassazione degli interessi al 20%.
«Detto questo, se si osserva il progredire del rendimento di un investimento in titoli di Stato a scadenza sempre più lunga si può constatare che l’aumento del guadagno per l’investitore è assolutamente trascurabile», sottolinea Jacopo Ceccatelli , amministratore delegato di JC & Associati.
Il maggior rendimento comparato (vedi tabella) di un investimento a 3 anni in rapporto alla liquidità è infatti di appena 102 euro. Che salgono a 110 per un investimento a cinque anni, a 128 a dieci anni, ma a 146 per un titolo trentennale. Tutti questi valori si riducono sensibilmente in presenza di un’ipotesi di tassazione al 20%.
«Di fronte a questi numeri risulta evidente che l’investimento in Bot a un anno, oppure in titoli a due o massimo tre anni è in assoluto la scelta più conveniente», nota Ceccatelli.
Al crescere della durata delle emissioni, infatti, aumenta anche il rischio di una variazione del prezzo del titolo sul mercato secondario. E la seconda tabella elaborata da JC & Associati mostra quanto incide il rischio tassi in termini di perdita percentuale di valore del titolo. Vale a dire quanto può costare un aumento inatteso dei tassi sulla quotazione dei Btp già emessi, in caso di vendita anticipata.
«Gli attuali prezzi di mercato delle obbligazioni incorporano già adesso un aumento dei tassi di interesse nei paesi di area euro dal 3,25% attuale al 3,75% della prossima primavera», spiega Ceccatelli. Tuttavia se un imprevisto aumento dell’inflazione, oppure uno choc economico oggi non incorporato nelle aspettative di mercato, dovesse far lievitare i tassi di interesse sull’euro di un ulteriore mezzo punto percentuale (fino ad un 4,25% ipotetico), le conseguenze per i corsi di Borsa delle obbligazioni a reddito fisso (esclusi i Cct) sarebbero pesanti. E andrebbero da un calo dell’1,33% sui Btp a 5 anni, al meno 3,54% sui decennali fino al - 8,48% di un Btp trentennale.
In pratica un investitore che volesse incassare 347 euro in un anno investendo ai tassi attuali 10 mila euro in un Btp decennale realizzerebbe un guadagno di 128 euro in più rispetto ad un investimento in liquidità. Ma, a fronte di un rischio di perdita in conto capitale - se i tassi dovessero salire di un ulteriore 0,50% - di ben 354 euro. Somma che corrisponde al -3,54% nel prezzo di un Btp decennale venduto prima della scadenza.
Ecco spiegato, conti alla mano, perché l’investimento in liquidità oppure in titoli che abbiano un orizzonte di vita residua non superiore ai tre anni è il più redditizio e al contempo il meno rischioso in questa fase di mercato.
L’unico apprezzabile differenziale di rendimento rispetto alla liquidità è offerto dall’obbligazione trentennale. Un titolo molto volatile e anche per questo motivo poco presente nei portafogli degli investitori privati. Con il suo 4,18% di remunerazione lorda, pari a un netto del 3,65% (aliquota al 12,5%), un investimento trentennale di 10mila euro frutterebbe in un anno 365 euro, ovvero 146 euro in più rispetto ad un conto di deposito online.
«Ma il maggior rendimento del trentennale incorpora un rischio Italia, più evidente su questa scadenza che su altre», conclude Ceccatelli. Non a caso, il trentennale tedesco, un rating tripla A a fronte della singola A? del debito italiano, rende il 3,81% lordo. Quasi 40 centesimi in meno rispetto all’emissione italiana.