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Documento d’interesse   Inserito il 18-11-2007


 

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La Repubblica del 9-11-2007

 

Il capitalismo delle bische


di Marcello De Cecco

 

 

Sembrava un incubo, il petrolio a cento dollari, ed è già divenuto realtà. La velocità dellŽascesa del prezzo, oltre al livello raggiunto, dimostra senza ombra di dubbio che è in atto sui contratti a termine di fornitura una manovra speculativa gigantesca.Non ci sono e non ci sono stati infatti improvvisi salti di domanda per nessuno dei derivati del petrolio tanto corposi e immediati da giustificare la velocità del rincaro. Ci sono molti fattori che giustificano una ascesa, ma di assai più moderate proporzioni. Ci sono problemi di offerta nel Mare del Nord, basso livello delle scorte di benzina e gasolio negli Stati Uniti, alla vigilia della stagione invernale, qualche difficoltà residua con i rifornimenti nel golfo del Messico. Ma nessuno grave abbastanza da dare un alibi sufficiente ad una manovra di rialzo basata su motivi reali di breve periodo. LŽantica canzone della strepitosa domanda di petrolio da parte dei paesi emergenti è stata cantata di nuovo. Ma funziona, se funziona, a medio termine. La scarsità di capacità di raffinazione negli Stati Uniti non poteva mancare di essere ancora tirata fuori. Ma nemmeno lei ce la fa a sopportare il peso del rialzo. È dunque il caso, assai più che in occasioni precedenti, di credere allŽOpec, che indica nella speculazione finanziaria la matrice del rialzo. Pare ci abbia già creduto il governo indiano, che ha deciso di proibire i contratti sul petrolio nelle borse merci di quel paese. Dopo la debacle di agosto-settembre, gli hedge fund e gli altri scommettitori del «capitalismo delle bische» si sono alacremente messi allŽopera per rifarsi delle perdite subite a causa dei «sub prime loan» americani. Hanno riversato enormi fondi sui mercati azionari dei paesi emergenti, che hanno conosciuto negli ultimi tre mesi rialzi clamorosi (citiamo solo lŽindice brasiliano, il Bovespa, o quello messicano, ma il fenomeno è assai ampio). Hanno aggredito il mercato dellŽoro e delle materie prime. Hanno dedicato fondi immensi a scommettere sul ribasso del dollaro e sul rialzo dellŽeuro. Gli hedge fund sono ormai migliaia. Sono nati per ideare e svolgere strategie di investimento contro corrente rispetto ai più tradizionali fondi di investimento, usando mercati meno tradizionali di quelli in cui investono i fondi di investimento e tecniche molto rischiose, spesso basate su modelli matematici raffinati. Il loro successo li ha portati a essere imitati e si sono in qualche misura «democratizzati», accettando anche investimenti di quantità relativamente moderate di danaro, mentre allŽinizio coinvolgevano solo i grandi ricchi. Tutto questo ha determinato la difficoltà crescente di trovare occasioni di arbitraggio e quindi di guadagno molto cospicua: in altre parole, si sono ritrovati a essere sempre più cani appresso ai soliti ossi. Alla luce di tutte queste ragioni, lŽinvasione di campo da loro fatta sui mercati dei prodotti petroliferi non può sorprendere. Il momento è adatto. Il dollaro è diretto a Sud e lŽeuro a Nord a causa delle opposte politiche monetarie delle rispettive banche centrali. Dai primi anni settanta esiste una influenza diretta del valore relativo del dollaro sui prezzi del petrolio, che sono quotati in dollari. Dollaro in discesa significa dunque, dal 1971, petrolio in risalita. In aggiunta, i comportamenti della banca centrale europea hanno mostrato chiaramente che essa non vuole fare da «spalla» alla speculazione, difendendo una parità qualsiasi, sapendola destinata a crollare data la potenza di fuoco degli operatori finanziari. Così, poiché i prezzi di petrolio e materie prime non interessano solo gli speculatori, ma entrano nella lista della spesa di quasi tutti i consumatori, sotto forma di aumenti del costo dei trasporti, del riscaldamento, ma anche del pane e della pasta, si vede che la separazione tra economia e finanza è impossibile. Quelli che manovrano i loro poderosi computer in uffici situati nei palazzi di vetro-cemento e acciaio delle principali piazze finanziarie non sono più personaggi remoti. Il grande pubblico occidentale si accorge a un tratto della loro esistenza, e non si diverte al pensiero che a causa loro dovranno sentire un poŽ più freddo o fare un poŽ meno chilometri con le loro auto o spendere di più per pane e pasta. Con la loro azione, tuttavia, gli uomini nelle torri di vetro dei grandi centri finanziari determinano anche il destino di coloro che, nei paesi poveri, sono in bilico tra la vita e la morte. Il prezzo del pane per sfamarsi e del cherosene per cucinare e riscaldarsi dipende anche da loro. Questo non significa assolvere lŽOpec, che era e resta un cartello per tenere alti i prezzi del petrolio, significa solo chiarire anche le responsabilità di chi di solito non viene chiamato in causa.