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Documento
inserito il 31-12-2006
DAL CORRIERE DELLA SERA UNIVERSITA' IL CASO
di S. Rizzo – G.A. Stella (continua)
INDICE
(29-12-2006)
Dal prestigio della Bocconi alle università
taroccate finite nel mirino dell' Antitrust.
(28-12-2006)
Da Il Quotidiano.it. Ancona - Infondate le notizie
uscite oggi sul Corriere della Sera
(28-12-2006)
Interventi e Repliche
(27-12-2006)
Università, 37 corsi di laurea con un solo
studente
Dal Corriere della Sera 29-12-2006
*** AL NORD La facoltà
milanese di lingue e comunicazione Iulm vende online
t-shirt, felpe, magliette e berretti con il simbolo dell' ateneo
*** AL SUD A Enna
l' Università Kore si definisce privata ma
è finanziata da Regione, Provincia, Camera di commercio e alcuni Comuni
Eccellenze e stravaganze, boom di
atenei privati
Dal
prestigio della
Bocconi alle
università taroccate finite nel mirino dell' Antitrust.
Il caso del «campus» dentro un
ipermercato e la proliferazione dei politici-docenti
Siete
divorati dal desiderio di sapere cos' è «l' approccio
slow all' economia distribuita e alla sensorialità
sostenibile?» Peccato, avete perso l' occasione per dibatterne, al seminario
organizzato qualche settimana fa e promosso dal Politecnico di Milano, da Slow
Food, dall' Istituto europeo di design e dalla Domus Academy. Appassionante. Come un mucchio di altre iniziative
nate dalla fantasia di quel mondo effervescente che si è sviluppato
negli ultimi anni a cavallo tra università pubbliche, private,
semi-pubbliche, quasi-private. Mondo che solo
recentemente, dopo l' esondazione
di nuovi atenei e nuove facoltà e nuovi corsi di laurea, Fabio Mussi ha
deciso di arginare piantando finalmente dei paletti. Anzi, tra le tante, l' Università degli studi di Scienze gastronomiche,
che come soci fondatori ha lo SlowFood, la regione Emilia-Romagna e il Piemonte, non è neppure delle
più strampalate: è o non è la buona tavola una delle
roccaforti dello stile e dell' economia italiani? Prosit.
Certo è che a passare al setaccio il mondo universitario non statale,
finanziato comunque dallo Stato con 133 milioni di euro l' anno
(più i 30 dati da una misteriosa manina in Finanziaria ai collegi
universitari ecclesiastici) c' è di tutto. Su 94 riconosciuti dal
ministero, gli atenei di questo tipo sono 28. Dalle strane accademie spuntate
dal nulla e dal profilo ambiguo, con docenti non sempre all' altezza,
ai luoghi di assoluta eccellenza come la Bocconi o la Cattolica, da sempre
fucine della classe dirigente del Paese. Quelli promossi da enti pubblici sono
quattro, da soggetti privati 13. Più le università telematiche
(undici, ma il nuovo governo ne ha bloccate altre cinque in dirittura d' arrivo) delle quali diremo più avanti. Quanti siano gli studenti, vista la contrapposta
inaffidabilità delle banche dati del ministero, preferiamo lasciar
perdere: troppo casino. Quanto ai docenti, che risultavano essere 2.022 al 31
dicembre 1998, sarebbero oggi (meglio: al 31 maggio 2006) 2.734. Con un aumento
di 712 persone: 361 ordinari, 256 associati e 95 ricercatori. Un incremento del
35,2%. Nettamente inferiore, comunque, all' aumento
esponenziale di atenei, facoltà e corsi. Non bastassero,
nel caos hanno finito per inserirsi un bel po' di università taroccate.
Creature virtuali, aperte come si apre un supermarket o una concessionaria. E
metodicamente bastonate dall' Antitrust di Antonio
Catricalà, che negli ultimi due anni ha messo sotto inchiesta una
ventina di atenei impegnati nel «gioco del dottore», condannandone diversi per
pubblicità ingannevole. Come la Libera Privata Università di
Diritto Internazionale dell' Isfoa,
che sbandierava sul sito di diffondere «i principi dell' Open University,
programma di matrice anglosassone» e diceva di avere sedi nella Quinta Strada a
New York e nel Principato di Monaco e addirittura a Nauru,
in Polinesia ma poi aveva il cuore nella sgarrupata
Tirana. Oppure la Cetus, allestita al piano terra di
un palazzone della periferia palermitana da un «rettore» che, irritato col
Corriere per una denuncia, protestò inviando una lettera così
spassosamente sgrammaticata che, per la delizia dei lettori, i correttori di
bozze si astennero dal metterci mano. O ancora la «Nuova Università del
Cinema e della Televisione», colpita pochi mesi fa perché prospettava
falsamente «la possibilità per il consumatore, di studiare presso un' università riconosciuta, con la
possibilità di poter perseguire, a seguito della frequenza dei corsi
pubblicizzati, un titolo quale la laurea». Alla larga. Anche tra quelle legalmente
riconosciute, tuttavia, non mancano casi da fare arricciare il naso. Come la Lum di Casamassima, un paesotto vicino a Bari, che a
dispetto del nome gonfio di maiuscole (Libera Università Mediterranea «Jean Monnet») è l' unico esempio di ateneo nato grazie a un ipermercato. La
sede è infatti in un Campus (due
facoltà: giurisprudenza ed economia) all' interno del Baricentro. Una
cittadella commerciale costruita anni fa da Giuseppe Degennaro,
esponente di una di quelle famiglie baresi che s' imposero negli anni Settanta
e Ottanta con lo sviluppo violento dell' edilizia.
Finanziato negli anni ruggenti della ex Cassa del Mezzogiorno, assessore ai
trasporti del comune, deputato Dc, presidente della Confcommercio pugliese, coinvolto in un' inchiesta
per voto di scambio (un anno e quattro mesi in primo grado), eletto senatore
nel 2001 con Forza Italia, Giuseppe Degennaro era,
della sua creatura, anche il rettore. Morto lui un paio di anni fa, la carica
è passata al figlio Emanuele. Erede pure del collegio elettorale, della
presidenza del consiglio di amministrazione dell' Università,
della guida dell' Interporto regionale della Puglia Una storia non meno
interessante è quella della UKE, acronimo di Università Kore di Enna. Fortissimamente voluto da
Vladimiro «Mirello» Crisafulli, l' uomo
più potente dei diessini siciliani non
scalfito neppure dall' inchiesta sul suo incontro filmato con un mafioso e
così sicuro di sé da dire che lui, a Enna,
vince «col proporzionale, col maggioritario e pure col sorteggio», l' ateneo
forse non trabocca di luminari internazionali, ma di politici sì.
Politico è Mirello, che sta nel Cda con la sua
«licenza media inferiore», politico è il presidente Cataldo Salerno che
guida pure la Provincia, politici altri due membri del consiglio quali Carmelo Tumino (deputato regionale della Margherita) ed Edoardo Leanza (idem, per Forza
Italia) e politico infine è Salvo Andò,
che ai bei tempi socialisti fu ministro della difesa e adesso della Kore
è il Rettore. Le facoltà sono cinque: beni culturali, economia,
giurisprudenza, ingegneria, scienze della formazione. Più un po' di
master. Tipo: «Valutazione e autovalutazione
sistemica nei processi formativi della comunicazione». Gli studenti per ora
sono (mai fidarsi dei siti ministeriali) un paio di migliaia
ma l' Università ha l' ambizione di arrivare l' anno prossimo a
10.500 con 174 docenti. Alla faccia di chi ha la puzza sotto il naso.
Accentuata dal fatto che tre su sette dei membri del Cda
(più l' Ad) sono insieme ai vertici della Ennaeuno, la municipalizzata per lo smaltimento dei
rifiuti. Va da sé che, al di là delle chiacchiere sul «privato», i soldi
vengono dalla Provincia, dalla Camera di commercio, da alcuni comuni, dalla
Regione. Un dettaglio comune a molti altri atenei, dalla Calabria (dove la
Libera Università della Sibaritide doveva
nascere anni fa coi soldi «privati» della Regione, della Provincia, delle
Comunità montane di Trebisacce, Rossano e Acri
e di 33 comuni quali Calopezzati, Amendolara,
Mandatoriccio) all' Alto
Adige, dove è appunto nata la Libera Università di Bolzano per
diretto interessamento della Provincia. O alla toscana Lucca,
dove per iniziativa di Marcello Pera, che irrideva ai nemici bollandoli come
invidiosi («abbiamo più successo della Normale e del collegio Sant' Anna») è nato a tempo di record l' Imt, una cosa un po' privata e un po' pubblica, finanziata
coi soldi dell' Università di Pisa, del ministero, del Comune, della
Provincia Tutto bene, per carità. Tutto corretto. Tutto legale, come le
convenzioni firmate da un sacco di università, da Siena alla romana Pio V°, da Chieti a mille altre, con
un mucchio di associazioni e corporazioni e sindacati, dai vigili urbani ai
dipendenti ministeriali, dalle guardie carcerarie ai giornalisti, che
prevedevano riconoscimenti di crediti così generosi (stoppati da Mussi:
non più di 60) da permettere speedy-lauree
guadagnate con una manciata di esami in un solo anno. Da segnalare, in questo
caravanserraglio di cose serie e insieme di bizzarrie, la politica di immagine
della milanese IULM che, fondata dalla Libera università di lingue e
comunicazione, conta tra i soci la Provincia, la Camera di commercio, l' Assolombarda, il Centro
Turistico Studentesco C' è di tutto. Il concorso per il progetto «Who' s that girl» per dare un nome all' avatar
dell' Ufficio relazioni pubbliche della Provincia. La sfida su Odeon
Tivù fra la squadra IULM e una della Statale. L' accordo con Mediaset
(si chiama Campus Multimedia In-formazione) per lo sviluppo della cooperazione
fra Università e imprese. E la vendita online di berretti, magliette,
T-Shirt col nome dell' amato ateneo. Come a dire:
fatti una laurea. O almeno una felpa. Gian Antonio Stella Stella
Gian Antonio, Rizzo Sergio
Da Il Quotidiano.it (28-12-2006)
In crescita dell’1,1% gli iscritti
all’Università Politecnica delle Marche
Ma dove li hanno letti, i dati pubblicati sul Corriere della Sera di oggi,
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella? Qual è la fonte che accredita la
notizia secondo la quale nell’Università Politecnica
delle Marche due corsi - Ingegneria Informatica e
dell’Automazione e Viticoltura ed Enologia - avrebbero un solo studente?
Ci deve essere un errore da parte degli estensori delle tabelle, o una lettura
erronea delle informazioni contenute sul sito del Comitato Nazionale per la
Valutazione del Sistema Universitario, dal momento che basta scorrere le tabelle dell’Ufficio Statistica del Miur
(Ministero per l’Università e la Ricerca) per accertarsi che il corso in
Ingegneria Informatica e dell’Automazione dell’Università Politecnica delle Marche, lungi dall’avere un solo
iscritto, conta ad Ancona 154 nuovi immatricolati (erano 131 nello scorso anno
accademico); nella sede di Fermo 34 (nello scorso a.a.
erano 48) e in modalità a distanza 22 (in crescita rispetto ai 15 dello
scorso anno).
Lo stesso vale per Viticoltura ed Enologia di Agraria, corso attualmente
seguito da 32 matricole (erano 28 lo scorso anno).
Nel fornire i dati aggiornati dell’incremento di immatricolazioni
all’Università Politecnica delle
Marche – che assiste a una crescita delle iscrizioni al primo anno dell’1,1%
contro la media nazionale che registra un calo dello 0,8% (in controtendenza
anche Urbino, che cresce dello 0,9%, mentre Camerino scende del 9,7% e Macerata
dell’1,4% - il rettore Marco Pacetti fa osservare che
“è incomprensibile da quale fonte i pur validi giornalisti abbiano
tratto i loro dati. Ma è comunque sbagliato, a mio parere, l’approccio.
Inutilmente scandalistico.
Per una famiglia che mantiene un figlio agli studi universitari, infatti non potrebbe che far piacere sapere che ha a sua
completa disposizione addirittura una ventina di professori. Ma purtroppo il
problema dell’università italiana non è affatto questo,
bensì l’opposto, cui un decreto del Ministro Mussi attualmente al vaglio
delle Camere sta per dare un correttivo: il fatto cioè che in molti
corsi siano pochi i professori di ruolo che insegnano a tanti studenti. E’
questo fenomeno che abbassa il livello della didattica. Il decreto fissa dunque
il numero minimo di professori di ruolo per ogni corso. E prescrive inoltre che
nessun docente di ruolo possa tenere più di due
corsi. Una battaglia contro il proliferare degli insegnamenti che nella nostra
università stiamo combattendo da anni”.
Il rettore Marco Pacetti fa inoltre considerazioni sul numero di
studenti. “Ogni ateneo persegue la sua strategia – commenta - e ha una sua politica nel definire i corsi e l’articolazione
dell’offerta formativa. Sarà poi il mercato a premiare le scelte
migliori e vincenti, o a penalizzare gli errori di prospettiva a medio
termine”.
giovedì 28
dicembre 2006, ore 22:29
Dal Corriere della Sera 28
dicembre, 2006
Sistema
universitario e dati ufficiali.
In
riferimento all' articolo «Università, 37 corsi di laurea con un solo studente»
comparso sul Corriere del 27 dicembre ritengo di dover sottolineare il
clamoroso errore in cui è incorso il più autorevole quotidiano
nazionale. L' Università di Bologna non ha nessun corso con un solo
iscritto. L' elenco che presentiamo parla chiaro. Al contrario, l' ateneo sta disattivando tutti i corsi di studio con un
numero di iscritti inferiore a venticinque, salvo la necessità che un
corso sopravviva fino all' esaurimento degli iscritti. Già nell' anno accademico in corso sono dieci i corsi che sono
stati disattivati. L' università italiana ha oggettivamente tanti
problemi, non è necessario inventarne degli altri. Qui di seguito, l' elenco dei corsi dell' Università di Bologna a cui
viene attribuito un solo iscritto. Iscritti attuali: Scienze antropologiche:
1072; Storia, culture e civiltà orientali: 401; Beni archeologici: 485;
Ingegneria edile: 297; Scienze giuridiche: 224; Sociologia e scienze criminologiche per la sicurezza: 644; Fisica dell' atmosfera e meteorologia: 69; Educatore sociale (Bologna):
908; Educatore sociale (Rimini): 514; Economia dei mercati e dei sistemi
turistici: 443; Tossicologia dell' ambiente: 16; Comunicazione interlinguistica
applicata: 327; Studi internazionali: 236.
Pier Ugo Calzolari
Rettore dell' Università di Bologna
L' articolo «Università, 37 corsi di
laurea con un solo studente» pubblicato in prima pagina sul Corriere del 27
dicembre coglie alcuni problemi veri del sistema universitario italiano, in
particolare il fenomeno della frammentazione, proponendo tuttavia un quadro
distorto della situazione, in particolare della Sapienza. È vero che la
nostra università ha sedi in tutto il territorio laziale, essenzialmente
corsi di laurea triennale in scienze infermieristiche, ma certo non duecento,
la quasi totalità è nel Comune di Roma o in insediamenti
rilevanti come il campus di Latina e le sedi di Civitavecchia,
Pomezia e Rieti. La politica di decentramento,
seguita in questi anni, è stata dettata dall' esigenza
di soddisfare la crescente domanda di istruzione superiore nella nostra regione
e di attenuare il sovraffollamento della città universitaria, problema
quest' ultimo che sarà risolto definitivamente con il decollo di un
sistema di atenei federati e interventi edilizi per 200mila mq. L' apertura di
nuove sedi ha comunque sempre privilegiato un' offerta
formativa legata alla specificità del territorio e una stretta
connessione fra insegnamento e ricerca. Il prestigio scientifico di cui godiamo
ci ha inoltre consentito di istituire alcuni poli all' estero.
Cosa ben diversa è la proliferazione di università telematiche e
di micro università generaliste basate esclusivamente sulla didattica,
verificatasi in Italia in questi ultimi anni. Quanto ai numeri, ricordiamo che
la Sapienza è il primo ateneo italiano con 135mila iscritti e la
presenza di 5mila docenti garantisce un rapporto docenti
e studenti negli standard internazionali.
Renato Guarini
Rettore di Sapienza Università di Roma
Il magnifico rettore bolognese,
avventurandosi in bacchettate sui «clamorosi errori» dei dati che ci saremmo
«inventati», è ingeneroso. Ci siamo limitati a riportare i numeri
ufficiali del sito ufficiale dell' anagrafe ufficiale
del ministero: http://anagrafe.miur.it. Banca dati che è finanziata
dalle università e che le università sono obbligate (non
invitate: obbligate) a tenere aggiornata, tanto più che anche su quella
vengono poi prese certe decisioni politiche in materia. Tutti i dati che
abbiamo riportato sono presi da lì: tutti. Senza errori nostri. Se un
ateneo ha fatto immettere cifre sbagliate o ha consentito che per mesi e mesi restassero sbagliate on-line non è una
superficialità nostra. Non crede? La lagnanza sua e quella di altri
presidi e docenti, che citano il sito http://www.miur.it,
pongono piuttosto un problema: è mai esistito al mondo un sistema
universitario dove perfino i dati ufficiali dello stesso ministero dicono due
cose diverse?
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
Da Corriere della Sera 27-12-2006
Il caso della «Sapienza», un gigante con 200
«sedi» sparse in Italia
Da Bologna a Moncrivello:
i casi in tutta Italia. E il numero totale è raddoppiato in 5 anni
C'è un Robinson
disperso su un'isoletta universitaria di Forlì che non ha neanche un
Venerdì con cui parlare: è l'unico iscritto al corso di Scienze
della mediazione linguistica. Ma con chi può mediare, se non c'è
un selvaggio con cui aprir bocca? Una solitudine da incubo.
La stessa che deve provare l'unico iscritto a
Scienze storiche a Bologna e l'unico a Ingegneria industriale a Rende e l'unico
a Scienze e tecnologie farmaceutiche a Camerino e insomma
tutti i solitari frequentatori di 37 corsi universitari sparsi per la
penisola. Avete letto bene: ci sono trentasette mini-facoltà con un solo
studente. Poi ce ne sono dieci con 2 frequentatori, altre dieci con 3, altre
quindici con 4, altre otto con cinque e altre ventitré con 6 giù
giù fino a un totale di 323 «universitine» che non arrivano a 15 iscritti. Con alcune
situazioni piuttosto curiose. Come quella di Termoli, che come patrono ha San Basso ma accademicamente vola alto: dal sito del Comitato
nazionale per la valutazione del sistema universitario si può apprendere
infatti che i ragazzi della cittadina molisana che non si sentono predisposti
ai viaggi, hanno a disposizione non una ma addirittura due possibilità
di diventar dottori sotto casa. La prima viene loro
offerta dalla facoltà di medicina e chirurgia dell'Ateneo del Molise (29
iscritti), la seconda dalla Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La quale,
invogliata dalle nuove normative, è salita ormai a 21 sedi diverse,
posizionandosi anche in metropoli quali Guidonia Montecelio (32 iscritti a medicina), Pescopagano
(33), Larino (37) e Moncrivello, ridente paesino in
provincia di Vercelli con 1.477 abitanti, dei quali 14 decisi a diventare
chirurghi, urologi o anestesisti. Un record da dedicare al santuario del Trompone, il cui nome ha una tale
assonanza con certi professoroni universitari che il destino, diciamolo, era
già prefigurato. Ma un record battuto, appunto, da Termoli. Dove gli
iscritti a medicina, versante Cattolica, sono sei.
Meno male: tre maschi e tre
femmine. Direte: quanto costeranno, certi atenei in miniatura? Valeva
la pena di incoraggiare questa moltiplicazione di pani, pesci e cattedre
finendo fatalmente per abbassare il livello medio degli insegnanti, visto che
come nel calcio e nella lirica non ci sono abbastanza Totti e abbastanza Pavarotti per
tutti gli stadi e tutti i teatri e occorre dunque ricorrere sempre più
spesso a brocchi e ronzini? E' quanto cercheremo di spiegare. Partendo da
alcuni numeri. Primo fra tutti quello delle università
"storiche", italiane. Erano 27, figlie di una tradizione spesso secolare,
e sono rimaste tali per un sacco di tempo. Salendo poi lentissimamente,
dalla metà degli anni Cinquanta in avanti, fino ad arrivare alla fine
del millennio a 41. Bene, da allora (c'è chi dice a causa delle scelte
del ministro «rosso» Luigi Berlinguer e a causa di
quelle del ministro «azzurro » Letizia Moratti) sono
dilagate. Arrivando in una manciata di anni a 78. Più «ospiti» quali
l'Università di Malta, più le «private» (sulle quali avremo modo
di sorridere), più undici «telematiche» sulle quali esistono dettagli
piuttosto curiosi da raccontare. Totale? Quelle col «bollino» sono 94. Ma il
caos è ormai tale che la somma totale degli «atenei» veri o presunti (e
meno male che qualcuno è stato burocraticamente raso al suolo da Fabio
Mussi come quello fondato in una palazzina di Villa San Giovanni da un certo
Francesco Ranieri che la dedicò al suo omonimo nonno) è ormai
difficile da calcolare. «Evviva!», esulteranno certi liberisti nostrani: tante
università, tanta concorrenza. Tanta
concorrenza, tanta selezione. Tanta selezione, tante eccellenze. E' vero o no che lo stesso Salvatore Settis, acerrimo nemico della proliferazione, ha scritto
che in America le cose chiamate «università» sono circa quattromila e
dunque noi abbiamo ancora spazio per altre sei o settecento «atenei»? Verissimo,
sulla carta. Non fosse per due dettagli sottolineati
dal direttore della Normale di Pisa.
Il primo è che negli Stati Uniti chi
non è all'altezza si arrangia: se trova studenti che pagano la retta per
andarci bene, sennò chiude. Il secondo è che il titolo di studio,
lì, non ha alcun valore legale: hai preso la laurea ad
Harvard? Ti assumono tutti. L'hai presa in una pseudo- università allestita da un mestierante senza
la biblioteca e senza laboratori e senza docenti di un certo livello? Non ti
fila nessuno. Affari tuoi, se ti sei fatto imbrogliare. E non c'è
concorso dove possa giocarti una laurea ridicola per
accumulare punti in graduatoria e prenderti un posto immeritato. Qui è
la prima contraddizione, denunciata da Francesco Giavazzi e Piero Ichino e Roberto Perotti e altri
ancora: il via libera alla moltiplicazione degli atenei senza aver prima
abolito il valore legale del titolo di studio è un errore fatale. Che
toglie risorse, chiedendo una distribuzione a pioggia di stampo clientelare,
alle università vere. Quelle serie. Sobrie. Spesso straordinarie. Che ci
fanno onore in Italia e all'estero. Che hanno già levato alta la loro
protesta. E oggi sono spesso costrette a mettersi in concorrenza coi furboni. E a cedere alla tentazione di aprire in
città e paesi e borghi e contrade più o meno vicine nuove
facoltà e nuovi corsi di laurea. Meglio: nuovi
punti vendita. Basti pensare che questi corsi (per i quali non occorre l'autorizzazione
ministeriale) erano 2.444 nel 2000/2001 e alla fine
del 2005 erano già schizzati a 5.400. Numero destinato a un successivo
incremento (più 861) nonostante, scrive l'ultimo rapporto del Miur, «le raccomandazioni a livello centrale di procedere a
una semplificazione dell'offerta». E così, se le Università sono
diventate 94, le facoltà sono cresciute fino a 610 e i dipartimenti fino
a 1.864 e gli istituti a 319 e i «centri universitari» a vario titolo fino a
1.269. Fino a casi abnormi come quello della «Sapienza». Che da Roma ha
alluvionato di sedi e «sedine» tutta l'Italia
centrale fino ad avere oltre duecento (chissà se almeno il rettore
conosce il numero esatto) indirizzi postali differenti. Dove sono stati coriandolizzati la bellezza di 341 corsi diversi:
dall'infermieristica a Bracciano a logopedia ad Ariccia,
dalle tecniche di laboratorio biomedico a Pozzilli all'architettura degli interni a Pomezia. Per un totale (professori ordinari e assistenti e
ricercatori) di 4.766 docenti. Tutti bravi come Totti?
Difficile da credere. Ma certo anche tra di loro c'è chi ama giocare.
Come i docenti che hanno organizzato, tempo fa, un «corso di composizione
floreale per imparare a realizzare decorazioni di Natale con rametti di pino,
candele e bacche colorate». E poi dicono che l'Università italiana non
punta sulle specializzazioni...
Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella
27 dicembre 2006