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Documento d’interesse   Inserito il 24-7-2007


 

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La Repubblica 23-7-2007

 

"La Cina ha milioni di poveri
l'economia non si fermerà"

 

 

PECHINO - "Una crescita del Pil cinese del 12% annuo vi sembra troppa? Dipende dai punti di vista: potrebbe anche essere troppo poca. Se invece di concentrarvi su Pechino, Shanghai e Canton guardate al livello di sviluppo delle nostre zone interne, per esempio la Cina centro-occidentale, il bisogno di crescita è perfino superiore". Chi parla è uno dei più potenti banchieri di Pechino, Li Ruogu, presidente della China Exim Bank. "E anche le nostre potenzialità di sviluppo sono quasi illimitate, visto il bacino di manodopera rurale che ancora deve trasferirsi dall'agricoltura all'industria. In quest'ottica, l'allarme per i rischi dell'economia cinese mi pare esagerato o prematuro".

Li Ruogu è forse il finanziere più importante in assoluto, perché attraverso la sua attività di finanziamento delle esportazioni è al centro dei rapporti tra la Cina e l'economia globale. L'allarme che affrontiamo in questa intervista nasce dagli ultimi dati sull'economia cinese, che attraversa il boom più lungo della sua storia. La crescita dell'11,5% del Pil nel 2006 sembrava un record irripetibile e invece nell'ultimo trimestre è accelerata ulteriormente, fino all'11,9%. Lo stesso Congresso nazionale del Popolo (l'assemblea legislativa cinese) parla di "rischi di surriscaldamento". L'inflazione è salita al 4,4% e la banca centrale è corsa ai ripari con il quinto rialzo dei tassi (+0,27%) in 15 mesi, più un taglio dell'imposta sui depositi bancari che equivale a un altro aumento dei rendimenti. Ma ad alimentare la crescita ci sono motori finora inarrestabili: l'aumento costante delle esportazioni (l'attivo commerciale ha raggiunto 112,5 miliardi di dollari nel primo semestre, le riserve valutarie arrivano a 1.330 miliardi) insieme con l'aumento degli investimenti sia pubblici che privati.


L'Ocse ha stimato che la crescita potenziale e quindi fisiologica della vostra economia è del 9,5% annuo. Se ne può dedurre che al di sopra di quel ritmo di aumento del Pil rischiate di rilanciare l'inflazione e di andare incontro a un crac finanziario o a una recessione?

"Da 13 anni ormai abbiamo aumenti del Pil superiori al 10% e non vedo segni che questa crescita stia raggiungendo i suoi limiti. Ci sono tanti modi per calcolare il ritmo di crescita potenziale, io penso che l'11% non sia affatto un livello eccessivo. Nel passato paesi più piccoli della Cina, come il Giappone e la Corea del Sud, hanno avuto periodi di decollo economico molto prolungati. E ciò accadeva quando l'economia globale era meno aperta di oggi e non c'erano gli effetti moltiplicatori delle nuove tecnologie informatiche".

Che cosa le fa ritenere che la Cina possa sfidare le leggi di gravità, crescendo sempre più in fretta e senza incappare in una crisi?

"La prima ragione è l'offerta di lavoro. Abbiamo una popolazione di un miliardo e 300 milioni, di cui 760 milioni di lavoratori attivi. Il loro numero continua a crescere dell'1% all'anno che vuol dire 7,6 milioni di occupati in più ogni 12 mesi. Di questa forza lavoro attiva ben 340 milioni sono agricoltori. L'urbanizzazione è destinata ad accelerare. Nei prossimi 25 anni avremo almeno 120 milioni di operai aggiuntivi, e nonostante questo ci sarà ancora una larga quota di popolazione rurale disposta a lasciare i campi per andare a lavorare nelle fabbriche e nei cantieri delle città. Tenendo conto che la produttività di un operaio è molto superiore a quella di un contadino, questa formidabile riserva alimenterà ancora a lungo il nostro sviluppo".

L'immenso serbatoio di manodopera di per sé non è una garanzia di crescita: può anche tradursi in disoccupazione, senza un adeguato livello di investimenti.

"Qui entrano in gioco le altre risorse che abbiamo. Una è il risparmio: i depositi bancari delle famiglie raggiungono 1.400 miliardi di euro, le nostre riserve valutarie sono le più alte del mondo, gli investimenti esteri continuano ad affluire al ritmo di 60 miliardi di dollari all'anno. Su questa disponibilità di capitali si innesta il ruolo del progresso scientifico e tecnologico. La Cina sta formando un esercito di scienziati di eccellenza mondiale, la nostra capacità di innovare migliora di anno in anno".

Però uno squilibrio pericoloso è nelle diseguaglianze sociali. I profitti delle imprese salgono del 40%, i ricchi diventano sempre più ricchi, si scava un divario con gli altri. Si usa dire che il boom cinese è trainato da una troika composta di due robusti cavalli e un asino macilento: i cavalli da traino sono le esportazioni e gli investimenti, l'asinello rappresenta i consumi.

"La questione delle diseguaglianze è al centro della nostra attenzione. Abbiamo 23 milioni di contadini e 22 milioni di abitanti delle città che vivono sotto il livello della povertà assoluta (alcune stime internazionali calcolano un numero di poveri ancora più elevato, ndr). Il divario di redditi fra città e campagne è di 3,2 a 1 cioè uno dei peggiori del mondo. I contadini delle zone più remote che coltivano le terre meno fertili vivono davvero in un altro mondo rispetto alla Cina delle grandi metropoli industriali. Questo tuttavia è un argomento in più per sostenere che la Cina può sostenere ritmi di crescita molto elevati e per lungo tempo. La strategia di riequilibrio delle disparità regionali punta a stimolare gli investimenti nel nord-est, nel centro e nell'ovest. C'è un bisogno di modernizzazione delle infrastrutture in quelle zone e questo è un altro motore di investimenti e di crescita. Dobbiamo anche affrontare i costi ambientali dello sviluppo, il degrado delle nostre risorse naturali, lo spreco di energia. Il governo ne è consapevole ed è orientato a cambiare profondamente il modello di sviluppo. Perché questa sfida sia vinta, è importante che la Cina possa agire in un contesto internazionale favorevole".

Invece sul contesto internazionale si addensano nubi minacciose. Dopo la lunga serie di scandali che hanno colpito merci "made in China" contraffatte e pericolose per la salute dei consumatori, l'Occidente può alzare delle barriere e rallentare le vostre esportazioni.

"La ragione fondamentale per cui la Cina oggi ha elevati attivi commerciali con gli Stati Uniti e con l'Europa è di natura strutturale: produrre una camicia qui da noi costa un trentesimo di quel che costa nei vostri paesi. Questo divario competitivo ha una forza che è inutile contrastare. C'è una logica di mercato che regge la nuova divisione internazionale del lavoro. Vedo che il protezionismo diventa sempre più popolare nei paesi ricchi. Voi europei e gli americani sembrate dimenticare che foste i primi a volere una Cina aperta al commercio internazionale: nell'Ottocento con la politica delle cannoniere, dieci anni fa spingendo per il nostro ingresso nel Wto. A chi oggi chiede barriere protezionistiche io voglio ricordare che il 58% delle esportazioni made in China viene effettuato da multinazionali estere, e quindi le vostre imprese e i risparmiatori che ne sono azionisti sono tra i beneficiari della nostra crescita. Inoltre noi spendiamo sempre di più all'estero. Per citare un solo esempio fra tanti, 30 milioni di cinesi hanno fatto turismo all'estero l'anno scorso, e sono destinati ad aumentare a una velocità sostenuta".