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Documento d’interesse   Inserito il 26-2-2009


 

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DOSSIER “Costi della politica”

 

 

Il Corriere della Sera 26-2-2009

 

Il grande buco dei conti di Palermo.

 Il 72 per cento del bilancio va via in stipendi ai dipendenti, uno ogni 30 abitanti

 

Di G.A. Stella

 

Chi deve occuparsi delle piante comunali? Dipende, a Palermo: fino a 249 centimetri di altezza tocca ai giardinieri della Gesip, dai 250 in su a quelli del settore ville e giardini. Non si sgarra, sui centimetri. E a chi toccherà tappare l'enorme buco nei conti municipali che richiederebbe una toppa immediata di almeno 200 milioni di euro? La risposta è assai più complessa. E rischia di aprire nella destra italiana una frattura dagli esiti imprevedibili. Certo, il sindaco azzurro Diego Cammarata dispensa sorrisoni.

E anche se la Corte dei Conti gli ha appena chiesto chiarimenti su un mucchio di cose, dai 26 milioni di debiti fuori bilancio nel 2007 all'abnorme versamento di 247 milioni alle società partecipate fino ai dati allucinanti delle riscossioni delle multe stradali al 23%, ha spiegato al Giornale di Sicilia di avere già messo le mani avanti. «Entro un paio di settimane al massimo risolveremo la questione», ha assicurato: «Il Comune ha i conti a posto e un bilancio sano ma se poi non siamo in grado di riparare il tetto di una scuola o una strada dissestata che senso ha? Il governo deve farsi carico di un problema che non è solo del sindaco. Il precariato è stato un colpo al cuore di questa città perpetrato in anni precedenti all'insediamento di questa amministrazione e ne paghiamo le conseguenze anche in termini finanziari».

In soldoni? Presto detto: su 866 milioni l'anno di spese correnti, il Municipio di Palermo ne scuce 623 (il 72%) per pagare 21.895 dipendenti. Ottomila più di dieci anni fa. Un po' diretti, un po' precari stabilizzati nelle aziende partecipate. Media: un dipendente comunale ogni 30 abitanti. Un carico insostenibile. E ogni giorno più gravoso. Basti dire che alla catastrofica azienda della nettezza urbana, quell'Amia appena salvata dal governo Berlusconi col regalo di 80 milioni di euro nel decreto «milleproroghe» che ha tolto il sonno a tanti sindaci leghisti, c'era fino a poco fa un accordo: un padre poteva lasciare il posto di lavoro al figlio. Col risultato, accusa Maurizio Pellegrino, un consigliere dell'opposizione autore di un esposto micidiale alla Corte dei Conti, «che nel 2008, nonostante il bilancio disastroso e il forte esubero di personale, sono state fatte oltre 400 assunzioni. E che prima d'andarsene, a dicembre, il vecchio Cda ha assorbito altri 80 lavoratori di una ditta privata». Indispensabili? Risponde una tabella che confronta i dati della nettezza urbana di Palermo, Genova e Torino: con la metà degli abitanti, il capoluogo siciliano ha circa mezzo migliaio di dipendenti in più di quello piemontese. Uno ogni 259 abitanti sotto il monte Pellegrino, uno ogni 577 sotto la Mole Antonelliana. Totale dei rifiuti raccolti in un anno per dipendente: 164 tonnellate a Palermo, 220 a Genova, 491 a Torino.

Per non dire della raccolta differenziata: 21 chili l'anno per abitante a Palermo, 74 a Genova, 236 a Torino. Fatto sta che, nonostante trabocchi di addetti (uno spazzino ogni due chilometri di strada da pulire: primato planetario), l'azienda si muove come non bastassero mai. Ed ecco gli appalti esterni per la pulizia dei propri locali, gli appalti esterni per pulizia degli automezzi, gli appalti esterni per la pulizia dei cassonetti. Girano storie leggendarie, sull'Amia. Una è di pochi mesi fa: i poliziotti fanno visita a un sorvegliato speciale, vengono informati che l'uomo «non è a casa perché è al lavoro, all'Amia», si spostano là dove dovrebbe stare e non solo non trovano lui ma scoprono che su 37 dipendenti in quel settore quelli presenti sono 2. E gli altri 35? Boh... Sugli amministratori della società c'è un'inchiesta aperta. In pratica, stando alle accuse, avevano costituito aziende satelliti alle quali vendevano partecipazioni virtuali, per un totale di circa 50 milioni di euro, facendo così risultare in attivo i conti della capogruppo. Cosa che consentiva loro, tra l'altro, di auto-riconoscersi un premio di produttività.

La procura, per andare avanti, avrebbe fatto sapere che il sindaco dovrebbe presentare querela impedendo così la prescrizione. Risposta: stiamo esaminando la questione. Che la faccenda imbarazzi è ovvio: come ha fatto il Municipio, per anni, ad approvare come azionista unico il bilancio delle partecipate senza inserire nel bilancio proprio il debito corrispondente? Com'è noto, quel mucchio di soldi dati per evitare il crac dell'Amia, soldi che Cammarata vorrebbe fossero solo un antipasto d'un più sostanzioso aiuto di duecento milioni, hanno fatto venire il mal di pancia a molti, nella destra. La quale, proprio adesso che la sinistra è in pezzi dopo le sconfitte a ripetizione, rischia sulla questione Nord-Sud di andare alla rissa intestina. «II governo voleva premiare i virtuosi punendo i lazzaroni, invece sta andando in direzione opposta», si è sfogato con Libero il sindaco di Varese, Attilio Fontana. «Il Comune di Palermo dovrebbe essere immediatamente commissariato. Già quello di Catania non era un bell'esempio, ma questo è più grave: Cammarata guida il Comune da più di sette anni, quindi non ha la scusante d'essersi ritrovato buchi di bilancio delle amministrazioni precedenti», ha insistito col Corriere del Veneto il suo collega veronese Flavio Tosi.

Eppure quello dell'Amia, presieduta fino a poco tempo fa dal segretario cittadino di Forza Italia e oggi senatore del Pdl Enzo Galioto e bollata dal Sole 24 ore come «un covo d'interessi clientelari», è solo una parte del disastro amministrativo palermitano. Sprofonda la società dei trasporti urbani Amat, che ha visto i passeggeri crollare da 24 a 19 milioni, che copre con gli incassi dei biglietti poco più del 18% delle spese, che su 598 autobus in dotazione è arrivata a utilizzarne in realtà solo 235 con gli altri guasti nelle rimesse, che un anno e mezzo fa arrivò ad assumere (alla vigilia delle elezioni) 110 autisti d'autobus tutti 110 senza la patente per l'autobus. Sprofonda la Gesip, che si occupa di un sacco di cose, dai disabili ai giardini, e di cui Antonio Fraschilla ha raccontato, sulle pagine locali di Repubblica, storie surreali. Come appunto le tignose precisazioni contrattuali sulla competenza della cura degli alberi più alti o più bassi di due metri e mezzo o sulla irrigazione «affidata alla Gesip, ma solo se nei terreni ci sono impianti automatici, in caso contrario intervengono i giardinieri comunali» o sull'erba che «se cresce dentro un'aiuola sotto un albero deve pulirla l'operaio Gesip, ma se cresce qualche centimetro più in là, sul marciapiede, allora la pulizia diventa compito dell'Amia Essemme». Col risultato finale che per tenere in ordine una quota di verde urbano simile, poco più di duemila ettari, Torino spende 12 milioni di euro e Palermo (385 mila euro a ettaro l'anno) addirittura 27.

Potrà il federalismo, se passerà davvero («Ho passato la cinquantina e non credo che lo vedrò mai», si è sfogato Giancarlo Galan) mettere ordine in questo caos? Eccolo, il dubbio che turba, nel profondo Nord, la destra trionfante. Anche perché Dio sa quanto sarebbe necessaria, di questi tempi, una svolta virtuosa. Diranno: ma le cose vanno già meglio. Mica tanto: basti dire che, col bisogno che ha di denaro, Palermo incassa oggi dai suoi cittadini ancora meno di ieri. Sapete in quanti pagavano la Tarsu tre anni fa? Il 32%. E oggi? Due punti in meno: poco più del 29. Per non dire dei soldi incassati con la Tosap per l'occupazione temporanea di suolo pubblico: 16,2% del dovuto. O con l'imposta comunale sulla pubblicità: 10,9%. Non sarà davvero facile davanti a questi numeri, per Giulio Tremonti, accontentare insieme tutti gli alleati, da Vipiteno a Capo Passero. Magari il problema fosse solo la sinistra...

Gian Antonio Stella
26 febbraio 2009