Il Sole 24 Ore del
18-2-2008
Potere d'acquisto bruciato
tra banche e assicurazioni
di Fabrizio Patti
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annuo nel 2008
Mercati protetti contro liberalizzazioni e concorrenza. Che la
contrapposizione non sia solo teorica ma si rifletta sui portafogli lo
suggeriscono i dati sull'aumento dei prezzi al consumo dal 1995 al 2007.
Secondo quanto emerge da un'elaborazione del Sole 24 Ore del lunedì su
dati Istat, il potere d'acquisto degli italiani si è eroso soprattutto
in alcuni settori: dalla metà degli anni Novanta sono più che
raddoppiati i prezzi delle assicurazioni, in particolare quelle dei mezzi di
trasporto e dei costi bancari, a fronte di un aumento medio di tutte le merci
del 33,9 per cento. A tripla cifra anche i rincari delle tasse e dei
contributi per l'istruzione secondaria. Seguono oreficeria, acqua potabile,
combustibili e sigarette. Infine, ma in cima ai pensieri di molti, i prezzi delle
case: secondo i dati di Scenari Immobiliari dal 1995 a oggi l'aumento
nominale è stato di 71 punti percentuali.
Dalla parte opposta della classifica si trovano soprattutto prodotti
tecnologici, ma anche motocicli e auto. È cresciuto meno dell'inflazione
anche il costo della pasta, che però ha avuto un'impennata di quasi
dieci punti nel solo 2007.
A conti fatti, e considerando l'intera collettività, il potere
d'acquisto degli italiani non è diminuito: se si considerano i dati di
Banca d'Italia, si nota infatti che i redditi
nominali delle famiglie sono aumentati dal '95 al 2006 del 43%, contro una
crescita del livello dei prezzi del 30. Come interpretare queste tendenze?
«I settori in cui i prezzi sono cresciuti di
più sono non a caso i servizi, meno esposti alla concorrenza
internazionale – commenta Luca Mezzomo,
responsabile della ricerca macroeconomica nel servizio studi di Intesa Sanpaolo –. Sono rincarati poi i prodotti legati alle
quotazioni delle materie prime, come i combustibili. A tenere bassi i prezzi
degli altri prodotti, sono interventi poi due fattori: il processo
tecnologico, che ha determinato un aumento di produttività, e la
delocalizzazione, che ha accentuato il calo dei prezzi all'importazione».
Che cosa ci attende, invece, nei prossimi anni? «Mi
aspetto due tendenze - continua Mezzomo -. La prima
è un minor contributo disinflazionistico della delocalizzazione:
continueranno gli spostamenti verso l'estero, ma saranno rivolti sempre
più ai mercati esteri; inoltre nei Paesi emergenti cominciano a
manifestarsi rialzi dei costi. La seconda tendenza è una pressione al
rialzo sulle materie prime, in particolare quelle agricole. Questo sia per
l'"effetto biocarburanti", sia per l'aumento dei consumi di carne
in Cina, che comporterà un maggior uso di mangimi e quindi una
crescita dei prezzi dei cereali».
In buona parte coincidente l'analisi di Giacomo Vaciago,
professore ordinario di Economia politica all'Università Cattolica di
Milano: «L'arco temporale di dodici anni permette di
cogliere tendenze strutturali – sottolinea Vaciago
–. I fenomeni che muovono i prezzi relativi e assoluti sono fondamentalmente
tre: primo, la concorrenza, interna e internazionale. Su questo fronte si
è vista la crescita sempre maggiore dei Paesi emergenti. Secondo, le ragioni
di scambio: noi Paesi consumatori di petrolio abbiamo perso ragioni di
scambio nei confronti dei produttori, soprattutto per la crescente domanda di
greggio da Cina e India. E la crescita di queste due nazioni ha determinato
l'aumento anche delle materie prime agricole. In terzo luogo l'innovazione
tecnologica, che ha permesso aumenti di produttività tali da far
diminuire i prezzi di computer e cellulari. L'analisi dei fattori strutturali
ci permette di immaginare cosa succederà nei prossimi anni: continuerà
ad aumentare il prezzo delle materie prime, anche perché non sarà
possibile aumentare l'offerta in tempi brevi. Sul fronte della concorrenza
interna se in Europa si liberalizza in certi settori, per esempio nei
trasporti, i prezzi dovrebbero scendere. Ma come dimostrano le proteste dei
tassisti in Francia, lo scontro sarà fortissimo».
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