Dal Corriere della Sera 11 febbraio 2007 Foibe. Silenzio generalizzato di
Claudio Magris
Le parole del presidente Napolitano potrebbero —
dovrebbero, in un Paese civilmente maturo — chiudere e insieme aprire una stagione etico- politica, instaurare definitivamente
una nuova coscienza nazionale comune.
Ogni parte politica tende non solo a nascondere i
crimini compiuti in suo nome o comunque collegati con la sua ideologia, ma
anche a rimuoverli, a ignorarli veramente, in un'orrida buona fede che
è il risultato di un assiduo auto-ottundimento morale. È accaduto
con le foibe e con tante altre tragedie e delittuose violenze alle frontiere
orientali d'Italia; è accaduto con i crimini commessi dagli italiani
contro gli slavi, anch'essi rimossi e cancellati, e l'elenco potrebbe
continuare ed estendersi ad altri Stati, nazioni, forze politiche dei
più vari Paesi di ieri e di oggi.
Sulle foibe, tanta sinistra — comunista e non solo comunista — ha taciuto. Le
ha ignorate e ha contribuito a farle ignorare, senza
ascoltare le voci — umanamente forti, ma politicamente esigue — di quella
sinistra democratica, patriottica e dunque antinazionalista, che ne dava
testimonianza. Tante ragioni possono spiegare questo oltraggioso silenzio e
oblio, nessuna può giustificarlo, così come nessuna violenza
compiuta su innocenti giustifica la ritorsione di violenze su altri
innocenti. Questo vale per tutti, individui, popoli, partiti e gruppi di
potere.
All'ammenda della sinistra comunista, doverosa e oggi così altamente e
definitivamente proclamata, dovrebbe ora aggiungersi quella degli altri che
hanno taciuto sulle foibe. Negli anni Cinquanta e Sessanta, quando le foibe
erano generalmente ignote agli italiani, l'Italia non era un Paese comunista,
ma era governata politicamente e socialmente dai moderati. I
grandi giornali erano di parte moderata; lo erano in grande prevalenza le
importanti case editrici (Mondadori, Bompiani, Rizzoli, Garzanti,
per citarne solo alcune); né i governi centristi né quelli di centrosinistra
erano comunisti. Perché allora tutti hanno taciuto, ignorato? Perché
se ne sono infischiati di quei morti delle foibe, come di tanti altri? Forse
anche per crassa ignoranza, inqualificabile in classi dirigenti politiche e
intellettuali. Ma forse soprattutto perché quell'argomento, allora, non
serviva; quei morti assassinati non potevano venire
usati — blasfemamente — come un'arma politica.
Aricordarli erano, inascoltati, pochi democratici e
soprattutto partiti e gruppi di estrema destra, che li ricordavano in modo
sbagliato, regressivo e oggettivamente profanatorio, per riattizzare quegli odii nazionalisti antislavi che erano stati in parte
all'origine della storia conclusasi con quei crimini. Il sangue dei vinti,
allora, non interessava nessuno, tranne i vinti che avevano versato il
proprio, o chi, ossessionato da un dolore subito, avrebbe voluto versare
quello di qualche altro, magari estraneo a quei delitti, perpetuando
così la catena di violenza e vendetta.
Il presidente rappresenta tutti
gli italiani. Ora speriamo dunque si possano finalmente ricordare quelle
vittime — e tutte le altre, di ogni parte — senza reticenze e senza
strumentalizzazioni; senza quell'orribile calcolo dei morti cui abbiamo
assistito negli ultimi anni, stropicciandoci le mani per la soddisfazione di
constatare talvolta che i nostri cari vilmente colpiti da mano nemica erano
un po' più numerosi dei cari dei nostri nemici vilmente colpiti dalla nostra mano. Una pagina, speriamo, si chiude; col ricordo
sempre vivo delle vittime e l'esecrazione sempre viva dei carnefici, d'ogni
parte, ma senza la tentazione di servircene oggi per interessi di parte.
Claudio Magris
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