Sembrava un
incubo, il petrolio a cento dollari, ed è già divenuto
realtà. La velocità dellŽascesa del
prezzo, oltre al livello raggiunto, dimostra senza ombra
di dubbio che è in atto sui contratti a termine di fornitura
una manovra speculativa gigantesca.Non ci sono e
non ci sono stati infatti improvvisi salti di
domanda per nessuno dei derivati del petrolio tanto corposi e immediati da
giustificare la velocità del rincaro. Ci sono molti fattori che
giustificano una ascesa, ma di assai più
moderate proporzioni. Ci sono problemi di offerta
nel Mare del Nord, basso livello delle scorte di benzina e gasolio negli
Stati Uniti, alla vigilia della stagione invernale, qualche
difficoltà residua con i rifornimenti nel golfo del Messico. Ma nessuno grave abbastanza da dare un alibi sufficiente ad
una manovra di rialzo basata su motivi reali di breve periodo. LŽantica canzone della strepitosa
domanda di petrolio da parte dei paesi emergenti è stata cantata di
nuovo. Ma funziona, se funziona, a medio termine.
La scarsità di capacità di raffinazione negli Stati Uniti non
poteva mancare di essere ancora tirata fuori. Ma nemmeno lei ce la fa a sopportare il peso del rialzo.
È dunque il caso, assai più che in occasioni precedenti, di
credere allŽOpec, che indica nella speculazione
finanziaria la matrice del rialzo. Pare ci abbia
già creduto il governo indiano, che ha deciso di proibire i contratti
sul petrolio nelle borse merci di quel paese. Dopo la debacle di agosto-settembre, gli hedge
fund e gli altri scommettitori del «capitalismo
delle bische» si sono alacremente messi allŽopera
per rifarsi delle perdite subite a causa dei «sub prime loan»
americani. Hanno riversato enormi fondi sui mercati azionari dei paesi
emergenti, che hanno conosciuto negli ultimi tre mesi rialzi clamorosi
(citiamo solo lŽindice brasiliano, il Bovespa, o quello messicano,
ma il fenomeno è assai ampio). Hanno aggredito il mercato dellŽoro e delle materie prime. Hanno dedicato fondi
immensi a scommettere sul ribasso del dollaro e sul rialzo dellŽeuro. Gli hedge fund sono ormai migliaia. Sono nati per ideare e
svolgere strategie di investimento contro corrente
rispetto ai più tradizionali fondi di investimento, usando mercati
meno tradizionali di quelli in cui investono i fondi di investimento e
tecniche molto rischiose, spesso basate su modelli matematici raffinati. Il
loro successo li ha portati a essere imitati e si sono
in qualche misura «democratizzati», accettando anche investimenti di
quantità relativamente moderate di danaro, mentre allŽinizio coinvolgevano solo i grandi ricchi. Tutto
questo ha determinato la difficoltà crescente di trovare occasioni di arbitraggio e quindi di guadagno molto cospicua: in
altre parole, si sono ritrovati a essere sempre più cani appresso ai
soliti ossi. Alla luce di tutte queste ragioni, lŽinvasione
di campo da loro fatta sui mercati dei prodotti petroliferi non può
sorprendere. Il momento è adatto. Il dollaro è diretto a Sud
e lŽeuro a Nord a causa delle opposte politiche
monetarie delle rispettive banche centrali. Dai primi anni settanta esiste una influenza diretta del valore relativo del dollaro
sui prezzi del petrolio, che sono quotati in dollari. Dollaro in discesa
significa dunque, dal 1971, petrolio in risalita. In aggiunta, i
comportamenti della banca centrale europea hanno mostrato chiaramente che
essa non vuole fare da «spalla» alla speculazione, difendendo una parità
qualsiasi, sapendola destinata a crollare data la potenza di fuoco degli
operatori finanziari. Così, poiché i prezzi di petrolio e materie
prime non interessano solo gli speculatori, ma entrano nella lista della
spesa di quasi tutti i consumatori, sotto forma di aumenti
del costo dei trasporti, del riscaldamento, ma anche del pane e della
pasta, si vede che la separazione tra economia e finanza è
impossibile. Quelli che manovrano i loro poderosi computer in uffici
situati nei palazzi di vetro-cemento e acciaio delle principali piazze
finanziarie non sono più personaggi remoti.
Il grande pubblico occidentale si accorge a un
tratto della loro esistenza, e non si diverte al pensiero che a causa loro
dovranno sentire un poŽ più freddo o fare
un poŽ meno chilometri con le loro auto o
spendere di più per pane e pasta. Con la loro azione, tuttavia, gli
uomini nelle torri di vetro dei grandi centri finanziari determinano anche
il destino di coloro che, nei paesi poveri, sono in bilico tra la vita e la
morte. Il prezzo del pane per sfamarsi e del cherosene per cucinare e
riscaldarsi dipende anche da loro. Questo non significa assolvere lŽOpec, che era e resta un cartello per tenere alti i
prezzi del petrolio, significa solo chiarire anche le responsabilità
di chi di solito non viene chiamato in causa.
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