CORRELAZIONI A QUESTO DOCUMENTO |
Il PuntO n° 85: La domanda di qualità si va
essiccando: è il segno della decadenza del paese. |
Da Il Sole 24 ore (22-11-06) – I “conti” dei partiti
politici |
Dal Corriere della sera del 7-11-2006
Le regioni. Stipendi dei consiglieri,
il taglio diventa finto
Dalla Toscana al Veneto alla Sicilia,
le leggine regionali per «limitare» il sacrificio
Gian Antonio Stella
Ricordate la riduzione del 10% degli stipendi
dei politici, dai parlamentari ai consiglieri circoscrizionali? Doveva essere
un taglio, è diventato un taglietto. Meglio: un tagliettino. Doveva
dimostrare che quanti governano, in questi anni di magra, danno il buon
esempio. E' diventato la prova, l'ennesima, che le sforbiciate non passano mai,
nei palazzi del potere. Doveva far risparmiare un piccolo tesoro da distribuire
«a fini di solidarietà».
E invece offre nuovi spunti a chi dice, sfidando l'accusa di
qualunquismo, che su certe cose (eccezioni a parte) sono tutti uguali. Una
delle furbate messe a punto per aggirare il taglio del 10% degli stipendi
è finita in Consiglio dei ministri non più tardi di quattro
settimane fa, il 6 ottobre. Quando il governo, reduce dal varo di una manovra
pesantissima motivata con la necessità di far quadrare i conti, è
stato chiamato a dir la sua su una legge della Toscana (la 36/2006) che
interpretava in modo «elastico» il taglio deciso da Giulio Tremonti nella sua
ultima Finanziaria. E poiché non ha trovato motivi per opporsi e impugnare
tutto, le nuove norme sono state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale del 28
ottobre. Diventando operative, sconti compresi.
Diceva il comma 54 dell'articolo 1 della Finanziaria tremontiana: «Per
esigenze di coordinamento della finanza pubblica, sono rideterminati in
riduzione nella misura del 10 per cento rispetto all'ammontare risultante alla
data del 30 settembre 2005 i seguenti emolumenti: a) le indennità di
funzione spettanti ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni, ai
presidenti delle comunità montane, ai presidenti dei consigli
circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali, ai componenti degli organi
esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli dei citati enti; b) le
indennità e i gettoni di presenza spettanti ai consiglieri
circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali e delle comunità
montane». E per non lasciare spazio ai dubbi dei maghi del cavillo («per
indennità di funzione intendesi forsanco...») il punto «c» precisava che
andavano tagliate «le utilità comunque denominate spettanti per la
partecipazione ad organi collegiali». Insomma: tutto. Tanto più che gli
stipendi dei politici, dai deputati ai consiglieri regionali, sono composti
sempre da più voci (rimborsi viaggi, indennità di missione,
assunzione di assistenti...) tradizionalmente usate per aggirare questo o quel
problema. A partire, per dirla tutta, dalle imposte.
Tutto chiaro? Chiarissimo. Eppure, avute tra le mani le norme, il
consigliere regionale toscano Jacopo Maria Ferri ha levato il ditino: eh no,
così non va. E ha cominciato a cercare, uno per uno, i punti in cui la
legge poteva essere aggiustata. Chi sia il giovanotto è presto detto: un
idealista. Figlio di Enrico Ferri, il leggendario ministro socialdemocratico
dei Lavori pubblici ricordato per la barbetta risorgimentale e il tentativo di
obbligare gli italiani a non superare i 110 all'ora, il giovanotto succhia
politica da quando gli diedero il primo biberon. E ha continuato a succhiare.
Eletto due volte consigliere regionale per Forza Italia, il giorno in cui il
babbo (due volte eurodeputato berlusconiano) decise di lasciare gli azzurri
alla vigilia delle elezioni del 9 aprile per passare all'Udeur, si trovò
davanti a un dilemma: scegliere il papà o il Cavaliere? Scelse il
papà, con allegato Mastella. Restando imbullonato al seggio regionale e
insieme a quello di consigliere del «Consorzio per lo sviluppo della ricerca
geofisica mineraria applicata e ambientale».
Chi presiede il Consorzio? Papà Enrico. Chi sono i soci? Uno
è il «Centro lunigianese di studi giuridici», guidato da sempre da
papà Enrico. L'altro il Comune di Pontremoli, del quale (dopo una
complicata vicenda di ineleggibilità, ricorsi, sospensive del Tar che
non staremo a riassumere) fa oggi le funzioni di sindaco, dopo essere stato
podestà quattro volte dal giurassico al proterozoico, sempre lui:
papà Enrico. Se sia stato il babbo a suggerirgli gli aggiustamenti non
si sa. Certo è che Jacopo, con l'appoggio di un collega di An, l'aretino
Maurizio Bianconi, presenta a giugno una leggina. La quale interpreta a modo
suo il comma 54. E dice che no, le percentuali del rimborso spese mensile vanno
calcolate «senza tenere conto della riduzione del 10%». Che questa riduzione
«non si applica alla diaria mensile». Che i gettoni di presenza devono
continuare ad essere distribuiti come prima in base alla consuetudine che «si
considera presente il Consigliere che facendo parte di più organi collegiali,
abbia partecipato nella giornata alla riunione di uno degli organi». Che la
«determinazione dell'ammontare dell'assegno vitalizio spettante ai consiglieri
cessati dal mandato» va calcolata anche quella «senza tenere conto della
riduzione del 10% dell'indennità mensile» e così pure la
«determinazione dell'ammontare dell'indennità di fine mandato».
A farla corta: la leggina regionale, su cui Francesco Storace sta per
presentare una scandalizzata interrogazione parlamentare, riduce il taglio al
minimo del minimo. E chi la vota, in aula? I Ds si chiamano fuori. E votano
contro: «Ci pareva assurdo, in un momento come questo, esporci all'accusa di
farci gli affari nostri», spiega il presidente della giunta regionale Claudio
Martini. Tutti gli altri, a favore. Compresi quelli che si rifiutano perfino di
andare insieme in piazza contro il terrorismo. Da An a Rifondazione, da Forza
Italia ai comunisti italiani, dall'Udc alla Margherita ai Verdi. Tutti uniti
nella Grosse Koalition del Rimborson. Un caso isolato? Ma niente affatto.
La scappatoia alla sforbiciata l'hanno data in tanti. Scegliendo, qua e
là, soluzioni diverse. Il Veneto, roccaforte della destra, ha optato per
l'escamotage della Toscana, roccaforte della sinistra: solo taglietto alla voce
indennità con l'esclusione delle altre. Fine. La Sicilia ha battuto
altre strade. Ce le dicono due buste paga (aprile 2005 e agosto 2006) di
Salvatore Centola, un deputato udc dell'Ars cui va riconosciuto avere il
coraggio di rendere pubblici i suoi stipendi. Da cui si vede che
l'indennità è stata un po' tagliata (non del 10%: del 7,3%) ma in
compenso è stata più che raddoppiata (da
Del resto è così anche a Roma. I primi a venir tagliati
non dovevano essere gli stipendi di deputati e senatori? Bene, i bilanci del
Senato (dato ufficiale) dicono che non è andata così. Lo
stanziamento del capitolo 1.2.1. (indennità parlamentare) parla infatti
di un taglio del 5,51% per l'effetto combinato, parole testuali, «della decurtazione
del 10% delle competenze in questione e del successivo incremento delle stesse,
ipotizzato nell'ordine del 4,5%, che verrà applicato quando sarà
disponibile il tasso di incremento delle retribuzioni della magistratura».