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Documento d’interesse   Inserito il 24-4-2007


 

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Da aprileonline.info 23-4-2007

 

Passione e sobrietà per una politica nuova

 

Sandro De Toni ,  23 aprile 2007

 

 

 

La riflessione. La crisi della ars governandi italiana è un problema essenziale con cui soprattutto la sinistra è chiamata a confrontarsi. Due gli elementi che la rinnoverebbero: la sua trasformazione in progetto altamente umano e la riscoperta della questione morale posta da Berlinguer



Esiste - ha scritto Carlo Leoni - "il bisogno di rinnovamento che solo chi pensa alla politica come ‘tecnologia della gestione del potere' può considerare cosa da poco". Serve una riforma radicale dei partiti politici, diventati ormai sempre meno rappresentativi e democratici, ma al tempo stesso sempre più invadenti nella sfera civile e amministrativa.
Infatti, paradossalmente, nella crisi della politica, dei corpi intermedi, nella fase in cui maggiormente si è teorizzato "il partito leggero", è cresciuto il numero di coloro che fanno politica di mestiere: partiti leggeri, politica pesante.
Il numero delle persone che vivono di politica è impressionante: mezzo milione di soggetti, di cui circa 150mila eletti e 280mila tra incarichi e consulenze per un spesa annua di circa 3 miliardi di euro. Un'enormità. I costi complessivi della politica non sono esosi tanto per via del finanziamento dei partiti, ma per via degli apparati che gli eletti nelle varie amministrazioni erigono intorno a sé (vedi Paolo Borioni - Risorse per la politica - 2005).
Le retribuzioni degli incarichi istituzionali è generalizzata e comunque tra le più alte in Europa. E' quasi sparita la politica come volontariato, come impegno gratuito auto gratificante. Non a caso anche nel paese forse più politicizzato esistente in Europa si registra la disaffezione degli elettori e il calo degli iscritti ai partiti.

La crisi della politica è un problema specifico della Sinistra perché l'antipolitica e il populismo sono congeniali alla Destra italiana. Anzi, la personalizzazione della politica focalizzata sulla figura del leader derivante dall'americanizzazione della politica assume nel nostro paese caratteri originali e "creativi". Tanto che combattere la cosiddetta "personalità democratica" è diventato un compito prioritario per chi vuole in Italia rifondare la politica. Così la descrive Mario Tronti, in parallelo con la critica della "personalità autoritaria" fatta nei decenni scorsi dalla scuola di Francoforte: "la personalità democratica è una personalità non carismatica e tuttavia demagogica, eterodiretta dalla sua immagine, in sudditanza rispetto alla dittatura della comunicazione, omnipresente come figura, inconsistente come persona". A quanti politici odierni si adatta questa descrizione?

Le cause di fondo sono state da tempo indagate: la crisi delle ideologie e della funzione dello stato nazionale; la crisi del welfare state e del compromesso socialdemocratico; la crisi del progresso inteso come processo lineare, il mito, cioè, della carovana in cui prima o poi tutti arrivano a superare il valico del benessere. Il potere reale si è in buona misura spostato altrove: organismi internazionali (UE, FMI, Banca mondiale, WTO, Ocse), multinazionali, finanziarizzazione dell'economia.
Emerge con forza, con la mondializzazione di questo modello capitalistico e la sua estensione fino ai margini più estremi del pianeta, i suoi limiti intrinseci e le sue profonde contraddizioni, dal clima all'inasprirsi delle disuguaglianze, all'espandersi della guerra e della violenza. Cadono verticalmente le promesse di un mondo migliore per tutti. Anche nei paesi più sviluppati la generazione nata nel primo dopoguerra è l'ultima generazione le cui condizioni saranno migliori di quelle dei loro padri.

Come scrisse Carlo Galli, dopo l'89: "Il vincitore - il sistema economico-tecnologico dell'Occidente, più che le sue libere istituzioni - ha continuato ad espandersi inesorabilmente in tutto il mondo, nel bene e nel male, ossia tanto nella capacità di portare sviluppo quanto nella capacità di impoverire o sradicare popoli e culture. E di conseguenza il mondo occidentale 'invasore' è a sua volta 'invaso' dalle migrazioni di popoli, come contraccolpo della potenza del suo sistema economico e tecnico che dilaga in tutto il pianeta. Questa è in realtà una definizione della crisi dello Stato, perché lo Stato moderno era un sistema di smaltimento del disordine e di sgravio dei pericoli.. E con lo Stato (e coi partiti, che gli davano una sorta di anima) va in crisi l'identità politica dei soggetti, e quindi per ovvie dinamiche difensive la percezione dell'alterità diventa fortissima, e tende a cogliere l'alterità culturale in forma rigida e stereotipa, quando non addirittura come alterità naturale, razziale. Si generano insomma continue reazioni di rigetto, superficiali, epidermiche, banali: il colore della pelle, la differenza di religione, tornano ad essere un problema."
E' in crisi, dunque, la politica come mediazione razionale, è la crisi dei corpi intermedi, partiti e sindacati. La politica diventa mediazione simbolica, non-razionale tramite le religioni, i fondamentalismi, i leaders demagogici, la comunicazione con i nuovi media (la dittatura della comunicazione).

Malgrado la sua crisi, la politica, paradossalmente, si è diffusa ma non come partecipazione, bensì come cattiva mitologia, ideologismi, scelte non-razionali, costruzioni religiose e simboliche. La battaglia si sposta dunque anche sui terreni dell'immaginario, dello scontro culturale, della creazione di una cultura di coesione, di comunità popolari inclusive, di sicurizzazione innanzitutto delle teste, dei pensieri, di costruzione di luoghi reali di partecipazione.

Serve quella che è stata definita una biopolitica (Roberto Esposito), non solo perché dobbiamo mettere al centro la difesa del nostro pianeta, perché occorre partire dalla vita, ma perché dobbiamo attuare una politica biodegradabile, rinnovabile, trasparente, riciclabile. Andare, dunque, oltre il socialismo del XX secolo. Come dice Tortorella: "il nuovo socialismo ha un compito diverso da quello del Novecento che ha lavorato soprattutto sulle quantità, vuoi per la redistribuzione, vuoi per l'utopia egualitaria. Adesso bisogna discutere della qualità, della qualità dello sviluppo innanzitutto, una questione che non può essere risolta nei limiti del pensiero liberal-democratico, non si può - in altri termini - salvare il capitalismo da se stesso".

Come riformare la politica? Direi, con la passione e la sobrietà.
La politica non deve avere bisogno dell'etica per nobilitarsi. Si nobilita da sé, sollevandosi a progetto altamente umano, con la centralità del progetto rispetto alla buona gestione amministrativa (peraltro da non disprezzare). Ed occorre anche ridefinire i soggetti del cambiamento. A partire da che cosa è il lavoro oggi.
La precarietà non è solo il tentativo di diminuire il costo del lavoro in una rincorsa folle e perdente con altre economie dove il mercato del lavoro è più favorevole al capitale; ma è la moderna risposta all'eterno problema del capitale: quello del controllo sulla forza-lavoro.
Il lavoro fordista procedeva parcellizzando le mansioni, dequalificando la forza-lavoro, scomponendo il ciclo lavorativo; il Movimento Operaio rispondeva cercando di promuovere il controllo operaio che era essenzialmente ricomposizione del ciclo e delle mansioni sul terreno della conoscenza, politico e della lotta.
Cambiando il paradigma dell'organizzazione del lavoro si inverte la tendenza: il lavoro in qualche misura deve essere ricomposto, i lavoratori devono possedere una cultura maggiore ed una visione d'insieme. La soluzione per il controllo si trasferisce nell'ambito della delocalizzazione della produzione, si attua con la deterritorializzazione del ciclo produttivo e sul terreno assai più debole dei rapporti giuridici di lavoro, cioè della loro precarizzazione. Anzi, per essere più precisi, si è innescato un duplice movimento, una polarizzazione del lavoro, una scissione tra lavoro Microsoft e lavoro Mc Donald. Siamo alla destabilizzazione degli stabili e all'immiserimento dei deboli.
Tende a sparire la concezione del lavoro come dimensione collettiva. Come rilevato da Luigi Agostini, mentre "la globalizzazione configura una destrutturazione dello spazio politico, l'individualizzazione del lavoro configura un processo di destrutturazione dello spazio sociale".
La precarizzazione costituisce dunque un elemento strutturale del moderno capitalismo, e come tale va affrontata dalla Sinistra.

Contro "l'autonomia della politica" dobbiamo riuscire a costruire un rapporto diretto, fisico, multiforme con i lavoratori, le persone in carne ed ossa. Rappresentare i lavori. O si parte da lì, o si raggiungono solo quelli che oggi Mario Tronti ha definito "i non-luoghi" dell'apparire e dell'agire politico autoreferenziale.
Il nostro riferimento non può essere una indefinita "società civile", ma la società reale. Ad esempio, "la città degli ultimi" descritta nella lettera a Veltroni degli ex-alunni della scuola 725 di Don Sardella.
Ed è scomparso non solo il Partito-Chiesa, ma anche il Partito-scuola, luogo pedagogico per il riscatto didattico delle classi sulbaterne.

In politica, per farla finita con il chiacchiericcio mass-mediologico, serve uno stile più sobrio, collettivo e meditato: solo chi fa inchiesta deve avere il diritto alla parola.
Vanno valorizzate le nuove esperienze di partecipazione popolare come quella del bilancio partecipato degli enti locali. Il rapporto partito/rappresentati va ridefinito sulla base del principio del "guidare seguendo". Ed oltre al principio parzialmente passivizzante di "una testa, un voto ", dobbiamo praticare anche il principio attivo di "una testa, un'idea".

Vanno adoperate tutte le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione ed espressione. Oltre al partito esistono altri luoghi della politica: dalle associazioni al sindacato, dalle organizzazioni del territorio alle comunità virtuali della rete. Pluralità, dunque, delle soggettività che si propongono come attori della politica. Dal partito piramide al partito rete. Militanti con doppia, tripla, ennesima tessera.

Eppoi serve la sobrietà. Raccogliendo la lezione sulla questione morale di Berlinguer. Dobbiamo regolamentare e prevenire il conflitto di interesse. A tutti i livelli anche a quello locale.
Oggi viene eletto chi dispone di maggiori risorse: si discute tanto di legge elettorale da diversi punti di vista. Ma qualcuno si è posto il problema di quale legge elettorale occorre per favorire la partecipazione all'elettorato passivo di tutti, anche dei meno ricchi, lavoratori, donne, giovani... Ed ancora, quali criteri per le retribuzioni degli eletti (vedi a tale la condivisibile proposta di legge di Gloria Buffo)? E' legittimo porsi la domanda di quanto sia funzionale al nostro progetto politico (se i mezzi prefigurano il fine) la politica intesa come mestiere?