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il 17-3-2009 |
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Il Corriere della
Sera 17-3-2009 In
Italia l'assegno d'oro scompare dal sito. Il tetto agli stipendi nessuno lo vuole. Ma nessuno
ha il coraggio di dirlo apertamente. Società pubbliche|In attesa delle
regole sul tetto agli stipendi, I casi Fincantieri e Anas Di Sergio Rizzo ROMA — Il Carroccio
ha rovesciato sul decreto per gli incentivi alle imprese una valanga di 115
emendamenti. In mezzo, il più peloso di tutti: il tetto agli stipendi
dei manager pubblici. Se passerà, nessuno di loro potrà
guadagnare più di quanto guadagna un parlamentare. Anche ai banchieri
i leghisti vorrebbero imporre provocatoriamente il limite di 350 mila euro
l'anno. C'è solo un
dettaglio. Il tetto c'era già, ma uno dei primi atti del governo di
cui la Lega Nord è un pilastro decisivo, è stato metterlo in
frigorifero. Ricordate la storia? I senatori della sinistra Massimo Villone e
Cesare Salvi presentarono un emendamento all'ultima finanziaria di Romano
Prodi che imponeva agli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, manager
aziendali compresi, un limite massimo pari alla retribuzione del primo
presidente della Corte di Cassazione. In cifre, 289 mila euro. L'emendamento
provocò feroci mal di pancia. Praticamente tutti i manager pubblici e
l'intera prima linea della burocrazia statale e dei principali enti locali
erano ampiamente sopra quel tetto. Ma Villone e Salvi riuscirono comunque a
far ingoiare il pillolone ai loro riluttanti colleghi della maggioranza. E
l'emendamento è passato. Con il decreto legge
di giugno il governo Berlusconi ha deciso di congelare il tetto, per la
soddisfazione di molti. Ma soltanto per tre mesi. Giusto il tempo per fare un
Dpr con cui il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta di concerto
con il suo collega dell'Economia Giulio Tremonti avrebbero dovuto stabilire a
chi e in che modo applicare il limite. Ma al 31 ottobre 2008, data fissata
per la sua emanazione, di quel provvedimento nemmeno l'ombra. L'offensiva
contro i fannulloni aveva assorbito le energie della Funzione pubblica, che
prometteva comunque di risolvere il problema entro fine anno. I mesi
però sono passati invano e si è arrivati a metà marzo,
per avere notizia che solo nelle scorse settimane è stato costituito
un gruppo di lavoro misto fra gli esperti di Brunetta e quelli di Tremonti
per venire a capo della questione. Una faccenda che
però a quanto pare è piuttosto complicata per le spinte e le
controspinte: che cosa si può cumulare, quali redditi si possono
escludere dal calcolo, chi deve controllare. Fatto sta che non si sa quando
il regolamento sarà emanato. Inutile girarci intorno. Il tetto agli stipendi nessuno lo vuole,
come dimostrano anche i tentativi di aggirare anche in sede locale le
disposizioni tese a calmierare le indennità degli amministratori delle
municipalizzate. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Soprattutto,
come si può pretendere di far decidere le dimensioni della tagliola a
chi ne dovrà essere vittima? Senza considerare un clamoroso effetto
collaterale. Diverse imprese pubbliche hanno interpretato il congelamento del
tetto come l'autorizzazione a congelare anche la trasparenza. Da alcuni siti
internet aziendali sono spariti gli elenchi dei consulenti e i relativi
compensi. Un paio di casi per tutti, quelli della Fincantieri e dell'Anas.
Questa la spiegazione fornita dalla società delle strade: «Per la
pubblicazione di tali dati l'Anas è in attesa dell'apposito decreto,
così come stabilito dalla legge 129/08 del 2 agosto 2008 che converte
in legge il decreto legge 97 del 3 giugno 2008. Al momento l'Anas, come tutte
le altre società pubbliche, è tenuta a pubblicare sul sito
internet solo gli incarichi, non rientranti nei contratti d'opera, superiori
a 289.984 euro». Quanti? Uno: quello del presidente Pietro Ciucci. 750 mila
euro l'anno, compresa la parte variabile dello stipendio. Sergio Rizzo |