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il 10-2-2009 |
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Appello Rompiamo il silenzio Da http://www.libertaegiustizia.it totale adesioni: 75567 (ore 9.15 del 10-2-09) data apertura: 07/02/2009
“Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per
questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma
neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente
progressive dell’umanità… La differenza tra la mia generazione e
quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Primi firmatari:
Gustavo Zagrebelsky, Gae Aulenti, Umberto Eco, Claudio Magris, Guido Rossi,
Sandra Bonsanti, Giunio Luzzatto, Simona Peverelli, Elisabetta Rubini,
Salvatore Veca. Rompiamo il silenzio. Mai come ora è
giustificato l’allarme. Assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento
sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo
della legalità e dell’uguaglianza, impunità per i forti e
costrizione per i deboli, libertà come privilegi e non come diritti.
Quando i legami sociali sono messi a rischio, non stupiscono le idee
secessioniste, le pulsioni razziste e xenofobe, la volgarità,
l’arroganza e la violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi. Preoccupa
soprattutto l’accettazione passiva che penetra nella cultura. Una nuova
incipiente legittimità è all’opera per avvilire quella
costituzionale. Non sono difetti o deviazioni occasionali, ma segni
premonitori su cui si cerca di stendere un velo di silenzio, un velo che
forse un giorno sarà sollevato e mostrerà che cosa nasconde, ma
sarà troppo tardi. Non vedere è non voler vedere. Non
conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico. Pochi Paesi al
mondo affrontano l’attuale crisi economica e sociale in un decadimento etico
e istituzionale così esteso e avanzato, con regole deboli e
contestate, punti di riferimento comuni cancellati e gruppi dirigenti
inadeguati. La democrazia non si è mai giovata di crisi come quella
attuale. Questa può sì essere occasione di riflessione e
rinnovamento, ma può anche essere facilmente il terreno di coltura
della demagogia, ciò da cui il nostro Paese, particolarmente, non
è immune. La demagogia è il rovesciamento del
rapporto democratico tra governanti e governati. La sua massima è:
il potere scende dall’alto e il consenso si fa salire dal basso. ll primo suo
segnale è la caduta di rappresentatività del Parlamento. Regole
elettorali artificiose, pensate più nell’interesse dei partiti che dei
cittadini, l’assenza di strumenti di scelta delle candidature (elezioni
primarie) e dei candidati (preferenze) capovolgono la rappresentanza.
L’investitura da parte di monarchie o oligarchie di partito si mette al posto
dell’elezione. La selezione della classe politica diventa una cooptazione
chiusa. L’esautoramento del Parlamento da parte del governo, dove siedono
monarchi e oligarchi di partito, è una conseguenza, di cui i
decreti-legge e le questioni di fiducia a ripetizione sono a loro volta
conseguenza. La separazione dei poteri è fondamento
di ogni regime che teme il dispotismo, ma la demagogia le è nemica,
perché per essa il potere deve scorrere senza limiti dall’alto al basso.
Così, l’autonomia della funzione giudiziaria è minacciata;
così il presidenzialismo all’italiana, cioè senza contrappesi e
controlli, è oggetto di desiderio. Ci sono
però altre separazioni, anche più importanti, che sono
travolte: tra politica, economia, cultura, e informazione; tra pubblico e
privato; tra Stato e Chiesa. L’intreccio tra questi fattori della vita
collettiva, da cui nascono collusioni e concentrazioni di potere, spesso
invisibili e sempre inconfessabili, è la vera, grande anomalia del
nostro Paese. Economia, politica, informazione, cultura, religione si
alimentano reciprocamente: crescono, si compromettono e si corrompono l’una
con l’altra. I grandi temi delle incompatibilità, dei conflitti
d’interesse, dell’etica pubblica, della laicità riguardano queste
separazioni di potere e sono tanto meno presenti nell’agenda politica
quanto più se ne parla a vanvera. Soprattutto, il
risultato che ci sta dinnanzi spaventoso è un regime chiuso di
oligarchie rapaci, che succhia dall’alto, impone disuguaglianza, vuole avere
a che fare con clienti-consumatori ignari o imboniti, respinge chi, per
difendere la propria dignità, non vuole asservirsi, mortifica le
energie fresche e allontana i migliori. È materia di giustizia, ma
anche di declino del nostro Paese, tutto intero. Guardiamo la
realtà, per quanto preoccupante sia. Rivendichiamo i nostri diritti di
cittadini. Consideriamo ogni giorno un punto d’inizio, invece che un punto
d’arrivo. Cioè: sconfiggiamo la rassegnazione e
cerchiamo di dare esiti allo sdegno. Che cosa possiamo fare dunque noi, soci e
amici di Libertà e Giustizia? Possiamo far crescere le nostre forze per
unirle alle intelligenze, alle culture e alle energie di coloro che rendono
vivo il nostro Paese e, per amor di sé e dei propri figli, non si rassegnano
al suo declino. Con questi obiettivi primari. Innanzitutto, contrastare
le proposte di stravolgimento della Costituzione, come il
presidenzialismo e l’attrazione della giurisdizione nella sfera d’influenza
dell’esecutivo. Nelle condizioni politiche attuali del nostro Paese, esse
sarebbero non strumenti di efficienza della democrazia ma espressione e
consolidamento di oligarchie demagogiche. Difendere la legalità contro il
lassismo e la corruzione, chiedendo ai partiti che aspirano a
rappresentarci di non tollerare al proprio interno faccendieri e corrotti,
ancorché portatori di voti. Non usare le candidature nelle elezioni come
risorse improprie per risolvere problemi interni, per ripescare personaggi,
per pagare conti, per cedere a ricatti. Promuovere, anche così,
l’obbligatorio ricambio della classe dirigente. Non lasciar
morire il tema delle incompatibilità e dei conflitti d’interesse, un
tema cruciale, che non si può ridurre ad argomento della
polemica politica contingente, un tema che destra e sinistra hanno lasciato
cadere. Riaffermare la linea di confine, cioè la
laicità senza aggettivi, nel rapporto tra lo Stato e
la Chiesa cattolica, indipendenti e sovrani “ciascuno nel proprio ordine”,
non appartenendo la legislazione civile, se non negli stati teocratici,
all’ordine della Chiesa. Promuovere la cultura politica, il pensiero critico,
una rete di relazioni tra persone ugualmente interessate alla convivenza
civile e all’attività politica, nel segno dei valori costituzionali. Sono obiettivi
ambiziosi ma non irrealistici se la voce collettiva di Libertà e
Giustizia potrà pesare e farsi ascoltare. Per questo
chiediamo la tua adesione. |