Da www.aprileonline.info
14
maggio 2007
L'intervento Il testo completo
dell'intervento introduttivo di Occhetto
tenuto sabato scorso alla manifestazione del
Cantiere dal titolo
"Coprire un vuoto a sinistra"
Mi è capitato di dire,
alla vigilia dei congressi che si sono proposti di dare vita al partito
democratico, che gli uomini e le donne di sinistra stavano provando un
profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana che
sembrava di precipitare in un buco nero. In sostanza abbiamo temuto che in
quel buco nero potesse sparire la sinistra.
Ma quella sensazione, se in me non è ancora del tutto scomparsa,
perché ancora molte cose devono essere fatte e pensate, si è
notevolmente attenuata sabato scorso assieme a Mussi, a Angius
e a Giovanni Berlinguer al Palazzo dei congressi
dove quel vuoto si è come d'incanto riempito della passione e della
speranza di una nuova sinistra.
E' stato detto, per la verità non con molta eleganza, che chi era
lì non sarebbe andato da nessuna parte, e che chi non aderisce al
partito democratico vuole difendere la vecchia politica e impedisce al nuovo
di sorgere.
Peccato però che molti di quelli che si azzardano in simili affermazioni
sono stati e sono i più autentici rappresentanti della vecchia
politica.
Lo sono stati quando si trattava di cambiare il
sistema politico italiano, lo sono stati dinnanzi alla prospettiva del
bipolarismo e ai referendum sulla caccia e sul nucleare e su tante altre
cose.
E devo anche dire che ogni volta che si doveva fare qualcosa di nuovo, a
torto o a ragione, il primo che vedevo accanto a me era sempre Fabio Mussi.
Lo ricordo solo per sbarazzare il terreno dalla falsa caricatura che intende
contrapporre il nuovo al vecchio.
No, non è di questo che oggi si tratta: il problema è se debba
o no continuare ad esistere una sinistra.
Questa mia affermazione, come è del tutto evidente, non nasce da una
sorta di nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra.
E ricordo anche bene che molti di coloro che oggi accusano
Mussi di essere per la vecchia politica fecero le barricate contro gli
"esterni", guardarono in cagnesco ogni ipotesi di riforma del modo
di essere dei partiti, si presentarono come i paladini dei vecchi apparati,
condannarono come una infamia l'ipotesi di partiti meno dipendenti da
finanziamenti discutibili.
Per non parlare dei lazzi verso l'ipotesi di una grande coalizione, una sorta
di Carovana nella quale ogni convoglio mantenesse la propria identità
di partenza, ma che fosse ispirata dalla identica tensione ideale e morale
verso la nuova frontiera di una politica profondamente rinnovata.
Il "Grande Ulivo" del 1996 incominciò ad incarnare questa
idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra
fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad un effettiva esperienza unitaria di base. Quella
esperienza avrebbe dovuto, senza forzature burocratiche dall'alto, preparare
il terreno di coltura di una fecondazione unitaria da realizzarsi nel vivo di
una comune esperienza di vita politica e sociale.
Purtroppo quell'idea, come sapete, è stata sacrificata sull'altare
della vecchia politica. Ebbene di fronte allo scempio fatto proprio dai
rappresentanti della vecchia politica, si poteva rimanere fermi? Bisognava di
qui all'eternità mantenere gli stessi partiti e partitini?
Certamente no.
Non c'era dubbio pertanto che occorresse riprendere, in qualche modo, la via
della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi
di cui abbiamo tante volte parlato.
Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la
formazione del Pd.
La mia risposta è: i processi di unificazione dovrebbero essere
avviati in un modo totalmente opposto da quello tentato dal Pd.
A mio avviso occorre prendere le mosse da un confronto culturale e
programmatico aperto, in partenza, all'insieme del popolo di centrosinistra.
Nel caso del Pd la scelta non è stata
questa; la società civile, nelle sue differenti espressioni, non
è stata chiamata a raccolta, e tutta l'operazione politica si è
ridotta all'incontro di due apparati molto ristretti, quello dei Ds e quello
della Margherita.
Mi sembra che ce ne sia abbastanza per affermare che
si sta lasciando nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di
una sinistra moderna, capace di reinventare il
senso di una attuale ispirazione socialista e democratica.
Per questo è ormai compito ideale e morale di molti di noi di
impegnarsi perché la sinistra in quanto tale non sparisca
dal panorama politico italiano.
Coprire un vuoto abbiamo detto. Ma come?
Questo è quello che vogliamo discutere qui oggi in modo aperto, e
vogliamo farlo tra compagni della sinistra che vengono da percorsi e tragitti
diversi, che in alcuni momenti si sono fieramente combattuti, ma che nutrono
la sensazione che oggi si possa riprendere un cammino interrotto.
Molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi ci muoviamo tutti oltre
l'ottantanove, stiamo tutti cercando la strada che porta verso una nuova
sinistra plurale, laica, moderna e unitaria. Le divisioni del passato si sono
scolorite, e, soprattutto per i giovani, non hanno più senso.
Ciò che invece ha ancora un senso è l'individuazione dei
fondamenti ideali di una identità alternativa
all'attuale modo di essere della politica e all'attuale modello di sviluppo.
Questa precisazione è di fondamentale importanza perché noi, a
differenza di quanto è avvenuto per il Pd,
non possiamo accontentarci di mettere insieme alcuni apparati all'interno
dell'attuale modo di essere della politica.
Al contrario dobbiamo dare voce al grido di dolore che sale da tutta la
penisola contro il degrado della politica.
Abbiamo davanti a noi dei dati impressionanti che ci dicono che il 65% dei
cittadini italiani non crede più alla politica.
Per questo la riforma della politica e la stessa questione morale rimangono
obiettivi centrali del nostro percorso.
Così come centrale, nella nostra visione della politica, rimane il
laicismo, che, lo vogliamo ricordare ad alcuni cattivi maestri, non va
confuso con il vecchio anticlericalismo, che non ci appartiene.
E lo vogliamo ricordare proprio oggi, in un giorno che con il pretesto della
difesa della famiglia si rischia di calpestare, per
le vie di Roma, non già i sampietrini, ma l'articolo 20 della
Costituzione, di quella costituzione fatta da laici e cattolici usciti dalla
Resistenza, di quella costituzione che tutti noi vogliamo continuare a
difendere anche attraverso la richiesta dei 2/3 per la sua modifica.
Ciò che invece va subito gettata al macero è quella
costituzione materiale che ha buttato la politica in un pantano, da cui
occorre risollevarsi anche attraverso la riforma dei partiti, la diminuzione
dei costi della politica, e la realizzazione dell'art. 49 della costituzione.
Ciò richiede la costituente di una nuova formazione politica. Il
problema non è il se dar vita a una nuova formazione politica, ma il
perché, il per che cosa e il come .
Il perché ce lo dice lo stesso Touraine
- in un suo recente scritto - quando afferma che è ancora sensato
parlare contro il capitalismo e che l'opinione pubblica si aspetta dai
dirigenti che mettano dei limiti all'onnipotenza dei mercati e delle imprese
e chiede una "sterzata a sinistra". Mettendo, di nuovo, al centro
il lavoro.
Nel per che cosa si colloca a pieno titolo non
già la negazione, ma la ridefinizione
dell'obiettivo socialista, a partire dalla ridefinizione
del rapporto tra libertà ed eguaglianza.
La separazione tra libertà ed eguaglianza è alla radice di
tutti gli errori e orrori della sinistra: ha costituito il dramma del secolo
breve.
Il socialismo del nuovo millennio dovrebbe porsi l'obiettivo di passare dalla
libertà dei pochi alla libertà di
tutti.
Qui sta la vera vitalità dell'idea socialista, che non è
riducibile allo statalismo, ma al contrario si richiama ad un´ esigenza
insopprimibile di socializzazione. I programmi di socializzazione
possono essere vari e differenti, ma tutti devono avere come obbiettivi il
superamento di ogni forma di oppressione dell'uomo
sull'uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull'altra, del sesso
maschile su quello femminile, delle nazioni ricche su quelle povere,
dell'uomo sulla natura.
Ma ci sono anche la fine dell'alienazione, il pacifismo senza se e senza ma,
contro le cosiddette guerre giuste e le guerre
cosiddette sante, il superamento del divario tra governati e governanti, e la
fine di ogni forma di esclusione dal sapere e dalla cultura. E sopra ogni
cosa dall'informazione, trasformando alle radici questo orribile apparato
della moderna dittatura di massa.
Tuttavia anche nella definizione di questi che sono valori preliminari per
avviare un processo di effettiva liberazione umana - che è cosa ben
diversa dal liberismo, anche quello cosiddetto riformista - occorre avere ben
chiaro che non si può affidare alla destra il compito
dell'accumulazione e alla sinistra quello della redistribuzione.
La sinistra non può limitare il suo messaggio al campo della
distribuzione della ricchezza all'interno di un
modello di sviluppo invariato. Il problema del mutamento del modello di sviluppo rimane una questione capitale.
La sinistra del terzo millennio non può esimersi dal tentare
l'impresa, sicuramente titanica, di definire, sia pure gradualisticamente
e per approssimazioni successive, le linee di un nuovo modello di sviluppo,
di un modo diverso di produrre e di consumare, a partire dal problema
energetico, e nel contesto di una democrazia planetaria che si proponga di affrontare in modo radicale le grandi sfide
della lotta al sottosviluppo e della difesa del pianeta dalla catastrofe
ecologica.
Il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo.
Rimane, tuttavia, il problema del come.
Nessuno di noi si nasconde la difficoltà dell'impresa.
Occorre sicuramente una profonda rivoluzione culturale, ma che non sia un modo per rinviare: che al contrario deve
incominciare subito e dal basso, coinvolgendo direttamente i cittadini, i
movimenti le associazioni, le personalità della cultura.
Per questo abbiamo partecipato con commozione allo straordinario evento di
sabato scorso con il quale si è dato vita al movimento della sinistra
democratica, un movimento aperto che si pone
l'obiettivo dell'unificazione della sinistra.
E dico subito che noi del Cantiere intendiamo essere parte attiva di questo
movimento.
Con quale obiettivo?
Quello di dar vita a qualcosa di nuovo, attraverso una effettiva
ricerca aperta, scevra da vincoli e pregiudiziali rispetto alle appartenenze
del passato.
Infatti mi sembra che oggi non sia molto utile
scegliere tra una federazione di comunisti e una federazione di socialisti,
se per davvero vogliamo muoverci nella direzione della costruzione di una
inedita sinistra democratica.
Per questo ritengo che tutti dovrebbero fare uno sforzo per uscire dal
proprio guscio.
Personalmente penso che la nuova
sinistra debba muoversi nell'alveo storico del socialismo europeo, con
l'obiettivo di un suo rinnovamento nella direzione di un avvicinamento tra
tutte le sinistre europee.
Vedo bene che a questo proposito esistono ancora dei problemi, che tuttavia
vanno risolti su due terreni diversi: quello immediatamente politico,
attraverso immediati atti di unificazione che ci permettano da subito di
affiancare la novità del partito democratico con una ancora più
forte novità a sinistra, capace di dare una speranza a quel partito
virtuale che oggi è senza rappresentanza; e quello di una ricerca e di
un dibattito di più ampio respiro sulle questioni di fondo - sui
fondamentali - sui quali dovrà basarsi la nuova sinistra unita.
Mentre sul primo terreno saranno molto importanti le scelte politiche e
parlamentari dei gruppi politici già
organizzati, sul secondo terreno occorrerà allargare l'orizzonte di
partecipazione alla società civile, ai movimenti, alle competenze e
alle personalità della cultura.
E qui arriviamo al come, a quel come che anche metodologicamente ci
differenzia dal processo avviato nella formazione del Pd.
Un processo curioso, se si può leggere, in una intervista
di Bersani, -badate bene, dopo che i due congressi hanno approvato un documento
fondativo, per la verità molto effimero -,
che sarebbe importante prima del congresso di fondazione del Pd, dalla data ballerina, "avere una discussione su
valori e programma fondamentale", e che prima di parlare del leader
"occorre definire il profilo del Pd,
tratteggiare un tratto del suo volto".
Come si vede si tratta di una confessione clamorosa, dell'espressione di una
sincera inquietudine, che tuttavia conferma tutti i nostri dubbi e sospetti;
ma si tratta anche di un monito per il nostro stesso futuro.
E il monito è questo: occorre partire prima dai contenuti che dal
contenitore.
Il come richiama, dunque, l'esigenza - ecco la proposta - di una vera
costituente delle idee, presieduta da un comitato di saggi che siano
espressione dei grandi filoni riformatori, aperta alla società civile
e ai movimenti e che trascenda - senza annullarli -
gli attuali apparati partitici.
Questa costituente dovrebbe aprire in tutto il paese, attorno ad alcuni
nuclei programmatici fondamentali, un confronto reale, un processo di
avvicinamento e di reciproca comprensione, una effettiva
unificazione delle idee capace anche di prevedere i fisiologici elementi di
diversità, legati alle differenti radici politiche, culturali e
religiose.
Solo così si può dar vita ad una sinistra plurale, moderna e
democratica.
Per questo vi invito a non chiudere nel passato il discorso che si deve
ancora aprire.
La stessa sconfitta di Segolene Royal
sta a dimostrare che la sinistra deve reinventarsi,
ma non, come pretendono alcuni, sovrapponendo in coppa a una casta politica
di sinistra, chiusa e per nulla nuova, lo zucchero a velo dei moderati.
La Francia ci dice ancora una volta che il vero
segreto è quello di sapere parlare al centro democratico senza perdere
la sinistra, e non mi sembra, me lo permetta Prodi, che questo segreto sia
stato scoperto dal Pd.
Oggi, se guardiamo al passato, ci serve, al governo, molto di più di
tante chiacchiere vuote sulla modernità, la lezione di un riformismo
forte, come quello che fu di Riccardo Lombardi.
Ed allora dico: se il partito democratico fosse stato per davvero il partito
di tutto l'Ulivo, in quel caso la sinistra avrebbe trovato il proprio posto
al suo interno.
Ma così come sono andate
le cose occorre, paradossalmente per il bene degli stessi moderati del Pd, se vogliono tornare al governo, dare voce e
rappresentanza a milioni di cittadini che potrebbero rifugiarsi nell'apatia e
persino nell'astensione.
E così perderemmo tutti assieme, appassionatamente, le prossime
elezioni: altro che dichiaraci più avanti della sinistra francese!
Cerchiamo dunque, tutti assieme, di uscire dal falso dilemma tra sinistre identitarie, ciascuna avvolta nella propria bandiera, e
sinistra tecnocratica. Tra sinistra di governo e sinistra
radicale. La sinistra è di governo se sa portare al governo
non una casta separata ma i cittadini, il proprio popolo.
Sta al governo solo se sa stare nel paese; ed
è democratica solo se ricerca le nuove vie di scorrimento tra partiti
e movimenti, tra rappresentanza e partecipazione.
Siamo riuniti qui, in questa sala, comunisti, socialisti, ambientalisti,
laici e cattolici, che non intendono dimenticare le loro radici, ma vogliono,
questo sì, essere qualcosa di nuovo con un cuore antico. Vogliono
essere sinistra. E lo vogliono soprattutto per i più giovani.
Guardate alle beghe che già dividono il nascituro Pd!
Lasciano nel paese un grande spazio vuoto. Ma questo non basta.
Bisogna coltivarlo, questo spazio, fargli crescere dentro una nuova speranza;
bisogna sapere piantare, nella diversità, il seme dell'unità.
Se non sapremo fare questo crescerà solo l'erbaccia del disincanto e
della disillusione, verso tutti, moderati o radicali che siano, verso la
politica, verso la democrazia.
Ma allora avrà per davvero vinto la destra; dobbiamo impedirlo,
facendo rivivere la sinistra!
|