La Stampa 8-3-2007
Bush in America Latina per accerchiare Chavez
MAURIZIO
MOLINARI
IL LEADER DELLA CASA BIANCA QUESTA SERA A SAN PAOLO
"Il radicalismo di Caracas minaccia il continente"
NEW YORK
Corsa agli armamenti, tolleranza nei confronti del narcotraffico, minacce per
gli investimenti stranieri e mire egemoniche sull’intera America Latina: sono
questi i quattro capi di accusa nei confronti del presidente venezuelano Hugo
Chavez di cui George W. Bush si fa portatore nel viaggio che inizia questa
sera a San Paolo, Brasile, e gli farà visitare cinque nazioni del
Sudamerica in un arco di appena sei giorni. La maratona dell’inquilino della
Casa Bianca fra Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico è il
più lungo viaggio da lui fatto in America Latina e punta ad isolare
Chavez, identificandolo come una minaccia per la stabilità e lo
sviluppo nella regione.
Il primo e più voluminoso dossier che Bush porta con sé, si apprende
in ambienti del Dipartimento di Stato, contiene i numeri della corsa agli
armamenti da parte di Caracas: negli ultimi 24 mesi sono stati spesi 4,3
miliardi di dollari la maggioranza dei quali sono andati a Mosca per
l’acquisto di 24 caccia Sukhoi, 50 elicotteri da attacco e trasporto nonché
100 mila Kalashnikov. Senza contare che a Maracay sono già iniziati i
lavori per la costruzione di una fabbrica russa di Kalashnikov che, si teme a
Washington, potrebbero servire ad armare movimenti di guerriglia
nell’Emisfero Occidentale.
Nel complesso Caracas nel 2006
ha registrato un aumento del 12,6 per cento del
bilancio militare, diventano non solo la nazione del Sud America che
più spende per armamenti ma superando anche in questa classifica
mondiale nazioni come il Pakistan (3 miliardi di dollari) e l’Iran (1,7
miliardi di dollari). Il direttore della Defence Intelligence Agency, Michel
Maples, ritiene che dietro questi numeri vi sia l’intento di «estendere la
propria egemonia sull’America Latina» neutralizzando l’influenza americana e
contrastando anche la ventata di riformismo di sinistra che proviene dal Cile
di Michelle Bachelet. Se il riarmo di Chavez terrà banco nelle tappe
in Brasile ed Uruguay a Bogotà, in Colombia, Bush si avvia a discutere
i contenuti del recente rapporto dell’amministrazione Usa sul traffico della
droga, secondo il quale l’ammontare di cocaina che viene spacciato attraverso
il Venezuela è arrivato a toccare il record di 220 tonnellate l’anno a
causa della sovrapposizione fra «corruzione dilagante, un debole sistema
giuridico e la mancanza di cooperazione internazionale nella lotta ai
narcotici».
Quest’ultimo elemento è una conseguenza della decisione di Chavez di
non voler più accettare 2,2 milioni di dollari di aiuti da Washington
per la guerra al narcotraffico. La carenza di impegno di Chavez su questo
fronte, secondo l’amministrazione Bush, offre ai trafficanti colombiani una
facile via di uscita per sottrarsi alle operazioni anti-narcotici. Il terzo
capo d’accusa di Bush ha a che vedere con quanto sta avvenendo nella valle
del fiume Orinoco, dove Chavez ha dato quattro mesi di tempo alle compagnie
petrolifere straniere per negoziare la cessione al Venezuela del 60 per cento
dei loro investimenti, pari ad un totale che supera i 17 miliardi di dollari.
La nazionalizzazione del greggio fa temere a Washington una chiusura
progressiva all’economia di mercato destinata ad avere effetti negativi a
valanga sugli scambi nella regione. Senza contare il rischio di un braccio di
ferro petrolifero all’orizzonte. «Quando negli anni Novanta il Venezuela
aprì il settore petrolifero agli investimenti stranieri lo fece perché
non aveva nè i capitali nè la tecnologia per sfruttare i
giacimenti soprattutto nell’Orinoco» sottolinea Thomas Shannon, assistente
segretario di Stato per l’Emisfero Occidentale, lasciando intendere che
l’attuare inversione di rotta può portare ad un indebolimento
dell’industria estrattiva del quarto fornitore di greggio degli Usa e dunque
alla possibilità di acquistare il petrolio da altri fornitori.
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