Inserito l’11-1-2007
Da La Stampa 10-1-2007
MERKEL: "VOGLIO UN'EUROPA
CONCRETA CHE TUTTA LA GENTE POSSA CAPIRE" DI FRANCESCA SFORZA
Si può
avere una visione dell'Europa senza essere dei visionari? La risposta di Angela Merkel,
cancelliere tedesco e alla guida del prossimo semestre di presidenza dell'Unione, è un «sì» senza cedimenti. E alle
reali difficoltà di dar vita a un trattato costituzionale e a
un'autentica unione politica, Angela Merkel oppone un
vivace ottimismo e un pragmatismo a tratti intransigente. «Bisogna spiegare
l'Europa agli europei, e mostrare quanto ne hanno da guadagnare», dice nel
corso di una lunga intervista alla «Stampa».
Frau Bundeskanzlerin,
la presidenza tedesca si apre in una fase in cui le divergenze tra gli Stati
membri sono profonde e gli orientamenti in tema di politica estera molto
distanti tra loro. Crede che sarà possibile riuscire ad arrivare a una
Costituzione condivisa in queste condizioni?
«Innanzitutto vorrei ricordare che tutti gli Stati membri hanno già
votato una volta al Consiglio l'attuale Trattato costituzionale, e poi che non
riesco a immaginare un Trattato che escluda alcuni Paesi. In questa
Costituzione si tratta di capire se abbiamo bisogno di un ministro degli Esteri comune, se vogliamo in futuro votare a una sola
voce questioni di politica interna e di giustizia e infine scegliere quali
decisioni vanno attuate tramite il voto di maggioranza. Non è
assolutamente immaginabile affrontare queste questioni senza la Gran Bretagna o
altri Stati membri, il compito più importante consiste dunque nel
convincere tutti della necessità di andare avanti con il Trattato».
Cosa deve esserci di irrinunciabile
nel Trattato costituzionale?
«E' ovvio che la difficoltà è proprio questa, ma ci tengo a
precisare che la presidenza tedesca non pensa di risolvere il problema in modo
definitivo. Durante la presidenza austriaca, quasi un anno fa, abbiamo deciso
che tra giugno del 2007 e giugno del 2008 - dunque in
coincidenza con la presidenza francese - avremmo risolto il problema del
Trattato costituzionale. All'epoca noi tedeschi abbiamo ricevuto l'incarico di
avviare consultazioni per la formulazione di una Road Map
da presentare al vertice del prossimo giugno, in modo che i cittadini europei possano esprimere, al prossimo voto europeo del 2009 le loro
preferenze in un'Unione capace di agire. E a quei Paesi come la Gran Bretagna
che si pronunciano a favore dell'allargamento dico una cosa molto semplice: una Ue a 27 membri è
diversa da una a 15. Chi vuole un'Europa allargata deve avere anche interesse a
che i meccanismi decisionali funzionino».
Come vuole procedere nella
definizione della Road Map europea?
«Partiremo da ciò che è sul tavolo, e continueremo le
consultazioni inaugurate dalla presidenza finlandese. Dopo aver raccolto le
difficoltà e le obiezioni dei singoli Stati membri, vedremo che cosa
sarà praticabile. Ma ci tengo a ribadire che 18 dei 27 Paesi hanno
già ratificato la Costituzione e altri tre-quattro
sono pronti a farlo. Questo significa che non dobbiamo trascurare l'evidenza per cui un gran numero di Stati membri approva l'attuale
Trattato costituzionale. Dopo la fase di riflessione successiva alla bocciatura
della Costituzione in Francia e in Olanda, è la prima volta che si
affronta di nuovo il rilancio del processo costituente e sarebbe sbagliato, a
questo punto, assumere un approccio minimalista. Credo però anche che
sia altrettanto sbagliato discutere adesso pubblicamente quali elementi ci
devono essere e quali no, perché esiste il rischio che alcuni si irrigidiscano
impedendo così il successo dell'impresa».
Nel caso di un fallimento del
progetto costituente, crede che si dovrà pensare a un'Europa a due
velocità?
«A questa domanda voglio rispondere no, e non lasciare spazio al pessimismo.
Farò di tutto perché il processo non fallisca. L'Europa a due
velocità può andare bene in alcuni casi particolari, pensiamo per
esempio ai Paesi dell'eurogruppo, ma in molte altre
questioni non è affatto praticabile. Un europarlamentare
italiano o inglese, ad esempio, non può votare un determinato progetto
politico senza che il suo Paese vi abbia partecipato.
Il Parlamento europeo ha già guadagnato in peso politico, dunque lo
sviluppo necessario dell'Europa deve fare in modo che colui che emetta le direttive, un quasi-legislatore,
sia una figura appoggiata dall'intera Unione Europea».
Il candidato francese Nicolas Sarkozy parla di un "Mini-Trattato", che gli
permetta di far passare la Costituzione in Parlamento senza sottoporlo
nuovamente a referendum. Una sorta di divisione in due: da una parte il
nocciolo duro, che contenga gli accordi su come si può governare meglio
l'Ue, e dall'altra il catalogo dei diritti
fondamentali, che ha incontrato forti resistenze non soltanto in Francia. Cosa
ne pensa?
«Vorrei ricordare che il catalogo è stato definito da una Convenzione
presieduta dall'ex presidente tedesco Roman Herzog, e anche questo è stato approvato da tutti
gli Stati membri al Consiglio. Ciò detto, le consultazioni con i vari
Paesi non sono ancora iniziate: ascolto con interesse le diverse posizioni, ma
al momento preferisco non commentarle».
Spera che i francesi e gli
olandesi cambieranno idea dopo i referendum che bocciarono il Trattato?
«Anche loro vogliono un'Europa più capace di agire! Certo, prendiamo
atto che il referendum è fallito, ma questo non significa che non si possa più parlare di Costituzione. Non è la
prima volta che questo succede nella storia europea, e l'Europa ha sempre
trovato una strada».
Recenti sondaggi condotti nei
diversi Paesi Ue - Germania in testa - mostrano il
persistere di un diffuso sentimento antieuropeo. Cosa farà in questi sei
mesi per fronteggiarlo?
«Questo è un punto chiave: i cittadini non capiscono che cosa
l'Europa abbia a che fare con la loro vita quotidiana. Noi siamo convinti che
la giusta risposta sia offrire proposte concrete, come ad esempio la
concorrenza sui temi della politica energetica. Prendiamo il caso del gasdotto
che trasporterà il gas dalla Russia alla Germania:
non è un progetto contro la Polonia, mostra piuttosto la
necessità di organizzare una concorrenza sul mercato energetico
all'interno dell'Unione. La stessa cosa accade con le linee ferroviarie transeuropee, e con altri progetti comuni. Concentriamoci
sull'essenziale: i nostri interessi economici nel mondo, la protezione dei
diritti di autore, l'accesso alla Cina e all'India, la
soluzione dei conflitti internazionali. Queste sono le risposte ai sentimenti
antieuropei».
Meno romanticismi su storia e
tradizioni comuni e maggiore pragmatismo?
«Dove comincia il pragmatismo, dove finisce il
romanticismo? L'uomo è già di per sé un essere pratico. L'Europa
ha una storia di pace cominciata con il carbone e l'acciaio, e quello che
allora erano il carbone e l'acciaio sono oggi le nostre capacità di
ricerca scientifica, la protezione della proprietà intellettuale.
D'altra parte l'Europa ha bisogno di politici che guardino
oltre il proprio naso, perché la storia europea mostra che i propri interessi
possono essere meglio rappresentati se si hanno presenti anche gli interessi
degli altri».
Proprio nel caso della
politica energetica però, l'impressione è che ognuno voglia
giocare con la Russia una partita bilaterale. Come è possibile oggi una
politica energetica comune?
«Credo che all'inizio ognuno abbia in effetti pensato
solo ai propri interessi particolari, ma oggi sperimentiamo la necessità
di una protezione che può essere raggiunta solo se si lavora insieme. Sarebbe
positivo ad esempio adottare una posizione comune nei confronti della Russia.
L'energia ha oggi lo stesso peso che avevano in passato carbone e acciaio, e le
persone considerano le risorse energetiche un pezzo di società
industriale, di bandiera nazionale, un po' come le Poste o le Ferrovie. Ma le
cose sono cambiate: oggi si ricevono pacchi postali dal servizio Ups, non solo più dal servizio
nazionale, l'alta velocità francese arriverà in Germania e
l'Intercity in Francia. L'acquisto in Spagna di Endesa
da parte di E.On e altre operazioni analoghe sono i
nuovi passi che abbiamo compiuto. Può essere più facile per
alcuni Paesi, più difficile per altri, ma non ci sono alternative.
Quando ho cominciato a fare politica dopo il crollo del Muro, la discussione
era: si può cooperare in politica interna, tra le varie polizie? Oggi
contro il terrorismo internazionale la cooperazione è molto rafforzata.
Per un tedesco era inimmaginabile avere così tanta fiducia negli accordi
di Schengen come ne abbiamo
oggi. Ma ci attendono passi ulteriori: adesso dobbiamo aver fiducia che la Polonia protegga i confini europei con l'Ucraina.
Quindici anni fa nessuno l'avrebbe neanche sognato».
Quali compiti concreti si
prefigge la presidenza tedesca nel rapporto con la Russia?
«Per prima cosa con la Russia dobbiamo affrontare una serie di questioni
riguardanti la Polonia, e sarà un dossier
impegnativo, tanto che se non si arriverà a una soluzione con la
mediazione della Commissione europea e della nostra presidenza, non ci sarà
un nuovo accordo di cooperazione con la Russia. Poi ci sono da definire i
parametri di Kyoto fino al 2012, e come Germania
vedremo cosa si può fare in sede di G8, di cui abbiamo la presidenza.
Andremo ai colloqui con Usa, Russia e Giappone con un mandato europeo, e non
è una cosa di poco conto».
Blair se ne va, Chirac
anche, quanto incideranno i nuovi equilibri sul lavoro comune?
«I governi passano, non è una novità per l'Europa,
soprattutto in un'Europa a 27 membri. Prendiamo il caso tedesco: il cancelliere
Schroeder, negli ultimi giorni del suo mandato, ha
approvato che si andasse avanti con le trattative per l'ingresso della Turchia
in Europa. Noi abbiamo sempre detto: ciò che il governo precedente ha
definito in campo europeo, lo porteremo avanti. Questa regola vale anche in
altri Paesi europei, l'Europa vive di questo, e io vi ripongo molta fiducia».
Nel suo ultimo viaggio negli
Stati Uniti ha lanciato l'idea di una "Nato economica",
di uno spazio economico comune tra Usa e Ue: è
un modo per contrastare l'irruenza dei mercati asiatici, per rafforzare il
ruolo dell'Europa nell'era della globalizzazione? Ha pensato al rischio che
l'Europa, al contrario, possa uscirne indebolita?
«Ci sono state false interpretazioni. Quando ho parlato
di uno spazio comune con gli Stati Uniti non intendevo nulla che avesse a che
fare con il commercio mondiale, o con Doha, che
è un'istituzione necessaria per l'Europa come zona di esportazione. Per
quanto riguarda uno spazio economico comune con gli Usa, più noi europei
siamo convinti nel presentare le nostre idee su norme e regole, tanto
più aumentano le possibilità di realizzazione. Credo in sostanza
che con gli Stati Uniti ci sia bisogno di una maggiore armonizzazione in fatto
di regole, per ridurre i costi in un regime di interscambio molto intenso.
Pensiamo soltanto alle norme per la quotazione in Borsa, o a quanto si
risparmierebbe se i sistemi di brevettazione
funzionassero in modo simile. E poi ci sono alcune cose, in cui agire da soli
è privo di senso: uno dei nostri punti in agenda per il G8, ad esempio,
sarà sulle norme di trasparenza per gli hedge funds, che se applicate soltanto in Europa, e non anche
negli Usa, non avrebbero nessuna efficacia».
Quali possibilità di
realizzazione intravede per questa alleanza economica con gli Stati Uniti?
«Vale la pena ricordare che non è la prima volta che si affronta
l'idea di un progetto di questo genere con gli Stati Uniti. La presidenza
austriaca l'ha già tematizzato durante il vertice Usa-Ue
che cadeva sotto il suo semestre. Inoltre esiste una risoluzione del dicembre
2006 del Senato americano in cui si promuove uno spazio economico
transatlantico e si delinea un primo schizzo per un'armonizzazione di alcune
norme e regole entro il 2015. Insieme al presidente Bush
abbiamo deciso, in un'ottica di preparazione del prossimo vertice Usa-Ue, di installare un gruppo di lavoro che
svilupperà le prime idee. Mi sembra che ci siano dunque ottime basi per
intese future».
C'è stato un
avvicinamento con l'America sulla difficile situazione in Medio Oriente?
«Il presidente Bush si è trovato d'accordo
con noi sul fatto che il Quartetto debba riconquistare un ruolo di primo piano.
Il Quartetto, come si sa, si è paralizzato di fronte agli sviluppi
dell'ultimo periodo, ma rimane la possibilità istituzionale più
efficace per coordinare gli sforzi internazionali nella regione. Abbiamo
concordato che Condoleezza Rice,
in un viaggio alla fine di questa settimana, indagherà se ci sono le
condizioni per una nuova riunione del Quartetto, perché non possiamo
intervenire come mediatori se i protagonisti della regione non mostrano una
chiara volontà di porre fine ai conflitti. Non credo, ad esempio, che
fare pressioni sul primo ministro israeliano Olmert
possa produrre risultati. Le pressioni sono a mio avviso uno strumento
sbagliato: in politica si tratta di interessi e di mediazione fra questi interessi. La Germania capisce
molto da vicino gli interessi israeliani, li sostiene, ma allo stesso tempo
appoggia l'esigenza dei palestinesi di avere un proprio Stato. E dunque
lavoriamo per la soluzione dei due Stati».
Cosa ne pensa dell'iniziativa
italiana alle Nazioni Unite contro la pena di morte?
«In Europa siamo generalmente contro la pena di morte, ma per quanto
riguarda questa iniziativa concreta voglio parlarne direttamente con Romano
Prodi, per capire di cosa si tratta esattamente».
In Italia si guarda con
curiosità al sistema politico della grande coalizione. Garantisce
stabilità o immobilizza il processo decisionale?
«Non posso parlare per altri Paesi, ma per la Germania
dico senz'altro che la nostra coalizione è stabile, molto stabile».