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Documento d’interesse   Inserito il 12-5-2009


 

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DOSSIER “I costi della politica”

 

 

 

Il Corriere della Sera 12-5-2009

Sotto l’Etna il 23,9% degli inquilini non avrebbe i titoli per ottenere un alloggio

Le case popolari dei conti in rosso Catania riscuote solo un affitto su dieci

Buco record di quasi 8 milioni di euro. Ma scatta la corsa a cento poltrone

 

Di Sergio Rizzo

 

ROMA — La notizia è dentro una ricer­ca fatta dal Censis e Federcasa con Dexia Crediop: alle case popolari di Catania chi paga l’affitto è una mosca bianca. La moro­sità aveva raggiunto nel 2006 il 92,5%. Su 8 milioni 617.680 euro di canoni lo Iacp del capoluogo etneo ne aveva incassati in un anno intero 644.376. Una miseria. So­prattutto considerando il costo medio del­­laffitto: 67 euro al mese. Una situazione oltre i limiti dell’incredi­bile, che non si spiega soltanto con l’abusi­vismo dilagante, ai livelli più alti d’Italia. Su 10.003 alloggi popolari, a Catania ce ne sono 2.386 occupati abusivamente. È il 23,9% del totale. Un record nazionale bat­tuto soltanto da Palermo, dove le case po­polari occupate da inquilini senza titolo per starci sono circa 3.000, ossia il 27,3% del totale.

LA SCHEDA: guarda la situazione in tutta Italia

Di fronte a questo stato di cose sarebbe logico aspettarsi che qualcuno si rimboc­casse le maniche. E non che invece, come sta accadendo in Sicilia, si discutesse di poltrone. Cento, per l’esattezza. Il caso è stato sollevato alla Regione da due «depu­tati» regionali del Popolo della libertà, Marco Falcone e Pippo Correnti. Sono sta­ti loro a denunciare l’imminenza di una ondata di nomine agli Istituti autonomi delle case popolari siciliani. Gli enti sono dieci (uno per provincia più quello di Aci­reale), ognuno dei quali con dieci posti in consiglio di amministrazione: tre nomina­ti dalla Provincia, tre dai sindacati, due da­gli assessorati al Lavoro e ai Lavori pubbli­ci, uno dalle associazioni degli inquilini e l’ultimo dagli ordini professionali. Una lot­tizzazione con il bilancino, dove al solito sono i politici a fare la voce grossa. Un ca­so per tutti: alla presidenza dello Iacp di Catania c’era fino a poco tempo fa Vincen­zo Gibiino, parlamentare in carica eletto con il partito di Silvio Berlusconi.

Il fatto è che la Sicilia è praticamente l’unica regione a trovarsi in questa situa­zione. Nell’isola la riforma del 1998 che ha spazzato via gli Iacp in quasi tutta Italia, passando la competenza alle Regioni e tra­sformandoli in aziende con un consiglio di amministrazione al massimo di cinque componenti, non è mai stata attuata. I vec­chi istituti per le case popolari sono so­pravvissuti a ogni timido tentativo di cam­biamento. Nei mesi scorsi il presidente della Regione Raffaele Lombardo ha sosti­tuito i presidenti con commissari ad acta. E ora sono partite le grandi manovre per rinnovare completamente i consigli di am­ministrazione.

Uno scandalo, anche secon­do il sindacato guidato da Guglielmo Epi­fani. Hanno denunciato Michele Palazzot­to e Antonio Crispi della Cgil: «Gli Iacp rappresentano terreno di conquista per politici di ritorno e clientele politico affari­stiche. In Sicilia ogni istituto ha ben dieci consiglieri, fra cui un presidente e un vice­presidente, tutti con status giuridico, in­dennità, diritto all’aspettativa e spese di missione». Di che cifre si sta parlando, lo spiega Falcone: «Con una legge regionale del 2008 gli emolumenti dei vertici degli Iacp siciliani sono stati parametrati a quelli dei vertici delle Province. La retribuzione del presidente di ognuno dei dieci istituti è pari al 75% di quella del presidente della Provincia». Facendo i conti, non meno di 7.500 euro al mese. «Lo Iacp di Catania, per esempio, potrà arrivare a costare 50 mila euro al mese per i compensi degli am­ministratori», sostiene il deputato regio­nale del Pdl. «L’esperienza dice che dove i vecchi Iacp sono diventati aziende e i consigli so­no stati ridotti a tre, al massimo cinque componenti, si riesce a gestire il servizio senza contributi pubblici e magari otte­nendo qualche piccolo utile. La Sardegna, per esempio, ha chiuso i vecchi Iacp e li ha riuniti in una sola azienda. In Liguria hanno fatto la scelta dell’amministratore unico. Come nelle Marche», dice Luciano Cecchi, il presidente di Federcasa, l’asso­ciazione che riunisce gli istituti riformati.

Non che i problemi manchino neppure dove la legge del 1998 è stata attuata. Nel Comune di Roma, per esempio, le case po­polari occupate abusivamente sono 5.863, l’11,1% del totale. A Milano, invece, 3.409, il 5,2%. E se a Palermo la morosità, pur no­tevolmente inferiore a quella di Catania, raggiunge comunque la vetta del 34,7%, a Roma si arriva al 41,2%, con 21 milioni di euro non incassati ogni anno, e a Cagliari si tocca il 44%. Ben più che a Torino (32,5%), e addirittura a Napoli, città nella quale non si riscuote circa il 24% degli af­fitti delle case popolari. Mentre a Milano la morosità è al 10,2%, ma fra il 2001 e il 2006 è raddoppiata.

Sergio Rizzo
12 maggio 2009