Il Corriere della
Sera 11-12-2008
L'Italia degli «atenei inutili»
In 33 nemmeno una matricola
Le spese per il personale sono passate in cinque
anni da 5,7 a
8 miliardi
Il
caso limite di Celano, sui monti della Marsica: un
corso di ingegneria agroindustriale con 7 prof per 17 ragazzi
Di Gian Antonio Stella
Zero, zero,
zero, zero, zero... È tutta lì, la fotografia della follia
dell'Università italiana. Nella ripetizione per 33 volte, nella
casella «immatricolati» di altrettanti «atenei» distaccati, del numero «0».
Neppure un nuovo iscritto. Manco uno. Prova provata che la decisione
megalomane e cocciuta di volere a tutti i costi almeno un corso di laurea
sotto il campanile era totalmente sballata. Il dato, che conferma le denunce
più allarmate, è contenuto nel Rapporto annuale 2008 sul nostro
sistema universitario.
Il rapporto (i cui dati sono del 2007, qua e là aggiornati fino alla
primavera scorsa) viene presentato oggi da Mariastella
Gelmini. E possiamo scommettere che accenderà un dibattito infuocato.
Perché delle due l'una: o queste cifre sono corrette (e se è
così in molti casi serve un lanciafiamme) o lo sono solo in parte. E
in questo caso il quadro sarebbe paradossalmente ancora più grave.
Ogni numero del documento, infatti, risulta ufficialmente fornito alla banca
dati del Miur dagli stessi atenei. Il rapporto, si
capisce, offre una carrellata su un sacco di cose. Dice che gli studenti
stranieri sono al massimo il 7,1% (a Trieste) e si inabissano allo 0,1 a Messina. Riconosce
che la spesa media per ogni giovane iscritto negli atenei statali è di
8.032 euro contro i 15.028 che vengono spesi in Austria o i 23.137 in Svizzera.
Spiega che siamo «al terzo posto al mondo, e addirittura al primo in Europa,
per accessibilità, cioè per il numero di università (e
relativi studenti) che si trovano tra le prime 500 università», ma che
al contrario scivoliamo al 30˚ «per Flagship,
ovvero per la qualità delle primissime università». Denuncia
che le spese per il personale sono passate dal 2001 al 2006 da 5 miliardi e
764 milioni di euro a quasi 8 miliardi. Annota che l'età media dei
docenti si è inesorabilmente alzata ancora.
LE
CLASSIFICHE Riporta
le classifiche mondiali elaborate dalla Quacquarelli
Symonds, secondo le quali
abbiamo solamente 10 università nelle prime 200 d'Europa (contro 47
del Regno Unito, 37 della Germania, 19 della Francia o 12 dell'Olanda, che ha
un quarto dei nostri abitanti) e per di più queste, ad eccezione del
Politecnico di Milano, di Padova e della Federico II di Napoli, perdono nel
2008 nuove posizioni rispetto alla già scoraggiante hit-parade
dell'anno precedente. I numeri più impressionanti, però, sono
forse quelli che dimostrano l'assurdità della moltiplicazione di
«città universitarie». Cioè di paesotti,
borghi e contrade a volte microscopici che hanno fortissimamente voluto
qualcosa che potesse definirsi «universitario» come simbolo di riscatto o di
promozione sociale alla pari di uno svincolo autostradale o di una
circonvallazione. Una mania ridicolizzata dal costituzionalista Augusto
Barbera con una battuta irresistibile: «Sogno di trovare all'ingresso dei
paesi il cartello "comune de-universitarizzato"».
Un esempio per tutti? Poggiardo, seimila anime tra
Maglie e Santa Cesarea Terme, in provincia di Lecce, dove il sindaco Silvio
Astore non si è dato pace finché non ha avuto un distaccamento della Lum, Libera università mediterranea: «Il nostro
paese è oramai una meravigliosa realtà accademica d'eccellenza
e concorre a pieno titolo a un rilancio culturale del tessuto socioeconomico
del territorio». Dice dunque il Rapporto annuale del ministero, liquidando
questi «napoleonismi» campanilistici, che su 239
«città universitarie» inserite nel «catalogo» (anche se i conti non
tornano con altri studi, come quello di Salvatore Casillo,
Sabato Aliberti e Vincenzo Moretti, tre docenti
salernitani autori mesi fa di un censimento che aveva contato 251 comuni che
ospitavano almeno un corso di laurea) molte esistono ormai solo sulla carta.
E dopo essere appassite in una manciata di anni, risultano somigliare a certi
Enti Inutili che si trascinano dietro pendenze varie che ne ostacolano
l'immediata soppressione.
SENZA
STUDENTI Numeri
ufficiali alla mano, 42 «atenei» hanno meno di cinquanta immatricolati, 20 ne
hanno meno di venti (Moncrivello, Bisceglie e Pescopagano 12, Caltagirone e Andria 11, Figline Valdarno 5, Trani uno solo) e trentatré, come
dicevamo all'inizio, non hanno più un solo studente che si sia aggiunto
agli iscritti precedenti. Iscritti che in rari casi erano abbastanza numerosi
(esempio: 480 ad Acireale), ma nella grande maggioranza dei casi erano
già talmente pochi da fare impallidire chi si era incaponito sulla
voglia di aprire una sede che potesse dirsi «universitaria». Venticinque
studenti in totale al corso di «Tecniche erboristiche» a Bivona
(dove non ci sono mense né pensionati né postazioni Internet né laboratori né
biblioteche), 41 a
Sanluri, che coi suoi 8.519 abitanti è il
capoluogo della provincia sarda di Medio Campidano, 11 nell'emiliana Varzi, 4 a
Corigliano Calabro e nella siciliana Vittoria. E
poi un solo sopravvissuto a Spoleto, Città della Pieve, San Casciano in Val di Pesa... Al
di là di questo e quel caso singolo, più o meno tragico o
ridicolo, è un po' tutto il sistema da riformare. Lo dice, ad esempio,
il presidente della Provincia di Agrigento Eugenio D'Orsi. Il quale, in crisi
coi conti, ha sparato a zero sul modo in cui è stato costruito il polo
universitario agrigentino, legato a quello di Palermo, dicendo che è
del tutto «superfluo avere ben 17 corsi di laurea uno dei quali addirittura
con un solo studente». Tanto più che un docente portato a insegnare
nella valle dei Templi costa quasi il triplo più che nella
città di santa Rosalia.
«MODELLO
CELANO»
- Al «modello Celano» è stata dedicata qualche settimana fa
un'inchiesta del Messaggero. Che si è chiesto che senso avesse mettere
su, in un «borgo montano sperduta nel nulla » con le
aule affacciate sui monti della Marsica, un corso
di laurea in Ingegneria Agro-Industriale. Corso partito quest'anno con 17
matricole e 7 professori. Uno ogni due studenti. Il tutto finanziato («Noi
non ci rimettiamo un euro», ci tiene a spiegare il rettore
dell'Università dell'Aquila Ferdinando di Orio) da un Consorzio voluto
dal Comune, banche e alcune aziende locali. Il record però,
probabilmente, è di Sorgono, un paese sardo che coi suoi 1.949
abitanti è meno popolato di certi palazzoni popolari nelle periferie
delle metropoli. Senza una facoltà proprio non riusciva a stare.
Adesso c'è un corso di laurea in Informatica. Se dovesse non essere
sufficiente (nessun immatricolato nuovo, ma i vecchi iscritti sono 38: wow!),
il panorama nazionale è in grado di suggerire un mucchio di corsi
alternativi. Tra le migliaia e migliaia già offerti
ai più fantasiosi studenti italiani, almeno alcuni meritano una
segnalazione: «Scienze e Tecnologie del Fitness e dei Prodotti della Salute»,
«Scienze del Fiore e del Verde», «Etologia degli Animali d'Affezione»...
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