Il Corriere della
Sera 10-9-2009
L'Aquila, le regole
e le banche recidive
In attesa delle
norme anti-crisi i big del credito ci riprovano
Di massimo Mucchetti
I lavori del G8 per la riforma
della finanza sono stati introdotti da una notizia non richiesta: Goldman
Sachs e Barclays Capital stanno ricominciando con la finanza ad alto ritorno
delle cartolarizzazioni. Le investment banks ci riprovano. Questa volta, giurano, sarà
tutto a regola d'arte. E nel resto del mondo le banche commerciali potrebbero
accodarsi.
La tentazione di cospargere di dolce panna montata i bilanci, resi amari
dalle perdite sui crediti inflitte dalla recessione, è nell’ordine
delle cose. Le cartolarizzazioni, del resto, non sono sempre e comunque un
male. Le persone per bene usano il coltello per tagliare la torta. I
delinquenti per minacciare i malcapitati e derubarli. Cartolarizzare
crediti o immobili può ben servire quando il rischio sia allocato in
modo sostenibile e trasparente presso le mani adatte. Il punto è chi,
quando e come giudicherà le nuove cartolarizzazioni.
Nel 2006, una simile domanda sarebbe stata bollata come un'eresia inutile. La
concorrenza internazionale, alla quale i mercati finanziari si erano aperti,
avrebbe corretto gli eccessi e bocciato le proposte incongrue meglio di
qualsiasi Autorità di emanazione politica più o meno diretta.
Il pragmatico susseguirsi dei contratti tra privati si sarebbe rivelato
più efficiente delle maglie strette del diritto, dettato dai
parlamenti. La finanza over the counter
era diventata un multiplo di quella regolata e vigilata. Nel 2006 quella
domanda sarebbe stata improponibile, perché la privatizzazione dell'economia
e delle relazioni sociali, motrice e conseguenza della globalizzazione
contemporanea, aveva confinato l'etica nei comportamenti individuali e aveva
riservato la cura dell'interesse generale alla politica, ma con l'esplicita
riserva di ridurne l'area d'intervento e i poteri.
Nel 2009, abbiamo imparato che l'autosufficienza dei mercati era un'illusione
non innocente, alimentata da potenti quanto ristretti interessi; che a pagare
il conto sono stati i contribuenti e non i beneficiari delle speculazioni;
che il cittadino viene prima dell'homo oeconomicus,
e non dopo. E allora la bontà delle varie Goldman e Barclays non
dovrebbe valutarsi solo nell’esoterico confronto con le consorelle.
I Global legal standards
e i nuovi criteri contabili del Financial Stability
Board promettono un cambiamento. Ma per definirli in concreto e poi adottarli
ci vorrà tempo e fatica. Il G8 imprime una spinta, ufficialmente si
dice. Il prossimo G20 ne darà un’ultra. Ma la cosiddetta innovazione
finanziaria non si ferma ad aspettare. E così tocca agli Stati la
responsabilità di organizzare comunque lo scrutinio. E gli Stati,
avendo diversamente pagato il conto della crisi, sono tentati di fare da sé.
Anche per predeterminare un governo globale più favorevole. Obama
tenta la sua riforma. La Merkel vara le sue bad banks . E ciascuno dovrà
poi tirare le conseguenze. L'Italia, per dire, ha un'opinione sul limite
minimo del 5% del rischio che una banca americana potrà trattenere sui
suoi conti nel cartolarizzare proprie
attività?
Se reputasse che sia meglio il 10% o il 15%, e non sarebbe follia, che
farebbe quando una banca nazionale si riempisse di carta americana
promettente certo, ma tanto rischiosa? In teoria, certe obbligazioni
potrebbero essere semplicemente proibite perché non abbastanza leggibili e altre,
leggibili, andrebbero classificate fra gli investimenti che assorbono alte
quote di capitale così da limitare, se non scoraggiare, certi azzardi.
E in pratica?
Negli anni ruggenti della globalizzazione che, non dimentichiamolo, aveva nel
dollaro la moneta di riserva e nella debt economy
anglosassone il modello sociale di riferimento, la responsabilità del
giudizio vero era infine delegata all'America. L’Europa si fece bastare le
scuse dello scandaloso Chuck Prince dopo che Citicorp aveva manipolato i titoli pubblici di vari
Paesi.
L'Italia, ritenendo di aver subito un danno sui derivati venduti da Jp Morgan a Poste, si è limitata a
un'interminabile causa al foro di Londra invece di escludere la banca
sospettata da ogni affare con la pubblica amministrazione. Con le 12 tavole
dell’etica, sarebbe andata diversamente? Se i governi rinunceranno a
quell'abdicazione, avrà fine la globalizzazione imperiale. Ma solo i
sognatori no global possono pensare che si torni indietro. Basta vedere com’è
cambiato l’atteggiamento dell’Italia verso la Cina, ieri minaccia e oggi
speranza. Tutti hanno ancora bisogno di tutti, e però quella che oggi
sembra prendere corpo è una globalizzazione basata sul ruvido scambio
delle merci più che sui fluidi magheggi
della tecnofinanza. Una globalizzazione senza
più un re è una globalizzazione fatalmente oligarchica—
poliarchica, scrive Mario Draghi sull’ Osservatore
romano per essere politicamente corretto — e come tale in bilico tra
l’ambizione illuminista di un nuovo ordine e la realpolitik
degli interessi che scivola verso una dieta polacca su scala planetaria.
Massimo Mucchetti
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