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Il Corriere della sera 28-10-2008 Evasione fiscale. Battaglia
persa, tra condoni e manette. L’infedeltà fiscale spesso finisce in
prescrizione. Negli Usa 11.691 arresti in sette anni La storia Dall’imperatore Adriano a Sophia Loren:
come cambia la lotta agli evasori Di Sergio Rizzo ROMA - Tutto è cominciato con l’imperatore Adriano. Iberico d’origine,
non soltanto si adattò fulmineo ai costumi italici. Li
precorse addirittura. Il primo provvedimento economico che adottò dopo
aver conquistato il potere fu un condono di massa che cancellò i debiti
con il Fisco degli ultimi sedici anni di tutti i cittadini dell’impero. Poco
importa se, rinunciando a riscuotere 900 milioni di sesterzi, pari al gettito
di un anno intero, l’Erario imperiale rischiò la bancarotta. Allora non si andava a votare, ma nonostante questo è accertato
che mai imperatore fu così popolare. Lungo questa strada siamo
arrivati fino a oggi. Ma se l’Italia è il Paese europeo nel quale
l’evasione fiscale è lo sport forse più diffuso, ci sono
certamente colpe più recenti. Diversamente non si spiega come mai,
stando ai dati di una tabella pubblicata dall’Espresso un paio d’anni fa, i
gioiellieri abbiano dichiarato al fisco, nel 2004, mediamente 16.644 euro
lordi: 1.280 euro lordi per tredici mensilità. Cifra oggettivamente modesta,
non soltanto perché inferiore di ben 5 mila euro al reddito dei falegnami, e
addirittura alla retribuzione di un operaio, ma anche in rapporto ai redditi
di 12 anni prima. Quando mediamente gli stessi gioiellieri denunciavano
l’equivalente, considerata anche l’inflazione, di
13.067 euro. Numeri, del resto, non molto differenti rispetto a quelli di
altre categorie. Intendiamoci: sarebbe assolutamente sbagliato caricare la
croce dell’evasione soltanto sulle spalle dei lavoratori autonomi. Le cronache hanno dimostrato che quasi nessuno, a parte i
lavoratori dipendenti e i pensionati che non fanno il doppio lavoro,
può scagliare la prima pietra. Il fatto è che l’Italia alterna
periodi nei quali si dichiara (apparentemente) lotta senza quartiere agli
evasori a periodi in cui l’infedeltà fiscale è a dir poco
tollerata. Se non addirittura giustificata con le presunte vessazioni del
Fisco. È rimasta celebre la dichiarazione di Silvio Berlusconi, il quale nel febbraio del 2004 sentenziò che
evadere le tasse in caso di pressione fiscale «troppo alta», non era solo
«moralmente giusto», ma rientrava nel «diritto naturale». Non che il premier
non sapesse quanto purulenta fosse, da anni, la piaga dell’evasione. Nel 1981
l’ex ministro delle Finanze Franco Reviglio, che
aveva come giovane consigliere Giulio Tremonti, sbottò pubblicamente: «L’approvazione della legge per colpire l’evasione fiscale
non è più procrastinabile. Essa è stata dettata dal preciso scopo di restituire efficacia deterrente alle
sanzioni penali in materia tributaria, attraverso una tempestiva
irrogazione». Proprio così, disse: «tempestiva irrogazione ». Erano
passati sette anni dal primo condono fiscale tombale che aveva seguito la
riforma fiscale di Bruno Visentini, e il Parlamento si apprestava ad approvare,
non senza qualche brivido, la legge sulle «manette agli evasori». Chi avesse
sgarrato, da allora in poi, avrebbe testato le patrie galere. Ma una tale
professione di inflessibilità, confermata anche dal successore di Reviglio, Rino Formica, fu accompagnata da un altro
condono fiscale. Manette e sanatoria insieme: sai che paura? Quell’anno, era
il 1982, si decise comunque di dare l’esempio, e un paio di mesi prima che la
legge sulle manette fosse approvata, nel carcere di Caserta finì Sophia Loren, ritenuta colpevole di non aver pagato le
tasse nel 1963. Vent’anni prima, alla faccia della «tempestiva irrogazione
delle sanzioni penali». La Loren rimase in cella 17 giorni. Inutile dire che i risultati delle «manette»
furono a dir poco deludenti. Nei primi due anni di applicazione della legge
vennero arrestate 93 persone. Numero che salì a 551 nei primi quattro
anni. Inutile anche dire che poco dopo, nel 1991, arrivò un nuovo
condono fiscale. Quindi, fra il 1994 e il 1995, insieme al condono edilizio,
fu la volta del concordato fiscale. Finché si prese atto che la legge sulle
manette agli evasori non aveva funzionato, né mai avrebbe funzionato. E si
ripiegò su norme che avrebbero dovuto consentire al Fisco almeno di
recuperare i soldi. Pia illusione. Un nuovo condono sbucò nel 2003,
con Tremonti ministro, insieme a una gragnuola di
altre sanatorie, compreso un nuovo perdono per i reati edilizi. Il tutto preceduto dal famoso «scudo fiscale», che consentiva a
chi aveva esportato illegalmente capitali di regolarizzare, senza nemmeno
l’obbligo dei reimpatrio, conti correnti e
proprietà all’estero semplicemente pagando il 2,5%. Misura imitata
anche dalla Germania, che però fissò la tassa al 25% e poi al
35%: per salvare almeno le apparenze. Perché come si può pensare di
spaventare gli evasori con condoni a ripetizione (gran parte dei quali si
sono rivelati autentici flop), o una giustizia dalla lentezza tale che la
prescrizione dei reati è la normalità? Valga ad esempio la
sconcertante ammissione di un ex ministro della Repubblica, quel Cesare
Previti condannato a 6 anni di reclusione per concorso in corruzione al
processo Imi-Sir: «Perché non parlai della parcella
nel 1997 ma soltanto ora? Non corro più rischi fiscali». Quei rischi che difficilmente vanno in prescrizione per i contribuenti
infedeli in altri Paesi. Sapete quanti ne sono stati arrestati fra il 2000 e
il 2007 negli Stati Uniti? Ben 11.691, soltanto per reati federali. E pochi
se la sono cavata a buon mercato: la condanna media è stata di 30
mesi, saliti a 37 per i manager di imprese che hanno evaso il fisco. Ve lo
immaginate se succedesse in Italia? 28 ottobre 2008 |